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We are 99%Per evitare l'incendio sociale, i cui primi bagliori si sono intravisti in alcune regioni del Sud Italia, il governo sta pensando di erogare, oltre al macchinoso e inconcludente sistema dei pacchi per la spesa (400 milioni di euro che i comuni dovranno usare per buoni e generi di prima necessità per gli indigenti), un "Reddito di emergenza". Per adesso non si hanno elementi certi, visto che l'importo non è stato fissato (alcune fonti giornalistiche parlano di un ammontare complessivo di 6 miliardi di euro), e non è stata specificata la platea dei beneficiari. La misura sembra quasi rispondere alla campagna per il #RedditodiQuarantena, lanciata da alcuni centri sociali e sindacati di base per mettere in luce l'urgenza di un reddito di esistenza in questo periodo di emergenza. Peccato però che l'emergenza durerà anche dopo la quarantena.

Fa riflettere che di fronte ai segnali di insofferenza sociale, seguiti all'epidemia da Coronavirus, sia magicamente sparito l'inviolabile Patto di Stabilità (le regole sui conti pubblici in Europa), e che i soldi per le misure di sostegno al reddito siano saltati fuori… dal cappello. Questo cosa insegna? Che ragionare in termini di compatibilità economiche, di conti da tenere in ordine e di finanze pubbliche, è un modo di pensare da borghesi; che ciò che conta sono i rapporti di forza; che il resto è imbonimento ideologico, buono solo a difendere specifici interessi di classe.

L'esecutivo italiano dice che dobbiamo avere fiducia nello Stato, perché esso c'è e farà la sua parte per alleviare le sofferenze dei cittadini. Ma la solidarietà che governanti, politici e bonzi sindacali ci chiedono non è solidarietà di classe, tra lavoratori: è ulteriore acquiescenza, è ripetuto inchinarsi ai bisogni del capitalismo, il quale sarà costretto, e non certo per spirito umanitario, a distribuire un po' di soldi per salvare sé stesso dalla catastrofe (cosa che comunque non gli riuscirà).

Il Reddito di cittadinanza, teorizzato inizialmente da elementi interclassisti come provvedimento riformista per tutti i cittadini, portato avanti da alcune frange della sinistra "radicale", dai centri sociali e poi dal Movimento 5 Stelle (che con questa parola d'ordine ha vinto le elezioni del 2018), si è trasformato nel giro di pochi anni nella richiesta molto materiale di un reddito di base, una sorta di salario di sopravvivenza. Tale richiesta è sostenuta anche dal Basic Income Network Italia, che in questi giorni ha diffuso un appello con relativa raccolta di firme per estendere il Reddito di cittadinanza, ampliando la soglia di accesso e semplificando le procedure ed i criteri per ottenerlo. Sul tema si è rifatto vivo anche Beppe Grillo, che non si è lasciato sfuggire l'occasione per rilanciare la proposta di un Reddito di base universale:

"L'emergenza che stiamo vivendo potrebbe favorire una svolta epocale, rivoluzionaria, che da molti superficialmente è stata sempre considerata folle, e che potrebbe cambiare in meglio il nostro futuro. E' giunto il momento di stravolgere il nostro status quo, se non ora, quando?"

Il Reddito di cittadinanza targato 5 Stelle ha grandi limiti, innanzitutto per quanto riguarda i requisiti necessari per riceverlo, poi per l'ammontare della somma erogata e infine per la condizionalità, ovvero l'obbligo di seguire corsi di formazione e di dimostrare la ricerca effettiva del lavoro (nell'epoca in cui il lavoro viene eliminato in massa da robot e algoritmi!). Insomma, in cambio del sostegno economico bisogna che i percettori della misura soffrano un po', e accettino tutta una serie di controlli così da non perdere l'abitudine alla sottomissione. Si tratta della stessa logica lavorista secondo cui bisogna riaprire al più presto le attività produttive, anche a rischio di sacrificare vite umane, per fare ripartire l'economia nazionale.

D'altronde, come sosteneva Bertrand Russell (L'elogio dell'ozio, 1935), "l'idea che il povero possa oziare ha sempre urtato i ricchi."

All'incirca dieci anni fa, in seguito alla crisi dei mutui subprime (che ha avuto un impatto molto minore rispetto a quella che stiamo vivendo), è nato negli Stati Uniti Occupy Wall Street. Il movimento si ribellava alla vita senza senso prima ancora che alla miseria economica, e nei suoi cartelli non vi erano rivendicazioni, ma solo una constatazione: siamo più di voi, siamo il 99%! Una indicazione semplice ed efficace, da non dimenticare.

Per il 1° aprile è stato lanciato in tutto il mondo lo sciopero degli affitti (#RentStrike2020). Sono milioni le persone che non possono permettersi di pagare le bollette, gli affitti e i mutui, indipendentemente dal fatto che lo vogliano. Il problema, però, non è l'insieme di queste spese, ma il fatto che il salario non c'è oppure è insufficiente. Ciò che conta, in questa società fondata sul denaro, è il potere d'acquisto del salario in quanto tale.

Quella del salario ai disoccupati è stata una parola d'ordine classica del sindacalismo degli anni '20, accettata oltre che dai comunisti anche da alcune frange della socialdemocrazia. Oggi, data la crescita della miseria, il reddito di base (o di sussistenza) è una necessità per tantissimi precari e disoccupati. Se la borghesia non fosse così inconseguente, eliminerebbe drasticamente le spese improduttive (a cominciare dai corsi di formazione, dalla burocrazia, ecc.), intervenendo per distribuire direttamente e senza condizioni ai disoccupati queste risorse in modo da agire sulla "propensione marginale al consumo": sono i proletari a spendersi tutto, ai borghesi l'aumento del reddito è quasi indifferente.

In conclusione, non abbiamo rivendicazioni particolari da fare, il proletariato non subisce un'ingiustizia particolare ma l'ingiustizia di per sé. La lotta di classe si configura, sempre di più, come lotta per la vita. Lo hanno dimostrato gli scioperi spontanei di marzo in Italia al grido "non siamo carne da macello", e lo dimostrano quelli che si stanno sviluppando in altri paesi, dal Brasile, alla Spagna, agli Stati Uniti. Non si possono ottenere garanzie durature all'interno di questo modo di produzione, che fa acqua da tutte le parti e la cui crisi non è congiunturale, passeggera, ma di natura strutturale.

Soprattutto in questo contesto, la classe dei senza riserve non ha altri strumenti che quelli della difesa intransigente dei propri interessi, collettivi e non localistici, e della riscoperta della propria indipendenza organizzativa e politica al di fuori di qualsiasi compatibilità di sistema.