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1 maggio chicago 1886

Archivio storico

Pensiamo che qualsiasi movimento sociale per rimanere vivo debba conservare il proprio patrimonio storico. Non c'è futuro senza conoscenza del passato. Per questo abbiamo deciso di dar vita ad un archivio storico digitale in cui raccogliere tutto il materiale sulle lotte condotte dalla nostra classe. Episodi noti e non, echi di scioperi memorabili, brani di risoluzioni importanti, scorci di Congressi mondiali, il tutto per contribuire alla formazione di un ambiente di classe.
Foto: Chicago, 1 maggio 1886

lavoratori in sciopero U.S.A.L'odierna crisi dell'auto è il riflesso immediato del tipo di controllo che i prodotti d'auto hanno cercato di imporre alla propria forza lavoro negli ulti­mi dieci anni.

I fattori su cui si basava l'espan­sione internazionale dell'auto negli anni '60 non erano destinati a du­rare. Uno di tali fattori era la no­tevole capacità del capitale dell'au­to di muoversi verso aree geografiche che garantissero non soltanto una manodopera nuova e a buon prezzo ma anche la stabilità del processo di accumulazione. Un altro elemento soprattutto nelle aree industrializzate, era ricorrere a riserve fresche di forza lavoro, disponibili per le loro caratteristiche ad alti livelli di sfruttamento, almeno nel breve periodo.

In Eu­ropa, negli anni '60, questa fun­zione di espansione dell'industria dell'auto fu sostenuta dal lavoro immigrato. Ma furono proprio i lavoratori immigrati, stravolgendo il piano del capitale, a dare il via ad un ciclo internazionale di lotte da Billancourt (1968) alla Svezia, dalla Fiat Mirafiori e dal­l'Alfa Romeo (1969) alla Ford bri­tannica (1971).

Anche negli Stati Uniti, seppure non così nettamente, si mise in opera il meccanismo espansione produttiva - sfruttamento di nuova forza lavoro. Per decine di  migliaia di giovani, neri e donne, entrati negli anni '60 nell'industria dell'auto, il posto in fabbrica signifi­cava in molti casi il primo stabile rapporto salariale. Questa dinami­ca politica, rapporto salariale in cambio di sfruttamento intensivo, sta alla base dell'atteggiamento di questi operai verso il lavoro e dei contenuti della lotta. Questa forza lavoro, giudicata dal capitale "do­cile allo sfruttamento" avrebbe presto rivelato le sue qualità di insubordinazione e rifiuto, confi­gurandosi sempre più sotto l'aspet­to di una strategia di classe per più denaro e meno lavoro, per meno produttività e più reddito. Il, sa­lario cessò di essere un rapporto di  scambio e divenne una leva di potere.

Negli USA, l'immissione di nuova forza lavoro nelle fabbriche e la formazione dei ghetti in cui si concentrava la riserva lavoro, si espresse politicamente nelle rivol­te urbane (Detroit '67 ecc.) e nel­l'organizzazione di lotte autonome nelle fabbriche. Lotte che hanno molto in comune con quelle guida­te dai giovani operai immigrati di Torino. Il loro capovolgimento del rapporto salariale è stato l'espressione del loro rifiuto di accettare il controllo dispotico del capitale dell'auto.

Alla fine degli anni '60 e all'ini­zio dei 70 il rapporto di potere fra classe operaia e capitale negli U.S.A. e in Europa, ruota intorno a questa dinamica di classe: sarà la crisi del 1974 a dare al capitale gli strumenti per imporre una soluzione attraverso una stretegia di sospen­sioni di massa e di terrorismo.

Risposte capitalistiche alla classe operaia

Gli "esperti" del capitale non hanno dubbi: la causa determinan­te dell'inflazione negli Stati Uniti (e negli altri paesi industrializzati) sono le  " pretese eccessive di red­dito". Il rapporto economico internazionale del presidente (febbraio 1974) afferma che né la dimi­nuzione di materie prime né la crisi alimentare sono le cause principali della crisi: si tratta di "domande in eccesso rispetto alla disponibilità". Due aspetti della cri­si vanno sottolineati: 1) la diminuzione selvaggia della produzione sociale è accompagnata dalla continua crescita di domande di reddito 2) il meccanismo di pianifi­cazione globale e nazionale non è più sufficiente ad assicurare l'ac­cumulazione. La soluzione capitalistica a questo problema era chiara almeno in linea di principio: più lavoro e meno salario.

La direzione più spettacolare che il capitale dell'auto ha preso nella sua ricerca volta al ristabilimento del rapporto salario-produttività è a livello, internazionale. Nell'intento di aggirare le limitazioni imposte dal potere delle classi operaie ame­ricane ed europea, il capitale elabo­ra strategie su scala internaziona­le adattandosi ai più svariati as­setti politici, ed integrando la pro­duzione al di fuori dei mercati tra­dizionali. L'esempio più lampante (e redditizio) è l'America Latina: la Ford in Argentina, la G.M. in Brasile hanno avuto incrementi di produttività annui altissimi.

Una risposta, non sempre vin­cente, del capitale è stato questo tentativo di ristabilire un adegua­to livello, di accumulazione median­te due vie: sviluppo del capitale nello spazio e sua riorganizzazione nel tempo. Un'altra risposta è la " rivoluzione " delle mansioni e l'imposizione tecnologica della produttività. Il problema dei costi crescenti dovuti all'assenteismo, all'avvicendamento di mansioni, alle pratiche di sabotaggio, è al centro di vari studi sull'"alienazione dei lavoratori". Appare chiaro che la discussione sulla "qualità del lavoro" è la rappresentazione ideologica della tendenza del capitale a salvaguardarsi i più ampi spazi di manovra diretti all'intensificazione del lavoro. Con varie soluzioni viene delineandosi pertanto la tendenza, attraverso una crescente "composizione organica "del capitale, a disciplinare il lavoro attraverso l'intensificazione de lavoro stesso. Il cosiddetto "controllo della produzione da parte degli operai" non è altro che la risposta data dal capitale al lavoro alienante della catena di montaggio, contrabbandata però come "soluzione socialista" in paesi come la Sve­zia. Lo smantellamento della cate­na di montaggio e la sua sostitu­zione con uno schema a linee più brevi in realtà danneggia il potere dei lavoratori in quanto garantisce la produzione in caso di interruzio­ne o arresti. Così il progetto alter­nativo degli anni '60 diventa negli anni '70 progettoo capitalistico di sfruttamento.

Dispotismo sul mercato e anar­chia in fabbrica, l'inversione del tradizionale, rapporto capitalistico sintetizzano il problema dell'indu­stria negli anni '70 e sono in parte un aspetto delle vittorie ottenute dalla classe negli anni '60, Per la classe dirigente aziendale la solu­zione del problema del manteni­mento dell'efficienza e della disci­plina in fabbrica passava inevitabil­mente attraverso una libera contrat­tazione salariale. Un programma orientativo, congiuntamente ammi­nistrato dal sindacato e dall'azienda fu introdotto per incoraggiare la professionalità e la dedizione al lavoro. Ecco così l'ingresso del Sin­dacato nella strategia contro il ri­fiuto del lavoro. Le trattative del '73 costituiscono la pietra miliare di questa armonia di interessi tra G.M. e Sindacato dell'auto.

A partire da questo accordo, e in netta opposizione alla sua formu­lazione, si assiste all'acquisizione del "rifiuto del lavoro" da parte del­la classe operaia. Ad esempio sui livelli di produzione e lo scadi­mento di qualità minacciavano di distruggere sia il controllo sinda­cale, sia il potere aziendale. L'uso del salario sociale diventava un metodo di generalizzazione del ri­fiuto del lavoro e un attacco alla programmata disciplina salariale. La famosa "armonia di interessi" di­venne il fallimento unilaterale del­l'azienda nel tentativo di imporre il dispotismo  di fabbrica.

Gli scioperi a gatto selvaggio del '73 furono la risposta dei lavoratori, una risposta che minò la po­sizione del sindacato e che fece ac­quisire un principio saliente agli operai dell'auto, di   Detroit.

Scioperi selvaggi del 1973

Ecco alcuni episodi significativi preceduti comunque da una serie incalzante di attacchi ancor prima che iniziassero le trattative per i contratti:

24 luglio '73 Fabbrica di Jefferson Avenue. Due saldatori si chiu­dono nella cabina di controllo della catena di montaggio della saldatu­ra, e "rendono inattivi" 5.000 ope­rai. Chiedono amnistia per se stessi e l'allontanamento di un supervisore razzista, specializzato nell'aumento dei ritmi. La compagnia cede con grande costernazione degli industria­li e dei sindacati.

7 agosto Chrysler. II turno di mezzanotte si rifiuta di lavorare e comincia uno sciopero di 6 giorni. Contro gli aumenti senza sosta dei turni e dei ritmi e gli incidenti da ciò provocati a Lynch Road 1.500 operai minacciano la "sospensio­ne" di altri 40.000 operai Chysler.

Solo lo sforzo congiunto della corte federale e delle sezioni sin­dacali locali riporta gli operai al lavoro.

Agosto. Reparto presse Mack Avenue, Mobilitazione contro i guardiani e poi contro la polizia. Chrysler decide di chiudere l'intero stabilimento per non fare circolare la lotta. L'occupazione del reparto telai, risultato della serrata, fu fa­cilmente risolta dall'intervento del­la polizia. Ma l'intaccato prestigio del Sindacato doveva essere rista­bilito con una dimostrazione di forza: squadre volontari di picchetti sindacali circolarono per la città terrorizzando i militanti ai cancel­li. Ciononostante la lotta si diffuse ed aumentarono gli impianti chiu­si fino alla generale mobilitazione estiva. Quando gli operai specializ­zati rifiutarono per la prima volta nella storia del Sindacato la rati­ficazione del contratto, la televisione canadese immortalò un sinda­calista mentre minacciava con la rivoltella in pugno un rappresen­tante operaio.

La violenza in se stessa non è nuova. Con 65 morti al giorno nel­le fabbriche d'auto americane, la violenza durante gli anni '60 era principalmente un problema di vio­lenza della tecnologia. Ma l'arma­mento sia degli operai che dei sin­dacalisti dentro le fabbriche è un fatto nuovo e dilagante.

Il diffondersi di lotte autonome, il collasso dell'autorità del Sinda­cato nella mediazione, il suo tentativo di riprendere il controllo con il terrorismo e la trasforma­zione dei tradizionali centri di opposizione sono i fatti che precedono immediatamente la "crisi" del 1974, i suoi aumenti di ritmo e le sospensioni nelle fabbriche, la sua inflazione e l'incertezza a livello sociale.

Crisi e slancio delle lotte 1974

l fallimento dell'inflazione e disoccupazione nel ridurre le interruzioni del lavoro durante i primi dieci mesi del 1974 risulta chiaramente dal confronto con dati analoghi del 1973. Il numero di interruzioni è salito dell'8%. Il numero di operai coinvolti è aumentato del 48%. Il numero di giornate lavorative perdute è aumentato dell'88%. Addirittura il numero di operai coinvolti nelle interruzioni nei primi dieci mesi del '74 ha già incominciato ad avvicinarsi al numero annuale degli anni 1967-71, il più alto ciclo di scioperi, se si eccettua il 1946, del dopoguerra.

Una lista, necessariamente in­completa, degli scioperi del '74 presenta adeguatamente il fatto che dietro le frasi fatte, degli economisti c'è la realtà di un po­tere operaio che ha fatto fuori la sindrome del comando e la con­duzione manageriale di tipo Keynesiano.

Marzo New Haven, Mkhigan: scio­pero alle fonderie contro il con­tratto locale, il razzismo e l'au­mento  dei  ritmi.

25 marzo Warner Gear: sciopero che rallenta la produzione nazio­nale di autocarri, che   fa chiu­dere la Toledo Jeep e danneg­gia l'International Harvester.

5 aprile St. Louis: assenteismo di massa alla GMAD Corvette con­tro gli aumenti dei ritmi.

Aprile Cleveland: operai neri e por­toricani rispondono alle sospen­sioni bloccando  i  macchinari al reparto tornitura.

Aprile Kanxas City: stabilimento Leeds della GM, Chevrolet, scio­pero locale, per rivendicazioni locali.

13 maggio Detroit: la Fisher Body Heetwood sciopera costringendo alla chiusura la   Cadillac e la Oldsmobile, quando le ore di produzione aumentano.

Maggio Kansans City: come sopra.

Giugno Chicago: il reparto presse sciopera sulla base di mille denunce contro l'aumento dei ritmi, le sospensioni, la disciplina e la sicurezza sul lavoro.

Giugno Kalamazoo: sciopero alla Checker Motors.

11 giugno Warren, Michigan: scio­pero selvaggio alla Dodge.

28 giugno St. Louis: sciopero alla Corvette GM.

12 luglio Lordstown: cominciano sei settimane di sciopero sulla base di 11.000 proteste.

Agosto Budd Kitchenor: 1.600 fan­no sciopero selvaggio agli im­pianti elementi ruote e carroz­zerie.

Agosto Cleveland messa fuori uso e sabotaggi salutano l'aumento dei ritmi al reparto presse.

1 agosto Wanwatosa, Wisc. Briggs & Stratton, impianti macchinari per auto scioperano per il con­tratto locale.

6 settembre St. Louis fine dello sciopero GMAD di nove setti­mane.

16 settembre Kenosha, Wins. 17.000 operai dell'American Motor Workers scioperano nel corso del mese.

Settembre Milwaukee A. O. Smith, strutture per auto e autocarri scioperano bloccando Jefferson Avenue.

23 settembre Franklin, Ind, scio­perano la Arvin Industries, produttrici di tubi di scappamento e collettori, interrompendo la produzione di 3 reparti Chrysler d'assemblaggio e 3 impianti Ford.

26 settembre Anderson, Ind. 4 gior­ni di sciopero alla Delco GM, produttrici di impianti d'accensio­ne e batterie.

28 settembre Gary, Ind.: rallentamenti e scioperi bianchi alle Ford Galaxi.

29 settembre Oakland, Feemont ope­raie citano in giudizio la GM per la   discriminazione nei licenzia­menti.

30 settembre Oakland scioperi selvaggi contro gli straordinari.

4 ottobre Long Island City sciope­ri selvaggi contro la Standard Mo­tors.

Quanto sopra descritto è solo la punta dell'iceberg; dai bollettini padronali e del sindacato emerge solo la superficie delle lotte.

Molte testimonianze di militanti di Windsor, Oakville, Cleveland, St. Louis mettono in luce che la maggior parte della sovversione operaia del processo produttivo av­viene sulla base dei reparti; que­sta incidenza nello spezzare i livelli di produzione viene nascosta dalla pubblica contabilità delle in­dustrie.

Alla Dodge Truck di Warren, Michigan, 6.000 fecero scioperi sel­vaggi per quattro giorni nel giu­gno 1974. Le richieste non furono formulate fino al terzo giorno di sciopero. Le richieste erano "tut­to". Come disse un operaio: "quel­lo che vogliamo è non lavorare".

Rosso, giornale dentro il movimento - 13 marzo 1976