Giovedì 9 gennaio: scontri fra la polizia e gli operai che stanno costruendo una grande fabbrica di Samsung nella provincia di Thai Nguyen, nel nord del Vietnam. Il bilancio per ora è di 13 feriti di cui 4 gravi. Alla base degli scontri un violento diverbio tra alcuni operai e le guardie del cantiere sui protocolli di sicurezza del lavoro nell'impianto, in cui lavorano circa 10mila operai.
Per tre ore un migliaio circa di lavoratori hanno lanciato pietre contro lo stabilimento, l'entrata e i capannoni ad uso abitativo per le guardie. Sul posto è arrivata la polizia vietnamita, la quale ha tentato di arginare la rabbia dei lavoratori, scatenando ulteriori scontri e lanci di pietre.
La rabbia operaia dilaga in tutto il sud-est asiatico: dopo il Bangladesh e la Cambogia ora è il turno del Vietnam. Queste lotte hanno molti punti in comune con quelle che ultimamente si sono sviluppate negli Stati Uniti. Ad esempio con quella dei Fast Food (#fightfor15) dove, come per i tessili cambogiani, si richiede il raddoppio del salario e non un semplice aumento di qualche dollaro in busta paga.
La risposta repressiva e violenta degli Stati di fronte a rivendicazioni classiste è una realtà con cui anche i lavoratori occidentali dovranno fare i conti.