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Oakland, general strike, 2 nov

Note sul movimento Occupy

Vi sono particolari momenti nella storia in cui avvenimenti di per sé poco rappresentativi celano nelle loro pieghe potenzialità esplosive che solo in seguito si rivelano chiaramente per quello che sono.

Uno di questi fu la manifestazione che ebbe luogo a San Pietroburgo la domenica del 22 gennaio 1905, quando migliaia di operai, schierati pacificamente dietro immagini religiose, recarono un'umile supplica allo zar Nicola II. Nessuno poteva immaginare che dietro a quelle immagini sacre vi fosse l'ombra minacciosa della rivoluzione che avanzava da ovest verso est e che di lì a poco avrebbe svelato tutto il suo furore, provocando nel giro di una dozzina d'anni la conquista del potere in Russia da parte della classe operaia.

La dinamica storica, quando non può fare diversamente, procede anche così: spinge avanti uomini e istituti verso rotture inconsapevoli ma irreparabili nei confronti di tutta un'epoca.

Se oggi dicessimo che dietro il movimento Occupy, nato sette mesi fa a Zuccotti Park, agisce, magari ad insaputa dei singoli militanti, niente meno che la rivoluzione mondiale susciteremmo sicuramente grasse risate nel movimento antagonista nostrano, tutto sbilanciato sul fronte ideologico e scoperto su quello dei risultati pratici che il movimento reale sta conseguendo. E' significativo invece che la stessa affermazione provocherebbe meno perplessità all'interno dello stesso movimento americano: "the only solution is WorldRevolution" (home page del sito occupywallst.org).

La rivoluzione sceglie ed allinea i suoi militi non sulla base di quello che dicono o credono di fare, ma su quello che realmente fanno e sono costretti a fare. Del resto occorre superare in qualche modo la forza d'inerzia costituita da decenni di pace sociale, chiacchiere parlamentari, mistificazione democratica e collaborazione di classe. E' necessario che siano spazzati via i residui ideologici di epoche passate; è questa cappa di piombo che pesa come un incubo sulle prospettive di cambiamento che va dissolta il prima possibile. In questo senso gli occupiers hanno già fatto passi da gigante dimostrando che si possono rompere i vecchi schemi organizzativi dandosi strutture leaderless, cioè senza gerarchie e senza capi.

E' naturale che in un contesto sociale così guasto e corrotto il bisogno di andare oltre l'esistente si manifesti in modo indiretto e velato e soprattutto lontano dai modelli e dalle aspettative politiche che abbiamo visto e conosciuto. In un quadro del genere la storia non può che transitare per vie traverse, le meno ideologiche possibili, utilizzando quanto di meglio trova a portata di mano. E lo sta facendo appropriandosi di forme aggregative dai contorni sfumati per trasformarle in strumenti validi per la lotta di classe.

Non aspettiamoci di vedere in questa fase il saldarsi immediato fra pratica e teoria. Nel Vecchio Continente i fatti non possono ancora coincidere con le parole fintanto che non si costituisce in modo stabile, solido e duraturo un ambiente radicalmente anticapitalista, come quello che esisteva all'inizio del secolo scorso all'interno delle Camere del Lavoro e nelle organizzazioni operaie: se l'ambiente borghese produce individualismo, concorrenza ed egoismo, allora non si può che sabotare questa società infame, dando vita a comunità destinate ad invaderla tutta, tagliando i ponti che ci uniscono ad ambienti non socialisti. E' a questo ambiente in formazione che occorre guardare, al di là delle proclamazioni ideologiche dei soggetti che vi fanno parte. E' alla pressione che questa community comincia ad esercitare sui punti deboli del capitalismo che occorre prestare la massima attenzione.

Sono passati pochi mesi della rivolta in Tunisia e dal primo sciopero generale di Oakland. Gli avvenimenti si sono succeduti con un ritmo incalzante: il crollo dei regimi arabi, le sommosse nelle metropoli occidentali, le manifestazioni coordinate in decine di paesi. Le ragioni del marasma sociale vanno ricercate negli effetti nefasti di un sistema che sta crollando su sè stesso. E' per questo che l'insieme del movimento esprime una forza di persuasione che è mancata a tutti i movimenti precedenti:

In Egitto dopo pochi mesi le masse sono tornate ad occupare gli stessi luoghi da cui ebbe inizio la rivolta e a scontrarsi con maggiore determinazione contro quelli che sopportava come alleati. Le occupazioni permanenti nelle piazze, le assemblee frequenti e gli scontri continui con l'apparato statale introducono principi di organizzazione che vanno a far parte di un bagaglio di esperienze accessibile a tutti in tempo reale. Internet da questo punto di vista è uno strumento di coordinamento essenziale. Da segnalare a tal riguardo la lettera inviata da "Comrades from Cairo" ad Occupy e pubblicata in The Guardian il 25 ottobre 2011: "A tutti coloro che nel mondo stanno occupando parchi, piazze e altri spazi, i vostri compagni de Il Cairo vi stanno guardando con spirito solidale [...]. Siamo in una certa qual misura coinvolti nella stessa battaglia. Quella che molti studiosi chiamano la "primavera araba" affonda le proprie radici nelle manifestazioni, nelle rivolte, negli scioperi e nelle occupazioni che hanno luogo nel mondo intero. Le sue fondamenta sono da ritrovarsi in lotte durate anni da parte di singoli e dei movimenti popolari. Il momento che stiamo vivendo non è nuovo, poiché noi in Egitto, ed altri altrove, abbiamo combattuto i sistemi di repressione, di mancata liberazione e i danni incontrollati del capitalismo globale (sì, l'abbiamo detto, capitalismo): un sistema che ha reso il mondo pericoloso e crudele per i suoi abitanti [...]. Un'intera generazione in tutto il globo terrestre è cresciuta rendendosi conto, razionalmente e emotivamente, che non abbiamo futuro nell'attuale ordine delle cose [...]. L'attuale crisi in America e nell'Europa occidentale ha iniziato a portare questa realtà anche a casa vostra [...]. Così siamo con voi non solo nel tentativo di abbattere il vecchio, ma di sperimentare il nuovo [...]. Le occupazioni devono continuare, perché non c'è più nessuno a cui chiedere la riforma. [...] siate pronti a difendere quel che avete occupato, quel che state costruendo perché, dopo tutto quello che ci è stato sottratto, questi spazi sono molto preziosi".

Non dobbiamo stupirci se parte di Occupy ha elevato il rifiuto della violenza a principio, la realtà si sta incaricando di superare questo pacifismo inconcludente, soprattutto in una società estremamente repressiva come quella americana. Finora ci sono stati migliaia di arresti ed il movimento denuncia che in suolo americano la polizia, armata fino ai denti, sta lanciando operazioni in stile militare volte ad interrompere proteste pacifiche anche prima che accadano. Uno scenario che ricorda gli sforzi contro-insurrezionali degli USA in Iraq o in Afghanistan.

Shut-It-Down-Poster-Lmnop-copyLa proclamazione dello sciopero generale il 12 dicembre 2011, che ha coinvolto i porti della costa occidentale degli Stati Uniti, è stato un passo decisivo verso la radicalizzazione della lotta. Difatti la mobilitazione è stata lanciata non per rivendicare qualcosa ma come pura e semplice rappresaglia contro il sistema "dell'1% che licenzia, affama e non rispetta la vita dei lavoratori comportandosi in modo antiumano." A questo si aggiunge l'appello lanciato da Occupy Wall Street per l'organizzazione di un Primo Maggio Globale (Global General Strike on May 1st): "I media ufficiali affermano che la forza di Occupy sia in declino, semplicemente per negare l'evidenza. Durante i mesi più freddi dell'anno, gli Stati Uniti hanno infatti assistito al periodo più rivoluzionario degli ultimi decenni. Durante questo inverno abbiamo rifocalizzato le nostre energie sulla promozione di legami con le comunità locali, salvando le case dalle banche corrotte [...] costruendo e allargando la nostra infrastruttura orizzontale. Ci riprenderemo ancora le strade in questa Primavera Globale." In America è vietato indire scioperi generali nazionali, la legislazione federale antisciopero risale al 1947 e le imprese sono garantite dalla legge nella sostituzione temporanea o definitiva dei lavoratori che incrociano le braccia. Nonostante ciò in quel giorno "niente lavoro, niente scuola, niente lavori domestici, niente shopping, niente operazioni in banca".

Appellarsi al 99% contro l'1% può apparire una formulazione incerta, ma sta diventando un robusto antidoto in grado di contrastare positivamente l'influenza ideologica della classe dominante. Senza contare che si innesta in una società dove il riformismo non funziona più e dove mancano da tempo le proverbiali briciole da distribuire.

Salutiamo quindi il Primo Maggio, Giornata Internazionale dei Lavoratori, ricordo del massacro di Haymarket avvenuto a Chicago nel 1886, quando anche allora la polizia difendeva gli interessi dell'1% attaccando e uccidendo i lavoratori che partecipavano a uno sciopero generale per la riduzione della giornata lavorativa. Contrariamente a quanto dicono i politici, nel XXI secolo la lotta di classe è viva e vegeta e colpisce i lavoratori, occupati e disoccupati.

"Invece di scendere a compromessi con i mostri, è arrivata l'ora di combatterli" (Occupy Oakland)

Ch86 - Aprile 2012


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