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altra resistenzaAnche al Sud, come al Nord, la caduta del fascismo scatena le energie popolari; le manifestazioni di strada sfociano nella distruzione dei simboli del passato regime mentre la classe operaia campana si mobilita nell'intento di far cessare la guerra. Numerosi sono i casi, dalle Puglie agli Abruzzi, in cui le dimostrazioni colpiscono i simboli tradizionali dell'oppressione contadina, distruggendo i ruoli delle imposte e incendiando i municipi.

Anche qui, come al Nord, la repressione badogliana non si fa attendere molto [1]. Il 28 luglio a Bari, durante una manifestazione di piazza, la polizia uccide 23 lavoratori e ne ferisce 60. Il 16 agosto cinquecento lavoratori dell'Uva di Torre Annunziata formano un corteo e le forze dell'ordine tornano a sparare. A Portici vi è un'altra manifestazione il 29 agosto. A Castellammare di Stabia il 2 settembre un migliaio di operai dell'Avis Meccanica si muovono in corteo e chiedono "pace e pane". I carabinieri li disperdono con bombe a mano provocando 5 feriti e le SS collaborano arrestando 10 operai.

La popolazione è esasperata per la mancanza di generi alimentari, che sono scomparsi dal mercato normale, mentre le strade interrotte ostacolano l'approvvigionamento diretto nelle campagne. Il proletariato urbano è inoltre preoccupato per i bombardamenti dei "liberatori". Dal 19 agosto al 6 settembre 1943 Napoli subisce ben quindici bombardamenti aerei [2]. Una sorte non diversa conoscono le altre città del Mezzogiorno: Salerno, Bari, Foggia, Taranto.

Il fronte militare nel frattempo si sposta sempre più a Nord e il 9 settembre raggiunge Salerno, in attesa di puntare su Napoli, che sarà raggiunta alla fine del mese.

I nazisti, che nel lasciare la capitale partenopea danno il via al saccheggio e alla fucilazione di cittadini inermi, provocano l'esplosione della rabbia popolare. Per quattro giorni, dal 28 settembre al primo ottobre, Napoli si trasforma in un vasto campo di battaglia. L'esercito degli Alleati sopraggiunge quando i tedeschi si sono già arresi all'improvvisato esercito partenopeo [3].

Al momento dell'arrivo degli Alleati il Sud si trova in una situazione disastrosa. La catastrofe militare aggrava uno stato di arretratezza sociale ed economica non indifferente.

I dati possibili di raffronto si fermano a prima della guerra, ma sono in ogni caso indicativi. Secondo i risultati del censimento industriale del 1937-40, gli addetti all'industria nel Sud (isole escluse) sono il 10 per cento del totale nazionale, mentre la popolazione è pari al 24 per cento. La percentuale cala all'8 per cento se si tiene conto soltanto dell'industria con forza motrice e al 6.5 per cento se si considera la sola industria organizzata tecnicamente [4]. Suddividendo gli addetti riguardanti l'industria dei beni strumentali, la Campania assorbe in questo periodo il 69.2 per cento della forza lavoro, la Puglia il 16.5, l'Abruzzo e il Molise il 9.3, la Calabria il 4.7 e la Basilicata lo 0.03 [5].

Va subito detto, però, che non è esatto stabilire automaticamente un'equazione tra arretratezza economica e arretratezza politica, anche perché la realtà del Sud è il prodotto tipico di una società capitalista. Se si considera il Meridione come l'aspetto negativo e "necessario" dello sviluppo ineguale del capitalismo, e non come "non sviluppo" tout court, si comprende perché già nel decennio della prima guerra mondiale i socialisti di sinistra rivendicassero per il Sud una politica non diversa da quella praticata su tutto il territorio nazionale dal Partito Socialista [6].

"Esistono tutti gli elementi - ha scritto lo storico Luigi Cortesi in riferimento al periodo 1943-45 - che possono indurre a considerare la lotta politica e civile che allora si svolse in Campania non come capitolo atipico della storia nazionale, o come serie di effimeri fuochi di paglia rispetto all'incendio della "vera" Resistenza e della "vera" Liberazione, ma come parte organica del fatto storico complessivo nel quale ciascuna città o regione - Roma e Milano non meno che Napoli, l'Emilia e il Veneto non meno che la Campania - apporti proprie peculiarità e propri livelli di partecipazione [7]."

Questo giudizio sulla Campania si può estendere a tutto il Sud.

La storiografia ha legato i fatti della Resistenza ad un'area geografica che si estende dall'Italia del Nord al Centro sostenendo che il Mezzogiorno non ha conosciuto una vera e propria lotta partigiana.

La Resistenza al Sud si è certamente ristretta nel tempo per il semplice motivo che la Liberazione è avvenuta più rapidamente che al Nord, ma ciò non toglie che episodi di lotta al nazifascismo si siano verificati anche in questa parte d'Italia [8].

Anzi, il risveglio del popolo fu immediato e - contrariamente a quanto suggerisce la storiografia contemporanea - il Sud seppe dimostrare una prontezza di riflessi politici e militari più accentuata rispetto al Nord. Non si attese l'evolversi della situazione per alzare le armi contro i tedeschi [9]. È ovvio comunque che le forme in cui si espressero queste lotte assunsero connotazioni diverse rispetto al Nord.

La lotta politica nel Mezzogiorno durante questo triennio rispecchia infatti il livello, più o meno arretrato, di quella che si verifica sul piano nazionale. Ed in ogni caso la struttura delle classi si riflette sull'aspetto quantitativo delle lotte.

Che l'arretratezza economica del Sud non influisca invece sulla forma qualitativa della politica delle classi subalterne lo dimostra l'esistenza, anche durante il fascismo, di una coscienza politica socialista simile a quella presente su tutto il territorio italiano.

Nel periodo fascista l'opposizione di sinistra al regime aveva infatti mantenuto al Sud la sua attività [10]. Negli anni trenta numerosi erano i gruppi di sinistra e la Campania può essere presa come il campione più avanzato di tale situazione.

Vi erano gruppi di comunisti "ufficiali", cioè fedeli alla linea del partito, che si erano ricostituiti spontaneamente tra il 1927 e il 1929. La prima saldatura di cui si ha notizia avviene tra alcuni operai della Precisa, delle Officine Ferroviarie Meridionali (tra cui Gennaro Rippa, Franco Panico e Salvatore Cetara) ed il tipografo Salvatore Castaldi.

Questi entrano in contatto con gli intellettuali Emilio Sereni e Manlio Rossi Doria e, nel 1928, formata la prima cellula, riescono a pubblicare il foglio clandestino «L'Antifascista», al quale collaborava anche il giovane Eugenio Reale.

Questa diramazione "ortodossa" vivrà, tra alti e bassi, fino alla ricostituzione vera e propria del partito nel 1943 [11].

Nello stesso periodo vi era nel napoletano un altro gruppo comunista, considerato dal PCI trotskysta in quanto aveva «delle riserve sulla politica di Stalin».

Esso faceva capo a Eugenio Mancini [12] e vi gravitavano, tra gli altri, Pasquale Barbera, Leonardo Russo, Vincenzo La Rocca, i fratelli Libero ed Eugenio Villone, Vincenzo Ingangi e Mario Palermo [13].

Un movimento più vicino alle posizioni che vengono di solito definite "bordighiane" nasce più tardi e fa capo a Ludovico Tarsia: comprende, come registra una nota di polizia, «una fitta schiera d'intellettuali e professionisti antifascisti ed esercita una grande influenza in mezzo alla gioventù studentesca» [14].

Anche se, come pare, non vi sono diretti legami organizzativi col proletariato, l'influenza ideologica del raggruppamento rimane un fatto essenziale. Molti operai di Barra e di Pozzuoli, come alcune cellule tra i marittimi del porto, si definiscono, in questa fase, "bordighiani" [15].

Un altro movimento eterogeneo formato da militanti socialisti e comunisti dissidenti darà vita nel 1940 al gruppo Spartaco. Esiste pure un gruppo di «azione socialista» di tendenza "estremista" formato da anarchici, sindacalisti e comunisti dissidenti guidato da Rocco D'Ambra e Gennaro Capozzi [16]. Vi è da segnalare, inoltre, un movimento di sinistra guidato da Lucia Giunchi e Armando Puglia [17].

Punto di riferimento dell'antifascismo napoletano era la Libreria del Novecento, aperta nei pressi di Piazza del Gesù da due seguaci della sinistra "bordighiana", Ugo Arcuno e Salvo Mastellone sede di transito di tutti gli oppositori di sinistra al fascismo [18]. Un'altra libreria (Denken), situata nel Palazzo della Prefettura, era luogo d'incontro di altri antifascisti partenopei e di passaggio, tra cui Giorgio Amendola e Mario Palermo.

Scoppiata la guerra, i militanti della sinistra comunista, impropriamente definiti trotskysti, «partecipano attivamente alla lotta», sotto la guida di Ludovico Tarsia e Ugo Arcuno [19]. Anche il neonato Gruppo Spartaco si mostra particolarmente attivo in questo periodo [20].

A partire dall'estate del 1942 a Capua i comunisti Corrado Graziadei e Paolo Ricci, che tengono i contatti col partito, stampano clandestinamente il giornale «Il Proletario», che viene distribuito in tutta la Campania e soprattutto negli ambienti operai.

In tali ambienti (a parte il nucleo legato a Tarsia) il mito e l'attrazione dell'Unione Sovietica assumono un peso rilevante. Spartaco, per fare solo un esempio, nel novembre del 1942 diffonde cinquemila copie del discorso tenuto da Stalin per l'anniversario della rivoluzione bolscevica [21]. Irretiti dal "fascino" sovietico, privi di una originale elaborazione teorica, tutti i gruppi citati si troveranno impreparati di fronte agli avvenimenti del dopo armistizio. Gli eventi dopo il 25 luglio finiranno infatti per rimodellarne la fisionomia.

La ricostruzione del PCI al Sud non avviene mediante l'ingrossamento dell'ossatura organizzativa preesistente, ma tessendo "a grappolo" la rete dei gruppi nati autonomamente.

Nelle settimane a cavallo tra la fine di marzo e l'inizio di aprile del 1943 rinasce la Federazione campana del partito con a capo Vincenzo Gallo, Vincenzo La Rocca, Eugenio Mancini, Eduardo Spinelli e Mario Palermo [22]. Come si può notare dai nomi, alcuni appartengono alla schiera di coloro che avevano avuto «riserve sulla politica di Stalin» e ciò avrà delle conseguenze sulla crisi che investirà il PCI napoletano dopo l'8 settembre.

Con il crollo del fascismo ritornano, chi prima chi dopo, anche i confinati e tra questi Salvatore Cacciapuoti; Velio Spano ed Eugenio Reale rientrano a Napoli, l'uno da Tunisi, l'altro da Roma.

Il partito che si ricostituisce nel 1943 raccoglie molti degli iscritti che avevano a suo tempo militato nelle file del PCd'I. Vi confluiscono però anche molti giovani che la situazione di sfascio economico-sociale, causata dalla guerra, ha spinto verso posizioni radicali.

Ma anche qui, come al Nord, sono i "vecchi" che reggono le fila da un punto di vista teorico cercando di riallacciarsi, più o meno confusamente, alla politica comunista che avevano vissuto fino al 1926.

Molti di loro sono rimasti alle Tesi di Roma e non sono al corrente degli avvenimenti che hanno caratterizzato la svolta degli anni trenta nella politica sovietica e nei Partiti Comunisti. Se qualcuno ne ha avuto sentore ha udito forse parlare di non ben definiti Fronti Popolari senza giungere però alla necessaria revisione ideologica.

Gli ex aderenti al PCd'I pensano alla Russia in termini mitici e la vedono ancora come il bastione rivoluzionario di un tempo, che si pone quale compito - in un modo o nell'altro - la distruzione del capitalismo.

Non appena si diffondono le nuove idee comuniste si accende un ampio dibattito fra i militanti della Calabria, della Puglia, della Sicilia, della Lucania e della Campania [23]. Molti, venendo a conoscenza delle posizioni assunte dal PCI, non credono alle loro orecchie e sostengono che si tratta di una tattica momentanea per rafforzare l'organizzazione ed ingannare il nemico.

In Campania l'opposizione interna alla politica della direzione riuscirà ad avere una notevole influenza, sino a portare ad una spaccatura, anche organizzativa.

La rinascita del sindacato

Con la lenta avanzata degli Alleati in Sicilia e nell'Italia meridionale nel 1943 e nella prima metà del 1944, il governo estende progressivamente a tutto il Meridione l'ordine di scioglimento dei sindacati fascisti e il diritto di costituire organizzazioni libere da ogni controllo governativo [24]. Ma la libertà concessa dagli americani è una specie di libertà "vigilata". L'occupazione alleata si farà sentire pesantemente, soprattutto a Napoli. La città resterà infatti sotto il controllo dell'Allied Military Government sino al primo gennaio del 1946. Si è anche affermato a questo riguardo che i napoletani «furono soggetti a continui arbitrii, vessazioni e spoliazioni» [25].

Il proletariato meridionale, pur tra notevoli difficoltà, riesce a ricostituire la Confederazione Generale del Lavoro, che il fascismo aveva soppresso nel 1926. Nel napoletano, subito dopo le quattro giornate, la classe operaia ed i lavoratori ridanno vita alle Camere del Lavoro.

Durante il mese di ottobre i poligrafici, i postelegrafonici ed i lavoratori dello spettacolo dichiarano decaduti i propri dirigenti fascisti e provvedono alle nuove nomine. La prima Commissione Interna viene eletta all'Acquedotto di Napoli. In novembre il comunista Vincenzo Iorio diventa segretario della Camera del Lavoro napoletana.

Il ritorno degli sfollati nella capitale partenopea dà il via alla riorganizzazione sindacale vera e propria. Rinascono le leghe (la prima è quella dei ferrovieri). In pochi giorni la Camera del Lavoro di Napoli ne organizza 26 [26]. Le Camere del Lavoro vengono costituite anche nei grossi comuni della provincia: a Pozzuoli, su iniziativa degli operai dell'Ansaldo, a Castellammare di Stabia, Torre del Greco, Marano, Nola e Torre Annunziata.

Ma anche in comuni minori, e fuori dalla regione, ben presto se ne creano delle nuove (Scafati, Angri, Nocera, Aversa, Frattamaggiore, Potenza, Salerno e Foggia).

L'ampio dibattito che si apre dà la possibilità di convocare in città, già nel mese di ottobre, un primo convegno sindacale, da cui nasce un Comitato di coordinamento.

Un altro convegno si tiene nella prima decade di novembre [27]. La sindacalizzazione si sviluppa, oltre che nell'ambiente operaio, anche tra gli addetti ai pubblici servizi.

La presenza proletaria in Campania è abbastanza forte: a Napoli vi sono l'Ilva-Bagnoli con duemila operai, la Navalmeccanica con ottocento operai, l'OMF con cinquecento dipendenti; gli autoferrotranvieri sono duemila e circa duemila sono pure gli addetti ai servizi dell'acqua, del gas e dell'energia elettrica. Le Cotonerie Meridionali contano millecinquecento operai.

A Castellammare, ai Cantieri Navali e ai Cantieri Metallurgici, sono in attività, rispettivamente, duemilacinquecento e cinquecento operai. All'Ilva di Torre Annunziata ve ne sono altri millecinquecento [28].

Al convegno di novembre partecipano praticamente soltanto i lavoratori della provincia di Napoli, in particolare i metallurgici, i ferrovieri, i marittimi e gli impiegati.

È durante questo Convegno che viene strutturata la Camera del Lavoro locale, creato il Segretariato Meridionale della CGL e sono fissate le direttive fondamentali del nuovo sindacato.

Viene eletto un Comitato direttivo provvisorio composto da Iorio e Gallo per il PCI, da Bosso e Di Bartolomeo per il PSIUP, da Arminio e Gentili per il Pd'A.

Enrico Russo, «fedele guardia della bandiera proletaria» [29], viene nominato Segretario Generale dell'organizzazione. Nato a Napoli nel 1895, aveva iniziato come operaio metallurgico al Silurificio, nel 1910 si era iscritto ad un circolo giovanile socialista e l'anno successivo era passato al PSI, dedicandosi all'attività sindacale. Nel 1918 viene nominato segretario della FIOM di Napoli. In disaccordo con Bordiga sulla necessità di separarsi dal Partito Socialista, vi rimane anche dopo la scissione di Livorno. Aderisce al PCd'I soltanto nel 1924, con la frazione terzinternazionalista, diventando l'anno successivo segretario della Camera del Lavoro di Napoli e responsabile della CGL per la Campania.

Condannato a cinque anni di confino, riesce ad emigrare in Francia nel 1927. L'anno seguente passa all'opposizione di sinistra ed entra in contatto con la Frazione di sinistra del PCd'I, collaborando attivamente alle riviste «Bilan» e «Prometeo».

Dalla Francia viene espulso nel 1930 per soggiorno illegale ed è costretto a riparare a Bruxelles. Qui, tra l'altro, segue al Politecnico le lezioni dell'ex sindacalista rivoluzionario Arturo Labriola.

Nel 1936 si stacca dalla Frazione non condividendone la posizione sulla guerra di Spagna. Contrariamente alla maggioranza del gruppo della sinistra comunista, Russo varca clandestinamente la frontiera spagnola con altri militanti e partecipa alla lotta contro il franchismo nella Colonna Lenin, aderente al Partido Obrero de Unificación Marxista.

Ritornato in Francia, viene arrestato ed internato in un campo di concentramento. Durante la guerra le autorità francesi di Vichy lo consegnano a quelle italiane. Condannato al confino alle Isole Tremiti, riacquista la libertà alla fine di agosto del 1943 e riprende la sua attività tra i comunisti napoletani.

La CGL, in seguito alle prime battaglie che la qualificano immediatamente agli occhi delle masse meridionali, vede un massiccio aumento di iscritti, e non solo a Napoli ma in tutte le province del Sud.

Seicento operai conservieri, dopo aver dato vita al loro sindacato, iniziano una lotta il cui obiettivo è un aumento salariale del 175 per cento; all'Istituto Tabacchi mille dipendenti in assemblea decidono di costituire la propria Commissione Interna e di aderire alla CGL.

A proposito di questo entusiastico avvio del nuovo sindacato, l'organo del PCI, «l'Unità», afferma che «la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani è orientata verso la Confederazione Generale del Lavoro, alla quale è confermata l'adesione dei gruppi sindacali aderenti a tutti i partiti del Fronte Popolare Antifascista» [30].

Nelle principali fabbriche cittadine la CGL crea organismi rappresentativi dei lavoratori con il compito di impedire lo smantellamento delle fabbriche e di far ritornare la normalità produttiva. In pratica, si tratta di salvaguardare il proletariato come classe.

I vari comitati riescono a conseguire anche qualche successo: all'Alfa Romeo di Pomigliano il Comitato di studio e di azione riesce ad imporre l'allontanamento del direttore, accusato di aver licenziato gran parte delle maestranze; all'Ilva di Torre Annunziata ed alla Navalmeccanica di Castellammare i comitati sono in grado di imporre la riapertura degli stabilimenti; all'Ilva di Bagnoli gli operai si impegnano a sgomberare le macerie in cambio di aumenti salariali.

Si era inoltre costituita la Federazione dei Lavoratori Portuali e la FILAB (Federazione Italiana Lavoratori Arte Bianca, mugnai, pastai); ma la struttura portante della CGL di Napoli è costituita dalla FIOM.

L'impostazione del nuovo sindacato che si sta diramando in Campania e nelle altre regioni del Sud è decisamente classista e ciò porta ad uno scontro con la direzione del PCI, che punta invece sull'unità con le altre classi in funzione della liberazione nazionale. A Napoli si verifica anche una spaccatura all'interno del partito, detta "scissione di Montesanto", che ha inizio il 24 ottobre e si ricompone il 12 dicembre [31].

La "scissione di Montesanto"

Che cosa era avvenuto in questo periodo? Secondo la versione del PCI i fatti accaddero nel modo seguente:

"Il 24 ottobre un gruppo di vecchi compagni e di elementi politicamente indefiniti diedero l'assalto alla sede della federazione comunista tentando di impadronirsene; il tentativo fallì ma nel corso di qualche settimana si costituì a Napoli una seconda federazione "comunista", la quale, prendendo il nome della nuova sede, si chiamò Montesanto [32]."

Questo resoconto, datato 1945, è meramente descrittivo e non entra nella sostanza della discussione. Si è parlato di influenza "bordighiana" mai spenta tra le masse campane [33], ma in realtà si tratta della contrapposizione, che ritroviamo in tutta Italia, tra una posizione spontanea di base caratterizzata dal radicalismo classista, anche se avviluppato in una notevole dose di confusione politica, e la nuova politica interclassista di "unità nazionale".

Mario Palermo, uno dei principali protagonisti, racconta:

"Il giorno dopo l'armistizio era tornato a Napoli Eugenio Reale ed aveva assunto la direzione della Federazione. Dopo la Liberazione, con Ciro Picardi avevano sostituito La Rocca e me nel Comitato di Liberazione e avevano modificato la formazione del Comitato Federale senza neanche interpellarci. Ma il dissidio era ben più grave e andava al di là di queste questioni: era di fondo, era politico e si manifestò sin dall'arrivo degli Alleati [34]."

Palermo si riferisce alla politica "duttile" e "flessibile" dei nuovi dirigenti comunisti verso la classe dominante, la monarchia e gli ex fascisti che praticavano sfacciatamente il trasformismo, entrando in massa nei partiti democratici [35].

È noto che al Sud moltissimi fascisti e collaborazionisti mantennero il potere dopo il 25 luglio sia in virtù della loro influenza locale sia perché i partiti democratici li avevano assolti invece di epurarli [36].

Gli stessi CLN nel Meridione spesso non erano opera che di transfughi del vecchio regime [37].

Questi organismi non erano «il risultato di una lotta, ma un semplice riflesso delle forze di governo nazionali e [...] la prefigurazione del possibile potere di domani»; molte famiglie borghesi distribuivano i loro figli nei vari partiti rappresentati nei comitati locali, in modo che «qualunque partito avesse avuto la prevalenza alle elezioni, la famiglia potesse avere in esso il proprio punto di appoggio» [38].

Purtroppo, commenta amaramente il comunista Cinanni, «neppure il Partito Comunista seppe guardarsi abbastanza da questa politica trasformistica» [39].

Uno degli episodi considerati da Palermo, e che aveva suscitato i primi attriti e scontri all'interno del partito, era avvenuto durante una riunione del CLN, allorquando si era presentato l'ingegner Cenzato, già consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e presidente dell'Unione Fascista degli Industriali. Al suo apparire il comunista Ingangi era insorto intimandogli di andarsene.

Reale, invece di appoggiare la richiesta di Ingangi, aveva apostrofato violentemente il compagno dichiarando che il suo «atto era impolitico» [40].

Un altro momento di tensione all'interno del partito lo si era avuto quando il primo ottobre, appena giunte a Napoli le forze alleate, alcuni militanti si erano recati, scandalizzati, presso la sede del CLN a protestare perché il prefetto Soprano, ex collaboratore nazista, aveva condiviso con gli Alleati gli applausi della folla, presentandosi al balcone della Prefettura.

Un nutrito gruppo di comunisti capeggiati da Eugenio Mancini, Vincenzo Ingangi, Antonio Cecchi e Libero Villone si era poi riunito sotto le finestre della Prefettura per contestare l'ex gerarca. Mentre dal balcone le autorità esortavano alla calma, da sotto salivano slogans quali "Viva la Russia dei Soviet!".

Travolta la forza pubblica, i saloni della Prefettura furono invasi dai manifestanti. Mancini chiese ai presenti a nome della folla l'immediata destituzione del prefetto e degli altri collaborazionisti, ma fu investito in malo modo e rimproverato da Eugenio Reale.

Questi sono soltanto scontri episodici, che rivelano però una divergenza profonda sull'impostazione politica da conferire al partito e sul concetto stesso di partito.

La critica dei dissidenti si appunta contro la «dittatura burocratica» esistente all'interno dell'organizzazione, esercitata da poche persone, in luogo di un vero centralismo democratico.

In un opuscolo intitolato Ciò che ci divide, redatto durante la scissione, gli oppositori accusano Reale di essere il gestore di questa dittatura. Egli

"insediatosi nella sede del Partito da vero despota, [...] sostituì il precedente Comitato Federale senza nemmeno interpellare i compagni che ne facevano parte per il riconoscimento del Centro, come era suo dovere. Da quel momento [...] instaurò sistemi che ricordavano in pieno quelli fascisti provocando lo sdegno dei compagni [41]."

Gli oppositori di sinistra vorrebbero un'organizzazione diversa, con la «partecipazione libera e soprattutto la libera scelta dei propri dirigenti che godono la fiducia delle masse per la loro capacità, per la loro esperienza, per il loro passato» [42]. Invece l'attività di Eugenio Reale viene «tutta spesa nel Comitato di Liberazione, nel quale egli ha agito e agisce all'unisono con i partiti borghesi». Tale atteggiamento «ha costituito il salvataggio del fascismo» e ha evitato «quell'epurazione che tutti si aspettavano». Nel suo programma immediato l'opposizione di sinistra tende quindi a contrastare la politica di "unità nazionale" propugnata da Reale, il quale, tra l'altro, è anche accusato di soggiacere all'influenza del fratello, avvocato ed esponente del Partito Liberale. I dissidenti, infatti, ritengono che la collaborazione con agli altri partiti non corrisponda alla situazione dell'Italia liberata. Il partito al Nord non può avere una visione esatta dei problemi dell'Italia occupata dagli Alleati, per cui le direttive di collaborazione sinora impartite non possono che essere state valide sino all'Armistizio.

Tuttavia, ci si guarda bene dal criticare la linea politica del PCI nel periodo precedente; infatti, per aggirare l'ostacolo, si ritiene che la situazione sia completamente mutata rispetto all'8 settembre. Le condizioni del Sud sono molto più rivoluzionarie e consigliano ora la lotta aperta, fino in fondo e senza compromessi. Mettere da parte il programma massimo per non urtare gli Alleati non porterebbe, in ogni caso, ad alcun beneficio o a riconoscimenti particolari. Gli Alleati sono interessati alla borghesia italiana, a renderla dipendente dal loro capitale e per tale ragione non molleranno la presa. Né vale riferirsi come esempio alla situazione mondiale in cui la Russia collabora con gli anglo-americani, in quanto le scelte russe di politica estera sono dettate da necessità militari. Se si vuol stabilire un riferimento con la Russia lo si deve fare col 1917. La situazione italiana sta attraversando infatti un momento storico analogo e tende al raggiungimento della medesima meta. Se a suo tempo era stato rivoluzionario collaborare con gli altri partiti al fine di indebolire il fronte interno ed obbligare l'Italia ad uscire dalla guerra, ora non lo è più poiché l'obbiettivo è stato raggiunto. Ora la collaborazione non ha più ragione di sussistere, almeno nell'Italia meridionale. Gli altri partiti rappresentano la borghesia, quella stessa che ha dato vita e sostegno al fascismo. Collaborare con essa significa salvare di fatto il fascismo, mentre la lotta contro la monarchia e la casta militare è il primo passo da compiere e, per poterlo attuare, occorre passare alla mobilitazione delle masse.

A conferma del tenace spirito antimonarchico che agita il Sud, l'allora comunista Italo De Feo riporta nel suo diario:

 "vi è un sentimento molto profondo a Napoli contro certi tatticismi, che sembrano opportunismi, del partito, che non esclude la collaborazione col governo Badoglio [43]."

Il 24 ottobre, in una assemblea della Federazione, si era stabilito che una commissione formata da Iorio, Mancini, Ingangi, Russo e Aveta avrebbe dovuto preparare un successivo incontro per le elezioni alle cariche e per l'esame delle domande di iscrizione. Reale, prevedendo una secca sconfitta dato il rapporto numerico a suo sfavore, fa chiudere d'autorità la sede.

Di qui la decisione della maggioranza di sinistra di scindersi dalla minoranza seguace di Reale. Mancini, Ingangi, Villone, Palermo e molti altri che durante il fascismo avevano operato a Napoli si trasferiscono in via Montesanto, dove aprono una nuova sede della federazione napoletana.

Pochi giorni dopo giunge a Napoli anche Spano, che tenta di stabilire contatti con i singoli militanti. La polemica fra i due tronconi, in mancanza di comunicazioni dirette e di organi propri, si trasferisce sulla stampa locale. «Il Risorgimento», giornale di tendenze liberali, controllato dagli Alleati, pubblica il 28 ottobre un comunicato del gruppo Reale-Spano nel quale si afferma:

"La Segreteria della Federazione Campana del PCI mette in guardia le autorità e la popolazione contro eventuali atti inconsulti di sedicenti comunisti che non sono d'accordo con la politica di unità nazionale per la lotta contro il nazifascismo e che non hanno nulla in comune col Partito Comunista del quale cercano, in mala fede, di sfruttare il nome e l'influenza sulle masse [44]."

La nota viene intesa dalla Federazione di Montesanto come una «delazione» alla polizia anglo-americana in quanto essa è velatamente accusata di essere favorevole alla politica fascista e nazista [45]. Due giorni dopo lo stesso giornale pubblica una contronota della Federazione di Montesanto nella quale si mostra meraviglia per il comunicato apparso sul giornale in cui Eugenio Reale si autonominava «federale» del PCI per la Campania [46].

A seguito della polemica Reale e Spano diffondono un «libello» - come viene subito definito dagli scissionisti - in cui si accusa l'altro gruppo di «perseguire una linea anti-unitaria, in contrasto col partito e tale da instaurare una politica di avventura che porterebbe all'isolamento e alla rovina». Si attaccano inoltre duramente, uno per uno, da un punto di vista personale, i promotori della scissione [47] definendoli con l'epiteto di "trotskysti", che allora per lo stalinismo suona più o meno come fascisti.

La Federazione di Montesanto risponde con il già citato Ciò che ci divide, sviando l'accusa e sostenendo che i propri aderenti non possono essere definiti trotskysti perché il termine si riferisce ad un fatto peculiare russo e non italiano.

È una risposta che può sembrare un po' ingenua, ma bisogna tener conto che erano passati soltanto pochi anni dai grandi processi di Mosca e solo quattro da quando Trotsky era stato "giustiziato" in Messico da un sicario di Stalin. Basti pensare inoltre che «l'Unità» in dicembre ricorda ai propri lettori che il PCI vanta una esperienza coerente che va «dalla collettivizzazione al patto germano-sovietico, dalla fucilazione dei trotskysti russi alla battaglia di Stalingrado...» [48] È dunque all'interno di questo clima che si può spiegare il telegramma di felicitazioni che gli oppositori Russo e Mancini inviano il 6 novembre a Stalin, in occasione dell'anniversario della Rivoluzione Russa [49].

I primi giorni della scissione passano pieni di euforia ma, man mano che il tempo trascorre, gli oppositori si rendono conto dell'impossibilità di rappresentare una vera alternativa al centro del partito. Pesa soprattutto l'isolamento in cui si trovano e a cui si aggiunge la notevole difficoltà di allacciare rapporti con la base del partito fuori dalla Campania.

«l'Unità», che inizia le pubblicazioni ai primi di dicembre, si presenta come un importante strumento di critica nei confronti della dissidenza. Il primo numero dedica buona parte dello spazio al problema delle frazioni nel partito, alla necessità dell'unità ideologica e, soprattutto, della disciplina. Le citazioni di Stalin al riguardo non mancano. Le richieste di "democrazia interna" vengono bollate come rivendicazioni trotskyste e definite come un pretesto per lottare contro il partito [50].

Ma è il numero successivo del giornale ad annunciare che la scissione si è risolta con il ritorno della maggior parte degli scissionisti in seno al partito. La separazione è durata 45 giorni e si è risolta «felicemente», ma «l'Unità» rileva che non tutto è tornato come prima. Sarebbe pericoloso illudersi

"che l'unità ricostituita sul terreno organizzativo significhi che l'unità si sia automaticamente costituita anche sul terreno politico e ideologico [51]."

Il PCI si rende conto che esiste un notevole divario tra le aspettative delle masse che desiderano «una svolta immediata e completa» [52] e la politica interclassista di "unità nazionale", e che occorre quindi convincere i «massimalisti» rientrati ad accettare tale politica senza riserve mentali.

Per il momento la ferita è superficialmente rimarginata, ma dopo la "svolta" di Salerno, quando i contrasti diventeranno nuovamente pressanti, Togliatti, rievocando la scissione, dirà che a «provocare questo episodio increscioso molto probabilmente ha influito la mano del nemico» [53].

Verso il congresso di Salerno

Alla costituzione della CGL avevano partecipato paritariamente esponenti iscritti al PCI, al PSIUP e al Pd'A. Non aderiva la DC, che pure in quei giorni aveva avviato i negoziati che avrebbero portato al Patto di Roma. L'esclusione dei cattolici è facilmente comprensibile se si pensa che la corrente principale che costituisce il rinato sindacato di classe è rappresentata dai comunisti scissionisti di Montesanto, anche se non mancano esponenti "ortodossi" rispetto alla direzione del partito. Tuttavia nel Segretariato Meridionale della CGL, che era stato creato in novembre durante la scissione, vi era una rappresentanza paritetica di tutte le forze di sinistra: due comunisti, due socialisti e due azionisti.

La politica del Pd'A è strettamente connessa alla necessità di conquistare una base di massa. Sentendo il peso di due partiti concorrenti a sinistra, e la pressione della politica interclassista del PCI, che tende ad assorbire i ceti medi e a corrodere la sua base, il Pd'A da una parte cerca di uscire dall'ambiente sociale piccolo-borghese per dilatarsi tra gli operai, dall'altra tenta anche di diffondere attraverso il sindacato il discorso sulla democratizzazione delle istituzioni, cosa questa che gli era difficoltoso fare tramite il CLN.

A guidare l'operazione sindacale azionista è Dino Gentili, antifascista, legato a «Giustizia e Libertà», esule a Londra e poi negli Stati Uniti, sbarcato a Napoli nell'ottobre 1943. Per il suo operato Gentili cerca un appoggio negli Alleati e, secondo la descrizione di un agente dell'organizzazione di spionaggio americana OSS, egli farebbe «il buono e il cattivo tempo a radio Napoli, [...] visita quotidianamente il governatore della città, Charles Poletti [...], dispone di appartamento, automobile, fondi» [54]. Appena giunto a Napoli Gentili aveva avviato uno stretto sodalizio con Russo e, grazie al suo appoggio, era riuscito a farsi eleggere rappresentante dei portuali e ad operare nel sindacato. La presenza degli azionisti all'interno della CGL sarà l'occasione per una dose supplementare di attacchi da parte del PCI. Gentili verrà definito

"un elemento completamente estraneo alla classe operaia, piovuto di recente d'oltre mare e che - pur non essendo stato mai nemmeno semplice socio d'un sindacato - aveva nutrito l'insana ambizione di voler essere uno dei massimi dirigenti del movimento sindacale italiano [55]."

Nel frattempo «l'Unità» comincia a preoccuparsi per la situazione che si è venuta a creare a Napoli e indica i pericoli che potrebbero derivare per i lavoratori, nel caso che «eventuali arruffapopoli si intrufolino nel movimento sindacale» (allusione evidente a Russo), ed i rischi che possono provenire dalla formazione di «sindacati multipli» [56].

In quest'ultimo caso viene denunciata la creazione dei sindacati cattolici. Si stava infatti preparando al Sud il terreno per la fondazione della Confederazione Italiana del Lavoro (CIL), di ispirazione cattolica, che avverrà in marzo. La sua politica era largamente interclassista e si basava sul presupposto che «l'artificiosa antitesi di classe deve superarsi in istituti che concorrono all'armonia fra le classi nel superiore interesse di tutti». Questa frase di Domenico Colasanto, segretario della CIL, che enuclea il senso del neosindacato cattolico, si completa con la concezione secondo cui la società deve offrire «dei giusti premi ai migliori, ma a nessuno deve negarsi il necessario se compie il proprio dovere» [57]. Più che di lotta sociale si tratta dell'applicazione dei principi cristiani, ma, al di là dei propositi, rimane il fatto per il PCI che questo sindacato si prospetta "settario" ed "antifusionista".

Le correnti che formano la CGL, come si è già detto, sono rappresentate pariteticamente negli istituti direttivi. Quella socialista ha scarso peso ed i suoi quadri più impegnati militano nel PSIUP unicamente per avere copertura nel sindacato, poiché in realtà si tratta di trotskysti che praticano l'entrismo. Il caso più tipico è quello di Nicola Di Bartolomeo, dirigente del futuro Partito Operaio Comunista. Gran parte della base socialista si riconosce nella CGL dato che il partito ha ripreso la vecchia azione massimalista delle frasi roboanti ed avanzate, che nella pratica finiscono nel riformismo spicciolo, ma intanto spingono i militanti verso posizioni radicali.

La corrente azionista è estremamente esigua, mentre la più consistente, e dominante, è quella comunista. Una parte di quest'ultima, peraltro non rilevante, segue le direttive dei vertici del partito e di conseguenza tende a frenare le impazienze del gruppo più significativo, che è quello dei dissidenti di sinistra. Sebbene essi siano ancora iscritti, per la maggior parte, al partito (verranno però quasi tutti espulsi), rappresentano un tentativo di spinta alternativa rispetto alla politica dei seguaci di Reale, che, adottando una politica estremamente "elastica" verso i partiti borghesi, si mostrano irremovibili nei confronti del classismo della CGL.

In una riunione dei rappresentanti delle Federazioni comuniste dell'Italia liberata il 21 e 22 dicembre la direzione prospetta la necessità di promuovere un sindacato "unitario", comprendente cioè tutte le forze nazionali [58]. Tale proposta viene avanzata proprio quando la CGL sta riscuotendo un notevole successo; cioè dopo il Convegno che si era svolto a Napoli e dopo che «l'Unità» era stata costretta a riconoscerne la piena riuscita [59].

In effetti era stata superata ogni aspettativa ottimistica. Al convegno avevano partecipato i rappresentanti delle principali categorie professionali, tra le quali «la metallurgica, la edile, la chimica, la tessile, l'alimentazione, i professionisti e artisti» [60]. Un altro successo il sindacato classista lo ottiene poco dopo, al successivo Consiglio Generale delle Leghe e delle sezioni della Campania, in cui sono rappresentate oltre 50 organizzazioni [61].

L'iniziativa dei comunisti "ortodossi" sfocia invece in una riunione a Bari, il 29 gennaio, a ridosso del Congresso del CLN che viene sfruttato per ottenere una maggiore partecipazione. Dall'assise emerge la volontà di costituire una nuova CGL, in opposizione a quella napoletana. I segni premonitori di quello che sarà poi il sindacato unitario sono già presenti: si dichiara infatti ricostituita la Confederazione Generale del Lavoro con l'aggiunta dell'aggettivo "Italiana" e nella delibera si caratterizza il fascismo come «espressione della borghesia agraria italiana», mentre si tace della grande borghesia e delle banche, con le quali è implicito che occorre collaborare [62].

Inoltre, mentre l'organizzazione sindacale napoletana aveva proceduto ad eliminare le vecchie organizzazioni sindacali fasciste, a Bari, sostituiti i dirigenti più direttamente coinvolti, la nuova Confederazione sorge trasformando le preesistenti organizzazioni fasciste [63]. Nel Comitato provvisorio direttivo sono rappresentati anche il Pd'A e i liberali, ma naturalmente in posizione subalterna. La direzione è costituita da PCI, PSIUP e DC. I comunisti (con Pastore) mantengono una predominanza assoluta.

La carica di segretario viene affidata al socialista Bruno Buozzi e la vice-segreteria al comunista Giovanni Roveda e al democristiano Achille Grandi. Nessuno di essi, tuttavia, si trova nel territorio liberato ed è in grado, quindi, di assumere la carica. Si deve perciò presumere che tali nomi di prestigio siano stati avanzati solo per dimostrare l'importanza e l'autorevolezza della CGIL barese rispetto alla CGL di Napoli.

Il democristiano Silvio Gava, intervenendo due giorni prima ad una riunione di cattolici nella stessa città, si era espresso a favore, a certe condizioni, di un sindacato unico ed interclassista [64]. Sembra quindi giunto il momento per procedere alla creazione di una nuova organizzazione. Ma le previsioni del PCI sulla formazione di un sindacato interpartitico non si realizzano immediatamente.

Sia il PSIUP (Di Bartolomeo), che il Pd'A (Arminio), che il cattolico Colasanto criticano il modo di procedere dei comunisti. «L'Italia Libera», organo azionista, rileva il 7 febbraio come la conferenza sindacale di Bari si sia risolta in un fallimento, sottolineando, per di più, l'assenza delle organizzazioni della Campania [65]. Il Pd'A è risentito anche per il fatto di essere tenuto fuori dalle trattative in corso a Roma per la formazione del nuovo sindacato, mentre i socialisti campani si sentono quasi strumentalizzati dalla lotta tra le correnti comuniste.

La critica socialista ed azionista alla politica del sindacato di Bari rende ancor più prudente la DC, che pubblica su «Il Popolo» un comunicato, firmato congiuntamente con il PSIUP e il Pd'A, nel quale si dichiara di non riconoscere il deliberato del Congresso [66].

La CGIL di Bari non viene certo sciolta, ma non assume quell'importanza antitetica, rispetto al sindacato campano, che i comunisti volevano conferirle. Il PCI si trova così isolato nel condurre una lotta a fondo contro la CGL di Napoli e, per evitare una rottura con i socialisti, deve rallentare i tempi di formazione del nuovo sindacato.

Frattanto, verso la fine di febbraio, la CGL di Napoli riesce a strappare agli Alleati l'autorizzazione a pubblicare un giornale. Vede così la luce il 20 febbraio 1944 la nuova serie di «Battaglie Sindacali» (la prima era durata dal 1919 al 1924, anno in cui il fascismo l'aveva soppressa), con Enrico Russo come direttore e Libero Villone come redattore capo.

È stato detto malignamente che l'organo sindacale uscì grazie all'appoggio degli Alleati (con una «autorizzazione lampo del Psychological Warfare Branch» [67]). In realtà questa «autorizzazione lampo» arrivò dopo quattro mesi. Già nell'ottobre i futuri dirigenti della CGL avevano inoltrato la richiesta di pubblicazione del giornale, ma l'autorizzazione veniva rimandata continuamente con qualche pretesto come, per esempio, la mancanza di carta [68]. La carta però non mancava per gli altri giornali politici: l’«Avanti!» usciva già dall'ottobre e «l'Unità» dai primi di dicembre. Nelle edicole non mancavano neppure i giornali dell'estrema destra e filomonarchici. Quindi Gentili non era poi così potente e protetto come è stato scritto.

Enrico Russo, nell'articolo di presentazione del giornale, dà nuovamente quell'interpretazione classista che, nelle intenzioni della CGL, il sindacato avrebbe dovuto avere:

"L'unità proletaria e la sua organizzazione di classe hanno una funzione economica e sociale, che non si ferma alle semplici questioni salariali, né agli interessi contingenti, ma tende a quelle rivendicazioni sociali, che sul terreno storico si concretano nell'affrancamento integrale del lavoro da ogni forma di sfruttamento [69]."

II congresso di Salerno

Lo stesso numero del giornale annuncia il primo Congresso nazionale della CGL, che si sarebbe tenuto a Salerno dal 18 al 20 febbraio. La preparazione al confronto congressuale avviene con un formidabile lavoro di base, svolto soprattutto dalle Camere del Lavoro e dalle assemblee di fabbrica. Nelle località dove già esistono le Commissioni di fabbrica vengono eletti i delegati da inviare al congresso. I più importanti pre-congressi in Campania si tengono a Torre Annunziata, a Caserta, a Lettere e a Gragnano; in Puglia, ad Andria.

Alcuni dei delegati erano reduci da dure lotte. I rappresentanti pugliesi avevano partecipato, all'inizio del mese, allo sciopero dei cantieri Tosi e S. Giorgio. A Taranto 12 mila lavoratori erano scesi in piazza e l’8 febbraio avevano invaso la Prefettura [70].

Il tema di fondo dei lavori è rappresentato dal dibattito sull'unità di tutti i lavoratori e sul modo di raggiungerla. Per l'unità sindacale è anche il titolo di un articolo, apparso sempre nel primo numero di «Battaglie Sindacali», che delinea la concezione del gruppo dirigente della CGL:

"È necessario innanzi tutto che le libere organizzazioni sindacali sorgano [...] sulla base da tutti ammessa e riconosciuta della libertà sindacale, che questa libertà sindacale trovi un limite preciso e severo nello scopo dell'attività sindacale: l'interesse della classe lavoratrice. Se ogni partito politico volesse creare un proprio sindacato, per ogni categoria di mestiere, si farebbe con ciò il gioco e l'interesse della classe padronale [...]. Sindacati unici dunque; e sindacati raggruppati in un'unica organizzazione sindacale generale [71]."

Al Congresso di Salerno partecipano trenta Camere del Lavoro, quattro sindacati campani, ventitré federazioni della terra ed i delegati delle Commissioni di fabbrica per i centri in cui le Camere del Lavoro non funzionano ancora [72]. Una delegazione giunge dalla Puglia (Andria) e altri rappresentanti dall'Abruzzo e Molise. È assente la CGIL di Bari, che peraltro aveva fatto di tutto per cercare di impedire l'adesione delle altre province. Il Teatro Verdi, dove si tiene la manifestazione, è gremito: vi sono oltre duemila persone [73].

Il Congresso, alla cui presidenza vengono eletti Costantino Sciucca, Marcello Marroni e Dino Gentili, deve discutere il seguente ordine del giorno: relazione di Enrico Russo sulla situazione sindacale, partecipazione del lavoro italiano allo sforzo di guerra (Gentili), ripresa dei rapporti internazionali, mutualità e assistenza, stampa e nomina del Consiglio direttivo.

La relazione di Russo affronta il problema che si pone alla classe operaia in quel particolare momento:

"Non vi deve essere alcuna tregua sindacale."

Le rivendicazioni immediate ed urgenti (lotta contro il mercato nero, eliminazione della disoccupazione mediante la consegna delle fabbriche alla gestione diretta operaia, aumenti salariali, ecc.) devono essere agitate in modo da mettere in moto i lavoratori sul terreno dell'"intransigenza classista".

"Il 25 luglio non è stato altro che il salvataggio della borghesia. Si è cambiata l'etichetta, ma il fascismo è rimasto, e il proletariato lo ha capito benissimo [74]."

L'epurazione è un argomento di discussione vivace. Già sul primo numero del giornale un gruppo di operai della Navalmeccanica dava il senso delle aspettative dei lavoratori:

"Diciamo a tutti: se l'epurazione deve assumere il ruolo di una farsa, noi la trasformeremo in una tragedia."

Alcuni delegati erano giunti al Congresso appena reduci dalla cacciata dei fascisti dai posti di lavoro. Pochi giorni prima la CdL di Napoli aveva promosso l'agitazione di cinquemila dipendenti dei servizi pubblici e diretto l'occupazione delle Ferrovie Vesuvio, dove le maestranze avevano allontanato i vecchi dirigenti fascisti. Così era avvenuto anche alla Navalmeccanica, alla Volturno ed in altre fabbriche del napoletano [75].

"Oggi - aggiunge Russo nella sua relazione - dobbiamo sottrarre il sindacato al controllo statale perché potremmo trovarci nella necessità di ingaggiare una lotta proprio contro lo Stato [...]. Con il governo della borghesia non possiamo venire a nessun accordo [...]. Le masse lavoratrici sono decisamente contro il governo Badoglio che, coprendo le responsabilità dei fascisti, rinnova e rafforza il fascismo [76]."

Caduto il fascismo, sostiene Russo, non si può semplicemente affermare che si sono create le condizioni che portano direttamente dalla società capitalista a quella socialista, tramite la "democrazia progressiva" e senza la lotta di classe.

Sul problema della guerra si nota, all'interno del gruppo dirigente, la diversa impostazione degli azionisti e dell'ala comunista di sinistra. Per Gentili i lavoratori avrebbero dovuto partecipare allo sforzo bellico, «ben più direttamente che con il lavoro prestato nelle retrovie» [77].

Russo subordina invece la partecipazione operaia alla guerra all'«assoluta certezza» che i volontari «non diventeranno domani strumenti di qualsiasi reazione. Nessun operaio, nessun contadino è disposto a recarsi ad affrontare la morte se non per la libertà ed un migliore avvenire per la classe proletaria». Egli pone come condizione pregiudiziale che i battaglioni di volontari vengano composti solo da operai e diretti da ufficiali eletti. Facendo queste richieste, rende di fatto impossibile qualsiasi partecipazione operaia alla guerra nazionale, anche se non c'è un'esplicita esclusione.

Il Congresso vota inoltre l'unificazione con la CGIL di Bari. Si tratta però di una unificazione più che altro formale in quanto la stragrande maggioranza dei lavoratori segue l'organizzazione napoletana e, in ogni caso, le due organizzazioni resteranno sempre distinte [78].

Russo e Di Bartolomeo non risparmiano le critiche alla politica del CLN. Libero Villone interviene invece sostenendo la necessità di portare a fondo la lotta di classe per dare un colpo risolutivo al sistema capitalista. Egli afferma che «in ogni lotta è buona regola sfruttare la momentanea debolezza dell'avversario per debellarlo»; così il proletariato può, e deve, nel momento attuale sfruttare il vantaggio che gli deriva dal marasma in cui versa la società capitalista italiana, per infliggerle il colpo mortale [79].

Di Bartolomeo presenta un ordine del giorno, forse il più avanzato, in cui sostiene che il congresso

"considerato che le sorti della classe lavoratrice sono strettamente legate ad una radicale trasformazione della società, trasformazione basata sulla socializzazione dei grandi mezzi di produzione e di scambio, considerato che a causa della guerra, tali mezzi o sono distrutti, o sono inerti [...] dichiara di non riconoscere alcun programma di ricostruzione nazionale che tenda a rivalutare la proprietà privata ed a ricostruire il privilegio del capitale sul lavoro, contesta al governo attuale il diritto di prendere provvedimenti in materia economica [...], delibera di coordinare efficacemente, in base alle direttive su esposte, l'azione sindacale di tutte le categorie e di tutte le tendenze, al fine di consolidare sempre più l'unità delle masse lavoratrici [80]."

Al di là delle tesi enunciate dalla sinistra, il Congresso risulta influenzato dalla presenza azionista. Le mozioni finali risentono della duplicità delle posizioni, specialmente quella relativa alla «Partecipazione allo sforzo di guerra» e quella «Per la risoluzione della crisi politica», in cui il classismo della sinistra, senz'altro maggioritaria, viene limitato pesantemente.

Gentili, sostenendo la tesi azionista (che mirava a dare priorità al problema istituzionale), nella sua relazione aveva tra l'altro affermato che per appoggiare la guerra democratica era necessario prestare tutto l'appoggio alla Giunta Esecutiva del CLN eletta a Bari [81].

In effetti la concezione del Pd'A sul ruolo del sindacato divergeva molto da quella comunista. In primo luogo gli azionisti accentuavano maggiormente il momento educativo; in secondo luogo, pensavano di creare, accanto all'organizzazione sindacale, degli Uffici del Lavoro:

"proprio perché lo Stato democratico deve mantenersi estraneo alle organizzazioni dei lavoratori, garantendone così la libertà e l'autonomia, esso ha bisogno di avere un proprio organo specifico [...], Sindacati, Commissioni Interne non bastano. Il trinomio degli organismi di lavoro ha bisogno di Uffici del Lavoro [...] sulla base dell'uguale diritto di ogni cittadino di concorrere a parità di merito al lavoro indipendentemente dalla religione che professa, dal partito in cui è iscritto, dall'organizzazione di cui fa parte [82]."

Gli Uffici del Lavoro avrebbero dovuto svolgere la funzione di controllo nel collocamento della mano d'opera. Il Pd'A prevedeva, attraverso questi Uffici, l'intervento diretto dello Stato nel mondo del lavoro (ma non nel sindacato). I lavoratori a loro volta dovevano favorire quel processo di democratizzazione dell'apparato statale che era il cardine centrale della strategia azionista.

Nel gennaio 1944 era stato intanto costituito l'Ufficio provinciale del Lavoro di Napoli, affiancato poco dopo da una Commissione sindacale con compiti di controllo.

È evidente come gli Alleati, e in particolar modo gli americani, vedessero con favore la penetrazione del Pd'A tra le masse in quanto questa organizzazione, pur appoggiando lotte radicali, non diffondeva ideologie "rivoluzionarie" e, pur essendo un partito di sinistra, era svincolata da ogni influenza sovietica.

«Battaglie Sindacali», sotto l'influenza azionista, rivolge molta attenzione all'esperienza anglosassone (CIO e Trade Unions) [83]. Ma, in ogni caso, la strategia sindacale azionista non aveva alcuna possibilità di attecchire in quanto era strettamente connessa alla visione di una profonda democratizzazione della struttura statale che, al di là di ogni slogan e di ogni propaganda, nessun partito condivideva.

Il PCI, presente a Salerno con i propri rappresentanti, aveva tentato di scalzare la direzione di Enrico Russo. I dirigenti comunisti erano anche disposti ad accettare una CGL non direttamente sotto la loro influenza - almeno per il momento - a condizione che Russo venisse rimosso dalla carica di segretario.

I servizi segreti americani, in un documento del periodo, rilevano i retroscena del Congresso:

"Tengono banco Gentili, il PD'A e i comunisti dissidenti di Russo. I socialisti e i comunisti di Napoli non riescono a sconfessare del tutto Salerno e lo definiscono regionale, cercando di dare peso all'altra CGL [...] incaricano poi i socialisti presenti a Salerno di votare, nella votazione finale, contro Russo. Ma i socialisti di Salerno passarono l'informazione a Gentili e Russo si salva con 60 voti contro 26 [84]."

Ma il gruppo dirigente di sinistra della CGL soffre in questo periodo, oltreché dell'ipoteca azionista, di un'altra debolezza: l'atteggiamento nei confronti del PCI. Nonostante la durezza degli attacchi del partito nei confronti di Russo, privato della tessera di iscrizione (anche se considerato "rientrato" [85]), questi, con l'appoggio di tutta la direzione della CGL, si ostina a voler svolgere ancora la sua attività all'interno dell'organizzazione per tentare di riportarla su posizioni rivoluzionarie.

Dopo l'esperienza della scissione, e col seguito che vantano, i dirigenti della CGL pensano di avere forza sufficiente per influenzare il partito. Essi si sentono incoraggiati anche dai risultati del congresso del PCI, tenutosi a Bari alla fine di gennaio, quando Velio Spano si è ritrovato la maggioranza dei delegati «orientata verso la linea di opposizione classista nel seno dei CLN» e contraria alla collaborazione interpartitica [86].

Ma l'illusione di Russo e degli altri si sfalda nel giro di qualche mese.

Le espulsioni dal partito di coloro che erano stati riammessi e dei militanti che contestano da sinistra la linea della direzione seguono ben presto a catena. Per continuare la propria attività politica la sinistra dovrà costituirsi in frazione esterna, pur mantenendo legami con la base.

Onde parare il colpo inferto dal Congresso di Salerno della CGL, i comunisti avevano deciso di convocare il Congresso provinciale della Federazione campana. Il dibattito si apre significativamente con le parole d'ordine di «Unità nazionale contro l'hitlerismo» e di «Unità e disciplina bolscevica nel partito» [87].

Se da una parte «l'Unità» è costretta a riconoscere che «una grande attività ferve alla CGL», dall'altra riporta:

"Il comitato federale Napoletano [...], mentre richiama tutti i membri del Partito all'osservanza della disciplina [,..] decide di infliggere biasimo pubblico e collettivo a quei compagni che recentemente, nel Congresso di una organizzazione di massa molto importante, hanno mostrato di non sentire [...] la disciplina del partito [88]."

Nello stesso periodo in cui si tiene il convegno di Salerno la Campania versa in una situazione sempre più difficile. Ai primi di febbraio i territori controllati dall'Amministrazione Militare (AMGOT) vengono ceduti al governo Badoglio, che si trasferisce a Salerno. Mancano i viveri, le comunicazioni sono interrotte, i disoccupati sono molti e molte le abitazioni distrutte dai bombardamenti. Agitazioni importanti avvengono alla Navalmeccanica, alla Volturno e un po' dappertutto.

Sono lotte che il PCI non condivide e che, come vanta «l'Unità», «solo la presenza dei comunisti e degli altri antifascisti riesce a mantenere pacifiche» [89].

Il discorso di Churchill del 22 febbraio, insultante verso i partiti antifascisti italiani che egli giudica non in grado di rappresentare una valida alternativa alla monarchia, getta benzina su un fuoco già acceso, e forse è il pretesto, per le masse, di scendere in piazza. La CGL rivendica la proclamazione della sospensione del lavoro e lo stabilimento delle modalità della protesta, anche se cerca di accordarsi con gli esponenti dei partiti di sinistra.

Il giorno è fissato per il 4 marzo e l'astensione dal lavoro è stabilita in 10 minuti. «l'Unità» del 7 marzo, però, non nomina la CGL tra gli organizzatori della protesta.

Gli Alleati proibiscono la manifestazione, ma le pressioni sono molte e così, dopo un rinvio, non possono fare a meno di autorizzare un comizio, indetto in alternativa allo sciopero, che si terrà il giorno 12. Anche il direttivo della CGL, come risulta da una sua lettera inviata a «Il Risorgimento» il 12 marzo, è d'accordo sulla revoca dell'agitazione. Non si conosce però, purtroppo, il dibattito interno, tra i gruppi azionisti e comunisti, su questo specifico fatto.

Nonostante le indicazioni sindacali, in diversi luoghi di lavoro lo sciopero prorompe ugualmente. È segno dell'esistenza di un profondo malessere tra i lavoratori. «l'Unità» rileva eufemisticamente che gli operai hanno scioperato ugualmente poiché non sono stati «informati in tempo del contrordine» [90]. Tutte le maestranze del cantiere navale di Castellammare si astengono dal lavoro. Lo stesso avviene all'Ilva di Torre Annunziata e nei Cantieri Navali di San Giovanni a Teduccio. A Salerno scendono in sciopero gli operai della Manifattura Tabacchi, a Bari e nelle Puglie si ha un'entusiastica astensione dal lavoro [91].

A Napoli la manifestazione del giorno 12 riesce molto bene a dispetto di un'atmosfera arroventata, segnata da mille provocazioni. Le comunicazioni interne vengono interrotte per ordine degli Alleati, mentre la capitale partenopea è praticamente ridotta in stato d'assedio.

Il discorso di Russo si differenzia notevolmente da quelli degli altri oratori (Spano, Lizzadri, Cianca).

"Si è corso il rischio - annota nel suo diario Italo De Feo - che la manifestazione si risolvesse in un comizio anti-alleato. Per il PCI ha parlato Spano, il quale ha moderato gli accenti, ma Enrico Russo [...] è andato oltre ogni limite, minacciando da Napoli una guerra rivoluzionaria contro le potenze... capitaliste. Poco è mancato che Churchill non fosse chiamato fascista [92]."

In questa occasione il segretario della CGL rilancia la sua tesi classista di autonomia del mondo del lavoro. Egli, nel condannare il fascismo, nega qualsiasi possibilità di alleanza con la borghesia per poterlo sconfiggere [93]. Sostiene inoltre la necessità, per il sindacato, di «fare della politica perché manca un vero governo ed i problemi del popolo non possono essere affidati all'attuale» [94].

La "svolta"

Alla fine di marzo l'arrivo di Togliatti decreta il cambiamento di tattica del PCI; egli invita infatti a formare con la monarchia un governo comprendente tutti i partiti dell'arco democratico. Spiega inoltre ai lavoratori, ai disoccupati ed ai reduci che non debbono ispirarsi ad alcun «sedicente interesse di classe», ma solo a interessi nazionali [95].

La svolta governativa non era stata tentata prima dell'arrivo di Togliatti non per intima convinzione antimonarchica del gruppo dirigente ma, molto probabilmente, come confesserà diversi anni dopo Maurizio Valenzi, per il timore di «non essere seguiti da buona parte del nostro stesso partito». Ed è per questo motivo che Spano e Reale avevano rifiutato le avances che Badoglio aveva fatto loro nell'incontro del 20 gennaio [96].

Il 30 e il 31 marzo - tre giorni dopo lo sbarco di Togliatti - il primo Consiglio Nazionale del PCI dell'Italia liberata decreta l'accettazione del "compromesso istituzionale". In questo Consiglio il motivo dominante, che appare in tutti gli interventi come preoccupazione maggiore, è il radicalismo delle masse meridionali, spesso concretizzato nell'azione della CGL.

Nella sua introduzione Spano denuncia le difficoltà provenienti sia «dall'estremismo dominante nel partito e dall'attaccamento agli schemi vuoti», sia dall'illusione «che caduto il fascismo ogni problema sarebbe stato risolto e non ci sarebbe stato altro che i soviet» [97]. Le masse, che per il PCI «hanno istinto ma non coscienza» (espressione questa di Vincenzo La Rocca), debbono essere riconquistate ad una politica di «unità nazionale» [98].

Nella risoluzione finale tale obiettivo viene però esposto in modo sfumato mentre, nel contempo, si riconosce l'importanza assunta dalla CGL nell'Italia liberata [99] [xcix] . Nel corso del dibattito molti interventi, tra cui quelli di Gullo, La Torre e Fiore, mettono in luce il distacco tra la base («anche tra i vecchi e più fedeli militanti del partito») e il gruppo dirigente.

Il "caso" della CGL fa capolino in ogni discorso e si prospetta, concordemente, la necessità di allontanare Russo e Gentili dalla sua direzione. Reale, con un po' di esagerazione, sostiene che Gentili, «persona equivoca», è «l'autore di un progetto, sottoposto a Cordel Hull, per la cessione dei territori italiani agli USA» [100] [c] . Togliatti, invece, taglia corto:

"Occorre liquidare in fretta questa situazione, accelerare la riorganizzazione sindacale. Prendere contatti col PSI per avere insieme la direzione effettiva. Parlare con Russo, se non c'è soluzione sconfessarlo [101]."

Il leader del PCI è ormai a conoscenza dell'influenza preponderante della Confederazione sulle masse meridionali e, quindi, pensa che sia urgente riportarne sotto l'ala del partito la dirigenza, usando qualsiasi mezzo.

La prima mossa è l'azione diplomatica. Appena sbarcato, e conosciuta la situazione, Togliatti si era recato personalmente nella sede della CGL. Aveva salutato calorosamente Enrico Russo e lo aveva invitato ad un incontro presso la Federazione comunista [102]. Durante il colloquio, avvenuto a porte chiuse ai primi di aprile, Togliatti aveva cercato di convincere Russo che l'unica strategia possibile era quella dell'"unità nazionale". Il segretario del sindacato non avrebbe dovuto far altro che disimpegnarsi dalle posizioni sino ad allora sostenute, anche senza una formale autocritica, e Togliatti lo avrebbe appoggiato, regolarizzando, inoltre, la sua posizione in seno al partito [103].

Ma la direzione della CGL, confortata dal seguito di massa, è ferma sulle linee stabilite. Al partito non rimane allora, in attesa di una soluzione rispondente alle proprie direttive, che attaccare duramente la CGL e cercare di screditarla agli occhi dei lavoratori. Dalla seconda metà di aprile non vi è numero de «l'Unità» che non riporti un articolo contro il sindacato di Russo.

Le lotte salariali che scoppiano in aprile creano tensioni con il governo, che si sta preparando ad una "ristrutturazione" mediante la cooptazione di tutti i partiti del CLN, comunista compreso.

Mentre il nuovo governo è ancora in gestazione, la CGL scrive che nessun gabinetto «di collaborazione con elementi responsabili del fascismo può risolvere i problemi della crisi politica ed economica, né soddisfare le esigenze delle masse» [104]. In occasione del Primo Maggio la direzione napoletana si scontra con il partito quando quest'ultimo tenta di sostituirsi al sindacato nella convocazione della manifestazione.

Il governo appena costituito, con uno dei suoi primi atti, aveva riconosciuto ufficialmente questo giorno come festa nazionale. I socialisti, il PCI e la CGL invitano pertanto i lavoratori a partecipare ad una grande manifestazione da tenersi nelle maggiori città del Sud. Ma la CGL, in una lettera, rivendica il diritto di organizzare le celebrazioni, alle quali i partiti possono ovviamente aderire. Si giunge ad un compromesso secondo cui, pur programmando un'unica manifestazione, il sindacato ed i partiti possono, ognuno per proprio conto, lanciare i loro appelli. Quello della CGL contiene una critica esplicita della politica del PCI:

"La possibilità di affermazione dei lavoratori [...] risiede esclusivamente in quella unità, che trascendendo i confini della nazione, fonde in un blocco solidale i lavoratori di tutti i paesi. Unità che si manifesta nel lavoro organizzato nazionalmente ed internazionalmente [...]. Abbiamo sperimentato nel campo delle idee, come in quello dei principi generali, che nessun compromesso è ammissibile, in quanto ogni compromesso su quel terreno porta fatalmente all'indebolimento delle capacità combattive e ad un allontanamento della vittoria finale [105]."

L'appello congiunto del PCI e del PSIUP risente invece di un atteggiamento nazional-patriottico. In esso si auspica che tutte le forze italiane dell'antifascismo scendano in campo e che «tutti i cittadini che amano la libertà» combattano per la liberazione e per la redenzione del loro paese [106].

I cattolici non partecipano alle manifestazioni e ne indicono una propria per il 15 maggio, per celebrare l'anniversario dell'enciclica Rerum Novarum [107].

L'indipendenza dal governo pone il nuovo sindacato come l'unica organizzazione che si colloca intransigentemente per la difesa delle condizioni di vita dei lavoratori; cosicché tutte le forze rappresentate nel governo, o che in esso si riflettono, tendono a discriminare sui posti di lavoro i sindacalisti della CGL. L'organizzazione è costretta a denunciare la situazione che si viene a creare dopo la formazione del governo ed incita i propri militanti a non avere paura «di incorrere nelle persecuzioni» [108].

Ma l'attacco più duro al governo viene lanciato dalla Confederazione agli inizi di giugno, a causa del mancato adeguamento dei salari dei dipendenti ministeriali al costo della vita ascendente. Gli aumenti dovevano essere preventivamente autorizzati dalle autorità alleate, dato che Napoli si trovava ancora sotto la loro giurisdizione.

"Non ha ragione, nessuna ragione di esistere - ribadisce severamente «Battaglie Sindacali» -, né verso il popolo italiano, né verso gli Alleati, un governo che non abbia neppure il prestigio necessario per convincere la Commissione Alleata di controllo dell'urgenza dei miglioramenti economici [109]."

E, a commento dell'esito positivo della vertenza dei servizi pubblici, il giornale è costretto a polemizzare con i fogli di sinistra che vogliono ascrivere ai loro «compagni Eccellenza», presenti al governo come ministri, il merito del felice risultato. Dalla vicenda la CGL trae la conseguenza che i lavoratori «incominciano a capire di non poter fare assegnamento che sulle proprie forze, sulla propria iniziativa, sulla propria capacità» [110].

«l'Unità», difendendo il governo, risponde alle critiche di «Battaglie Sindacali» sostenendo che in esso vi sono degli uomini che «comprendono» le sofferenze dei lavoratori mentre invece tra i dirigenti della CGL vi è chi è stato, «in altri paesi e in altri tempi, se non campione, pedina della stolida lotta contro il movimento comunista» [111].

Dal canto suo, «Battaglie Sindacali» risponde ironicamente che la preoccupazione dei comunisti per la presenza di anticomunisti all'interno della CGL sarebbe comprensibile se avessero deciso di

"mettere alla porta, quanto meno di non accogliere più nelle file del partito comunista uomini bacati, che hanno servito il fascismo e che oggi tentano di farsi perdonare le loro malefatte inserendosi nei ranghi dei partiti antifascisti [112]."

Il 14 maggio «l'Unità» accusa il sindacato napoletano di essere antidemocratico (il che significa la rivendicazione di un maggiore spazio e potere per i comunisti ortodossi) ed il 21 seguente invita apertamente la CGIL di Bari ad operare con una aperta rottura. Nel frattempo inizia a funzionare presso la Federazione comunista un ufficio di consulenza sindacale, con chiari intenti concorrenziali [113]. L'obiettivo immediato del Partito è giungere ad una ricomposizione in proprio favore delle direzioni delle Camere del Lavoro e del sindacato napoletano. Afferma il quotidiano comunista:

"Bene o male, comunque, le organizzazioni della CGL sono oggi ricostruite quasi dappertutto. Si tratta di svilupparle, di consolidarle, di renderle unite, ordinatamente attive e quindi rigorose. A questo grave problema una soluzione esiste, a parer nostro, ed è la liquidazione delle situazioni provvisorie [114]."

Intanto la polemica contro la CGL prosegue dappertutto e i sindacalisti della CGL vengono bollati come «settari», «scissionisti» ed «antidemocratici». Mentre si procede all'espulsione di chiunque non condivida la linea politica ufficiale, il ministro Togliatti intensifica la sua propaganda verso gli operai mediante visite ufficiali nelle maggiori fabbriche del Sud.

Alla fine di maggio la convocazione di un Congresso a Bari, al quale partecipano i rappresentanti della CGIL di Bari e della CGL di Napoli ha, come "logico", carattere interlocutorio, sia per l'approssimarsi della liberazione di Roma sia perché «si preferì non pregiudicare con deliberazioni impegnative le trattative che, si sapeva, a Roma erano giunte a buon punto fra i partiti di massa» [115]. Infatti a Roma il PCI, la DC e i socialisti erano prossimi alla firma dell'accordo sindacale. «Una volta scelta questa strada», scrive il comunista Pillon, è chiaro che la tattica del PCI non può essere che «quella della lotta su due fronti sindacali»: l'eliminazione della cattolica CIL e dell'indipendente CGL [116].

Con la stipula del Patto di Roma nel giugno del 1944, i tre partiti si accordano sulla costituzione di un sindacato da allargare su scala nazionale e diretto, praticamente, da loro stessi. La nuova CGIL romana nasce così come filiazione diretta delle organizzazioni politiche, cala dall'alto e burocraticamente sulla testa dei lavoratori e s'impone grazie alla forza e legittimazione che riceve dal governo e dalle sue componenti.

I dirigenti della CGL conoscono le intenzioni dei partiti democratici, ma non i termini su cui si fonda il nuovo sindacato; non sono stati né informati né invitati. I partiti hanno deciso -commentano sul loro giornale dopo aver appreso la notizia - di fondare un sindacato diverso da quello già esistente, perché intendono «opporsi alla politica da noi seguita sin qui. Tale politica si riassume nella formula "indipendenza dai partiti politici"» [117].

Per la CGL, la nuova Confederazione, così come viene realizzata, assomiglia troppo al «corporativismo perché non vi sia il pericolo che le masse guardino ad essa con sospetto» [118]. Più tardi scriveranno che

"l'unità non si impone con una decisione dei partiti e non si realizza efficacemente in un Sindacato Unico dominato dai partiti. Diciamo che quest'unità non rinsalda le fila del movimento operaio in quanto ne attenua le capacità combattive e il senso d'autonomia [119]."

Il 6 giugno il Consiglio Direttivo del sindacato napoletano si riunisce (alla presenza di Arminio, Bosso, Gentili, Iorio, Gallo, Russo e Sciucca) e vota un ordine del giorno nel quale stigmatizza l'azione svolta da Di Vittorio e Grandi a Roma. Comprende tuttavia che l'unica possibilità di sopravvivenza consiste nello «stabilire al più presto contatti con i lavoratori di Roma e, oltre Roma, in tutta Italia» [120].

Per contrastare l'ormai invadente sindacato romano la CGL, nello stesso mese, stipula con la CIL un accordo riguardante fondamentalmente l'attività sindacale di base ed i contratti collettivi [121].

Ma anche la CIL, superando resistenze interne che rendono necessario un viaggio a Napoli di Achille Grandi, aderisce al Patto unitario.

Nei confronti della CGL i tre partiti egemoni del nuovo sindacato tentano, in un primo momento, di operare una scissione azionista. Dopo aver escluso il Pd'A dai preparativi del costituendo sindacato, essi cercano, a cose fatte, di assorbirlo in funzione subordinata sollecitando la corrente di Gentili ad eliminare quella di Russo. Dino Gentili, invitato da Di Vittorio, respinge le offerte ed insiste invece per un eventuale inserimento di Russo nella nuova CGIL. Se però Gentili personalmente non accetta, molti azionisti ne approfittano per abbandonare il sindacato campano e aderire a quello romano.

La Confederazione di Russo e Gentili, che da questo momento entra in una fase critica, accusa il sindacato interpartitico di operare in modo non democratico e di usare mezzi scorretti. Quando i sindacalisti meridionali si recano nelle fabbriche per qualche vertenza, essi trovano ad accoglierli i carabinieri, chiamati, sostiene «Battaglie Sindacali», «non si sa da chi» [122].

La CGL, pur sentendo diminuire le proprie forze, mostra tuttavia una notevole volontà di sopravvivenza. Essa gode ancora di un buon seguito, e ciò viene riconosciuto dallo stesso PCI che, nel mese di giugno, in una conferenza d'organizzazione, ritiene che

"la debolezza del partito si manifesta principalmente nel campo sindacale per cui la cresciuta influenza tra gli operai e gli impiegati non ha ancora portato al necessario rafforzamento e risanamento dei sindacati [123]."

Tutti i mezzi per sottrarre spazio alla CGL vengono utilizzati. Il PCI giunge anche ad appoggiare, con una risoluzione adottata dal Comitato Federale il 5 luglio, l'ordine del colonnello Chapman di vietare gli scioperi ed ogni manifestazione e che dispone la punizione dei lavoratori addetti ai servizi telefonici e telegrafici con la pena di morte in caso di sospensione del lavoro [124]. Tale direttiva giunge dopo la protesta degli operai della SET (società telefonica) contro il direttore fascista Pellegrini, rimasto in carica anche dopo la liberazione di Napoli.

«Battaglie Sindacali» sostiene che

"la classe padronale ha trovato un inatteso alleato nella Federazione Comunista Campana che con la sua deliberazione del 5 luglio plaudiva con convinzione all'ordinanza regionale [125]."

«l'Unità» risponde all'accusa della CGL riportando la presa di posizione comunista, amputata però della parte incriminata, che sarà pubblicata integralmente da un numero successivo di «Battaglie Sindacali» [126].

Al PCI non resta che continuare l'attacco frontale per screditare la CGL, la quale sarebbe diretta dal «mestierante senza scrupoli» Dino Gentili, che non ha «mai conosciuto che cosa significhi in Italia lottare contro il fascismo» [127].

Tra i dirigenti della Confederazione di Roma e di quella napoletana vi è tuttavia uno scambio di lettere per tentare di giungere ad un'intesa. Il 4 luglio Russo e Gentili scrivono:

"[...] Due sono i punti essenziali del nostro atteggiamento, [...]1) che il movimento sindacale italiano non diventi strumento di nessun partito, né di alcuni partiti, ciò che a parer nostro pregiudicherebbe la vita stessa del sindacato e ne impedirebbe la funzionalità creatrice, 2) che l'unità sindacale sia realizzata in modo da poter tenere, sia cioè unità tra elementi non solo affini, ma operanti con metodi uguali. Sul punto 1) voi dite di essere d'accordo, ma noi contestiamo che il metodo da voi seguito con la nomina dei segretari indicati dai partiti sia più opportuno a mantenere l'indipendenza del movimento. Sul punto 2) noi affermiamo che sia più confacente alla situazione e alla necessità di lasciare libero gioco alle rispettive tendenze di fare un patto di intesa coi democristiani come quello da noi realizzato a Napoli, piuttosto che stipulare una unità assoluta [128]."

La risposta della CGIL, firmata congiuntamente da Di Vittorio, Grandi e Lizzadri, sarà molto dura e chiara:

"[...] In primo luogo ci proponete di lasciare in vita una Confederazione Generale del Lavoro meridionale con sede a Napoli, nello stesso tempo che è stata costituita ed è in piena vitalità la Confederazione Generale Italiana del Lavoro come organismo unitario di tutti i lavoratori italiani. Questa vostra pretesa, che non ha e non può avere nessuna giustificazione obiettiva e che non ha precedenti nella storia del movimento operaio italiano, non ha e non può avere altro scopo che quello di salvaguardare ad ogni costo alcune posizioni personali precostituite in condizioni eccezionali, prima della liberazione di Roma [129]."

Dal canto suo Di Vittorio, che cerca di diffondere l'idea unitaria in decine di comizi, invita il Comitato Direttivo della Confederazione meridionale a risolvere «democraticamente» il problema dell'unificazione sindacale, mediante un regolare Congresso [130].

La direzione di Napoli, dopo aver valutato la situazione, ritiene di dover accettare [131]. Tenta allora di ricomporre nuovamente l'unità con la Confederazione di Bari per presentarsi all'incontro su posizioni di maggior forza. Ma il Congresso, fissato per il 29 luglio, viene rimandato prima al 18 agosto e poi a data ...da stabilirsi.

Peraltro lo sfaldamento della CGL, incalzata dall'azione del PCI, aveva iniziato il suo corso.

"I rappresentanti della CGIL - denuncia «Battaglie Sindacali» - [...] continuano l'opera disgregatrice dell'organizzazione, attraverso pressioni e minacce sui compagni organizzatori perché aderiscano a Roma, e facciano aderire le rispettive organizzazioni [132]."

Soltanto le Camere del Lavoro di Napoli, Salerno e Foggia rimangono in attesa di una chiarificazione, pur proseguendo il dibattito al loro interno. La Federterra ed altri sindacati di categoria si affiliano alla CGIL, senza neppure avvertire la direzione napoletana.

L'11 agosto la crisi segna il culmine con la riunione della Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro di Napoli, nella quale si vota un ordine del giorno presentato da Di Bartolomeo, che contempla l'«adesione critica» alla CGIL. Vicenzo Iorio, per protesta contro il deliberato, rassegna le dimissioni da Segretario della Camera del Lavoro [133], mentre Vicenzo Gallo, minacciato di espulsione dal PCI, si dimette dal Direttivo. Vincenzo Bosso, segretario della Federazione dei postelegrafonici, accoglie le sollecitazioni del Partito Socialista, al quale è iscritto, presenta le dimissioni e aderisce alla CGIL.

Nel frattempo la Confederazione fondata a Roma ottiene importanti riconoscimenti sul piano internazionale. Il 23 agosto giungono in Italia i delegati dei sindacati americani Luigi Antonini e George Baldanzi, e pochi giorni dopo arrivano dall'Inghilterra Will Lawater e Tom O'Brien, delegati delle Trade Unions. Giunge anche Walter Schevenels, segretario della Federazione Sindacale Internazionale. La presenza dei sindacalisti stranieri spinge la CGIL a programmare a Roma, per il 15-16 settembre, il primo convegno delle organizzazioni unitarie già ricostituite al Sud.

A Napoli, una riunione del Consiglio delle Leghe indetta il 24 agosto discute sull'«adesione a Roma» e sui «problemi di prospettiva e strategia in rapporto all'unità sindacale con la Democrazia Cristiana» [134].

La riunione decide a maggioranza l'adesione alla CGIL ed approva un documento presentato da Di Bartolomeo nel quale tuttavia si ribadisce

"il concetto di una politica del lavoro indipendente dai partiti politici basata sulla lotta di classe e sulle libertà democratiche di tutte le correnti sindacali [135]."

Subentra quindi un contrasto tra la maggioranza, ormai rassegnata all'adesione critica a Roma, ed il gruppo Russo, deciso a tener duro.

In quest'ultima riunione si vota anche una risoluzione con cui si chiede alla direzione il passaggio di «Battaglie Sindacali» al Consiglio delle Leghe, per riflettere la nuova situazione.

Intanto si prepara il convegno del 27 agosto, indetto con lo scopo di sciogliere definitivamente la CGL e di designare i dirigenti che avrebbero dovuto rappresentare i lavoratori meridionali nel nuovo sindacato [136]. Qualche giorno prima dell'apertura del convegno una lettera firmata dai tre segretari della CGIL intimava ad Enrico Russo di sospendere la pubblicazione di «Battaglie Sindacali» [137].

Al convegno di Napoli del 27 sono presenti oltre cento delegati provenienti da tutto il Sud e da Roma, dove la CGL è appoggiata dal Movimento Comunista d'Italia («Bandiera Rossa») [138].

Vi sono rappresentanti delle Cotonerie Meridionali, della SME, della Breda, del Silurificio, della Cirio, della FIOM, della SET, dei pubblici servizi, degli edili, dei lavoratori del mare, degli operai di Stato, della Circumvesuviana, dello Spolettificio, dell'ILVA e di altre aziende.

Gentili, nel suo intervento, traccia brevemente le alternative possibili:

"O restare come CGL o entrare nella CGIL. La prima via è impossibile oltre che per le enormi difficoltà, specie di ordine finanziario, anche e soprattutto perché l'esistenza di due Confederazioni Generali del Lavoro creerebbe col tempo una vera scissione del movimento di classe. Resta la seconda via: bisogna che tutte le nostre organizzazioni entrino nella CGIL [...]. Questo è l'invito del Comitato Direttivo della nostra Confederazione [139]."

Il dibattito approva l'ultima posizione. Viene comunque creato un Comitato della sinistra sindacale col compito di difendere le basi di classe all'interno del sindacato unitario. I lavoratori sono invitati a

"stringersi intorno al Comitato ed a lottare con esso all'interno della CGIL perché questa sia fondata sui principi dell'unità, della lotta di classe, della democrazia [140]."

Russo, che nel frattempo si è dimesso da ogni carica per facilitare l'operazione, nel discorso di chiusura afferma amaramente che

"per la prima volta nella storia del movimento sindacale un organo direttivo è costretto a dissolversi per il prepotere di forze soverchianti [...]. Dalla liberazione di Roma ci attendevamo un più vasto respiro di libertà. Ma questo respiro è stato soffocato [141]."

La decisione dei sindacalisti della CGL di trasferire la lotta di classe all'interno del sindacato unitario potrebbe rappresentare un pericolo per il Patto di Roma. Il comunista Di Vittorio, riferendosi al convegno di Napoli, dichiara preoccupato che

"la mozione votata [...] è pur sempre una mozione di carattere scissionista, perché con l'affermazione del postulato della lotta classista accentua, in questo senso, le posizioni di una parte delle forze proletarie e mira a provocare la scissione con i democristiani che non possono seguire su questo piano il sindacalismo [142]."

È l'ultima occasione in cui si criticano aspramente coloro che concepiscono il sindacato svincolato da ogni influenza dei partiti democratici ed impostato su una linea di classe. In realtà, però, i dirigenti del sindacato napoletano negavano solamente la sudditanza verso i partiti che accettavano la politica di "unità nazionale".

Come si è già visto, e come vedremo meglio più oltre, solidi legami si erano stabiliti tra alcuni dirigenti e militanti della CGL e alcune organizzazioni politiche di estrema sinistra. Sarà su questo terreno che in certo senso continuerà la storia della CGL.

Dino Gentili, presentandosi al Convegno di Roma del 15 settembre come delegato della Federazione dei Tessili, tenta invano di farsi ascoltare. I dirigenti comunisti della CGIL faranno votare una mozione con la quale si decide di non ammetterlo nemmeno nella sala [143].

Oltre a ciò, si verificava un altro episodio. Dopo il convegno di Napoli del 27 agosto, che aveva deciso lo scioglimento della CGL, la Camera del Lavoro della città aveva chiesto alle autorità Alleate l'autorizzazione a continuare la pubblicazione di «Battaglie Sindacali» sotto la direzione di Di Bartolomeo (in base al voto emesso dal Consiglio delle Leghe). E gli Alleati avevano acconsentito [144]. Tuttavia il Partito Comunista - testimonia Di Bartolomeo - non solo si oppose a questa decisione, ma domandò addirittura l'esclusione del direttore responsabile. Gli esponenti della tendenza socialista contestarono la pretesa dei comunisti.

"Ma tutto fu inutile, il deliberato della Camera Confederale del Lavoro di Napoli venne sostituito da quello del PCI [145]."

Gli Alleati revocarono l'autorizzazione alla pubblicazione del giornale diretto da Di Bartolomeo [146] . «Battaglie Sindacali» continuò ad uscire allora sotto la direzione del comunista ortodosso Clemente Maglietta, promosso poco dopo segretario della Camera del Lavoro di Napoli. Prima di Maglietta, la segreteria politica della CdL era stata affidata temporaneamente al comunista Leonardis, fascista convinto sino al 25 luglio [147].

Terminava così, in questo tragico biennio, un'esperienza unica in Italia. Da una parte, i lavoratori avevano dimostrato di sapersi organizzare su basi autonome per difendere i loro interessi, anche se in modo contraddittorio e confuso; dall'altra, la coalizione delle forze politiche cercò con tutti i mezzi di sottomettere il movimento di classe agli interessi nazionali.

La CGIL, a coronamento di questa operazione, veniva accolta dagli Alleati come la forza vincitrice ed accreditata come la sola «rappresentante del lavoro italiano» [148].

Ma, a Napoli, la sua vittoria non fu facile e, soprattutto, non fu immediata. Il nuovo sindacato fece fatica a farsi riconoscere come l'unica organizzazione dei lavoratori. La perdurante influenza della disciolta CGL nel servizio pubblico e la sua esperienza di lotta fra i metalmeccanici «costituivano alcuni fattori che contrastavano l'egemonia della CdL» [149].

Indicativa è la difficoltà a costituire federazioni di categoria associate alla nuova CdL laddove esistevano precedenti organizzazioni, È il caso, ad esempio, della federazione regionale dell'arte bianca (mugnai e pastai) e della Libera Unione dello Spettacolo [150].

Nel settore dei servizi pubblici (postelegrafonici, ferrovieri ed ospedalieri) l'influenza del vecchio sindacato rimase notevole. L'organizzazione di questo settore si contrappose per un certo periodo alla nuova CdL [151]. E ancora nel luglio del 1945 l'esecutivo della CdL discuteva sulla necessità di ristrutturare la Federazione dei Pubblici Servizi, sulla quale aveva una pesante influenza la minoranza sindacale [152].

Nel servizio pubblico si ha in questo periodo il maggior numero di scioperi "selvaggi", cioè non programmati dalla CdL. Ripetuti scioperi consimili si hanno tra i ferrovieri, i dipendenti dell'acquedotto e, soprattutto, tra i comunali e gli statali. Il democristiano Tortorelli, segretario della Federazione degli Statali, ad esempio, nell'agosto del '44 si lamenta di non riuscire a contenere uno sciopero nel suo settore [153].

I ripetuti scioperi non ufficiali che si verificano nel napoletano e la continua esistenza di organizzazioni dissidenti fanno ritenere che il ruolo della CGIL a Napoli, sino all'immediato dopoguerra, sia alquanto limitato [154].

Dopo lo scioglimento della CGL alcuni esponenti dell'organizzazione rifluiscono all'interno della componente socialista della CGIL e vengono eletti nell'Esecutivo della CdL, fino al primo Congresso, che si svolge nel giugno del 1945 [155].

La CGL e le lotte contadine

Durante la sua esistenza, la CGL si trovò inserita nella ripresa del movimento rurale del Sud. Sin dal 1943 le agitazioni bracciantili e contadine si erano risvegliate con violenza, sorprendendo le stesse organizzazioni di sinistra per l'intensità e gli obbiettivi che si ponevano [156].

"Le dure lotte che si ebbero nelle campagne fin dal 1943, per l'occupazione delle terre incolte e la riforma dei patti colonici e di mezzadria -ha scritto Vittorio Foa -, non si ponevano ovviamente obbiettivi alternativi al capitalismo [157]."

Ma la loro carica dirompente poteva essere collegata alla lotta della classe operaia urbana per rafforzare il movimento nel suo insieme. Pur non risultandone uno sconvolgimento dei rapporti di forza tra le classi, il loro legame con le lotte operaie avrebbe senz'altro migliorato la posizione del proletariato nell'immediato dopoguerra e gli avrebbe dato più possibilità di difesa nel successivo ciclo discendente di lotte.

I partiti di sinistra, ovviamente, non si ponevano il problema, in quanto avevano ormai collocato la loro strategia "all'interno dello Stato"; di conseguenza, le masse meridionali dovevano essere abbandonate a se stesse o se ne dovevano incanalare le azioni nell'alveo "nazionale". Lo storico Paolo Spriano ammette che il Partito Comunista

"si trova in molti casi a dover scegliere, laddove esso ha una qualche influenza, tra una funzione di "pompiere" e un appoggio puramente propagandistico delle agitazioni [158]."

E, non potendo spingere troppo verso la seconda soluzione, per il semplice motivo che l'appoggio propagandistico avrebbe potuto avere un effetto stimolante e moltiplicatore, il partito di Togliatti fu costretto a ripiegare sulla prima. Ma anche i socialisti non si comportarono diversamente [159].

Alla testa delle manifestazioni ritroviamo così, molto spesso, i vecchi militanti di sinistra che avevano partecipato alle lotte del 1919-20. La CGL, che aveva raccolto attorno a sé quest'area radicale, si scontrò con il PCI anche sulla questione contadina.

Non immediatamente, però, perché le rivolte dell'autunno e dell'inverno 1943-44 furono sostenute dalle locali sezioni comuniste, che si rafforzarono proprio in tale circostanza.

Esse in ogni caso non si muovevano secondo indicazioni del vertice del partito, ma secondo la propria iniziativa autonoma, in quanto la centralizzazione era ancora embrionale. Inoltre mancava nel partito quell'"autorità" - che sarà impersonata da Togliatti al suo ritorno - in grado di imporre immediatamente la disciplina [160].

Nei primi mesi di attività anche la CGL si era rafforzata tra le masse rurali. Al primo Congresso, svolto a Salerno il 20 febbraio 1944, parteciparono, insieme a 30 Camere del Lavoro, 23 Federazioni della Terra [161]. Già nel primo numero del giornale un articolo [162] delineava il compito che avrebbe dovuto svolgere il sindacato tra i lavoratori agricoli.

Si tentava anche una classificazione dei vari strati sociali del mondo agricolo per individuare i settori oggettivamente legati alle lotte della classe operaia. Enrico Russo aveva invitato i militanti siciliani, pugliesi e calabresi della Confederazione ad inserirsi nei movimenti dei contadini per infondervi

"gli insegnamenti necessari a condurre ed operare un collegamento di classe con la lotta dei nostri fratelli operai partigiani al Nord [163]."

«Battaglie Sindacali» del 18 giugno 1944 riportava che

"Il problema ha una sola possibilità di soluzione: la terra a chi la lavora! Su questa innovazione centrale si inseriscono le altre che permettono una soluzione quasi integrale del problema: bonifiche, abolizione delle riserve di caccia e di residui privilegi medioevali, infine applicazione di tutte quelle conquiste tecniche che servono a valorizzare la terra [...]. Unico inconveniente, la necessaria manomissione dell'istituto borghese della proprietà privata. Ma questo è un inconveniente per chi gode della proprietà privata, non per quella stragrande maggioranza degli abitanti del Mezzogiorno che ne subisce le disastrose conseguenze."

Per la CGL la strategia di lotta nelle campagne doveva basarsi sui braccianti, sui piccoli affittuari e sui contadini poveri [164]. La sua azione si esplicò attraverso la Federterra di Napoli (la Federterra di Bari era legata al PCI) con la difesa dei diritti del bracciantato, con la denuncia della situazione alimentare, con i miglioramenti dell'assistenza, ecc. La Federterra intendeva anche spingere per impiegare i braccianti nelle opere di bonifica dei terreni e per far sì che le terre bonificate fossero poi affidate ai braccianti stessi, in modo da tendere alla «trasformazione del bracciante in operaio agricolo di aziende collettive [165].

Verso gli affittuari la Federterra si proponeva una serie di rivendicazioni normative e in materia contrattuale. Quando si rese necessario il provvedimento dell'ammasso del grano la CGL lottò perché il prezzo del cereale pagato ai contadini fosse aumentato.

Come si può notare, il sindacato meridionale aveva assunto verso il mondo rurale una posizione non univoca, ma piuttosto complessa, che andava dall'appoggio al bracciantato sino alla parola d'ordine de "la terra a chi la lavora". Insomma, esso accomunava rivendicazioni classiste con atteggiamenti da lotte arretrate, ma che, in ogni caso, riflettevano la situazione del periodo.

Secondo Nicola Gallerano, la CGL non riuscì in ultima analisi

"a ottenere risultati sul piano della intensificazione delle lotte e neppure della realizzazione di un collegamento con il movimento nelle campagne [166]."

Ciò perché la sua parabola come forza sindacale e di lotta si esaurì troppo presto, e non per colpa propria.

Note

[1] Per la situazione sociale ed economica della Campania in questo periodo si veda l'introduzione di Luigi Cortesi a La Campania dal fascismo alla Repubblica, Regione Campania, Comitato per la celebrazione del XXX anniversario della Resistenza, Napoli, 1977, e Nicola Gallerano, La disintegrazione delle basi di massa del fascismo nel Mezzogiorno e il ruolo delle masse contadine, in Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-44, Milano, Feltrinelli, 1974.

[2] In quattro anni Napoli subisce 105 attacchi aerei. Più di 230 mila sono i vani distrutti o resi inabitabili. I morti sono indicati in circa 22 mila. Cfr. Giacomo De Antonellis, Il Sud durante il fascismo, Manduria, Lacaita, 1977, pp. 58-9.

[3] Cfr. Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi,1964, pp. 118-32. Sulla rivolta di Napoli si rimanda a Corrado Barbagallo, Napoli contro il terrore nazista, Napoli, Maone, s.d., e a Giacomo De Antonellis, Le quattro giornate di Napoli, Milano, 1973.

[4] N. Gallerano, op. cit., pp. 439-40.

[5] Ministero per la Costituente, Rapporto della commissione economica presentato all'Assemblea Costituente, Roma, Voi. Ili, Industria, I, 2, p. 394.

[6] Su questo problema si rimanda a E. Capecelatro-A. Carlo, Contro la «questione meridionale», Roma, Savelli, 1972, e agli articoli di Amadeo Bordiga riportati in Arturo Peregalli (a cura di), Il comunismo di sinistra e Gramsci, Bari, Dedalo, 1978.

[7] L. Cortesi, op. cit., p. 8.

[8] Cfr. G. De Antonellis, op. cit. ; Riccardo Cerulli, La Resistenza a Teramo, Roma, 1960; Francesco Elia Ricco, Chieti nel periodo dell'occupazione tedesca, Guardiagrele, 1949; Pio Costantini, La Resistenza a Chieti, Firenze, 1957; Aldo Raserò, Morte a Filetto. La Resistenza e le stragi naziste in Abruzzo, Milano, 1970; Ettore Troilo, I partigiani della Maiella, Milano, 1955; Francesco Nitti, Tre episodi della Liberazione nel Sud, Matera, 1958.

[9] Giacomo De Antonellis, Il Sud durante il fascismo, cit., p. 268.

[10] Per una descrizione generale si rimanda al testo richiamato nella nota precedente.

[11] Antonio Ghirelli, Napoli italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 232-3. Per il movimento comunista ufficiale a Napoli nel periodo fascista cfr. Nicola De Ianni, Partito Comunista e movimento operaio a Napoli. 1921-1943, «Storia contemporanea», n. 136, luglio-settembre 1979.

[12] Eugenio Mancini, nato nel 1881, di origine calabrese, fratello del deputato socialista Pietro, fu segretario regionale della frazione terzinternazionalista nel '23. Dal '24 svolse attività nel PCd'I. Arrestato nel '28 fu più volte inviato al confino. Non rispettò le direttive comuniste ed inoltrò domanda di grazia. Elemento di spicco nelle quattro giornate, fu uno degli artefici della scissione di Montesanto, su cui si veda più oltre.

[13] Nelle sue Memorie di un comunista napoletano, Parma, Guanda, 1975, p. 113, Mario Palermo ha scritto: «Con Reale mi vedevo all'insaputa di Mancini, perché tra i due, dopo un primo incontro piuttosto burrascoso, non correvano buoni rapporti, soprattutto perché il nostro gruppo era considerato trotskysta, dato che avevamo delle riserve sulla politica di Stalin».

[14] Archivio Centrale dello Stato (d'ora in poi ACS), Ministero dell'Interno, Direzione Generale PS, Div. AAGGRR, Casellario Politico Centrale, fase. Amadeo Bordiga. Nota del 15 luglio 1939.

[15] Testimonianza di Rocco D'Ambra riportata in Pasquale Schiano, I gruppi antifascisti, in La Resistenza nel napoletano, Napoli-Foggia-Bari, Cesp, 1965, p. 153.

[16] Ibidem.

[17] Cfr. Anteo Roccia [Antonio Cecchi], L'attività del gruppo Spartaco contro il fascismo, «Il pensiero marxista», n. 4, 10 giugno 1944.

[18] A. Ghirelli, op. cit., p. 233.

[19] Ibidem, p. 246.

[20] Cfr. nota 6 p. 17.

[21] A. Roccia, op. cit.

[22] M. Palermo, op. cit., p. 49.

[23] Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale. Relazioni e documenti presentati dalla direzione del partito al V Congresso del PCI, Roma, Editori Riuniti, 1963, p. 49.

[24] Ordinanza generale n. 8 per la Sicilia e Ordinanza n. 5 per la Calabria, Lucania e la provincia di Salerno, cui fanno seguito altre ordinanze. Il decreto del governo italiano col quale vennero disciolti i sindacati fascisti fu emanato nel novembre 1944. Cfr. il decreto 23 novembre 1944, n. 369, «Gazzetta Ufficiale», n. 95, 16 dicembre 1944.

[25] L. Mercuri, 1943-1945. Gli Alleati in Italia, Napoli, 1975, p. 120. Cfr. anche Perry Allum, Il periodo della ricostruzione a Napoli. Note sui partiti e sulle elezioni, «Italia contemporanea», n. 131, aprile-maggio 1978.

[26] Nell'agosto dell'anno successivo le tessere della CGL superavano il numero di 40 mila nella sola Napoli. Cfr. Relazione di Vicenzo Iorio al Convegno della CGL a Napoli del 27 agosto 1944, «Battaglie Sindacali», 29 agosto 1944.

[27] Si veda «Battaglie Sindacali», n. 1, 20 febbraio 1944.

[28] Dati ripresi da Clara De Marco, La costituzione della Confederazione Generale del Lavoro e la scissione di Montesanto (1943-1944), «Giovane Critica», n. 27, estate 1971, p. 53.

[29] Enrico Russo e definito in questo modo dal comunicato apparso su «Il Risorgimento» dell'll novembre 1943. Per la sua vita si rimanda al saggio di C. De Marco citato prima e a Antonio Alosco, Alle radici del sindacalismo. La ricostruzione della CGL nell'Italia liberata. 1943-1944, Milano, SugarCo, 1979.

[30] «l'Unità», edizione meridionale, n. 2, dicembre 1943. I riferimenti a «l'Unità», salvo indicazioni contrarie, sono sempre a questa edizione.

[31] Sulla scissione si veda, oltre al saggio citato di C. De Marco, anche Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia 1943-69, Bari, Laterza, 1973, pp. 36 e seguenti.

[32] L'azione dei partito nel Mezzogiorno fino al primo Consiglio Nazionale del partito (29 marzo 1944), riportato ne Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, cit.

[33] Maurizio Valenzi ha sostenuto nel 1978 che il gruppo che ha dato vita alla scissione «ha elaborato per conto suo la linea ancora sostanzialmente bordighiana, integrata da letture di Trotsky in modo particolare». Conversando con M. Valenzi, a cura di N. De Ianni, «Bollettino ICSRI», n. 0, giugno 1978, p. 12.

[34] M. Palermo, op. cit., p. 177.

[35] «Persino ex squadristi (dico ex squadristi), "marcia su Roma", volontari in Spagna (a fianco dei nazionalisti) affluivano alla sede per richiedere l'iscrizione, si proclamavano comunisti». Rapporto da Napoli e dal Meridione, dicembre 1943, riportato in Pietro Secchia, Il Partito Comunista Italiano e laguerra di liberazione. 1943-45. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 262.

[36] Cfr. Sidney Tarrow, Partito Comunista e contadini nel Mezzogiorno, Torino, Einaudi, 1972, p. 120.

[37] Si veda Guido Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 106.

[38] Paolo Cinanni, Lotte per la terra e comunisti in Calabria. 1943-1953, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 185. Guido Dorso ne L'occasione storica, Torino, Einaudi, 1955, a p. 42 racconta: «Ora Silvio Gava nel "Domani d'Italia" del 29 corrente ci dà notizia di un signore della provincia di Napoli, che ha distribuito i suoi congiunti in cinque dei partiti costituenti il Comitato di Liberazione e, col loro aiuto, domina il panorama della vita politica paesana». Anche Gaetano Arfè scrive che «gli stessi partiti della sinistra dopo la Liberazione, non sono riusciti a sfuggire alla presa di questa forza [del trasformismo - NdA] o quanto meno a subirne le infiltrazioni» - «Il Giorno», 3 agosto 1972. Lo stesso Togliatti, nelle ammissioni al partito, non darà molto peso ai trascorsi politici dei candidati, come si constata da questo brano riportato in Italo De Feo, Diario politico 1943-1948, Milano, Rusconi, 1973, p. 133: «Non fa molto caso alle compromissioni col fascismo, se vi sono state, "tanto tutti lo erano", e a voler fare i puristi ci sarebbe da mettere più della metà degli italiani in campo di concentramento».

[39] P. Cinanni, op. cit., p. 185.

[40] M. Palermo, op. cit., p. 177.

[41] Ciò che ci divide, s.L, s.d. (ma Napoli, 1943).

[42] Ibidem.

[43] I. De Feo, op. cit., pp. 56-57.

[44] «Il Risorgimento», a. I, n. 23,28 ottobre 1943. Il giornale, apparso il 4 agosto 1943, era controllato dallo Psychological Warfare Branch (PWB). La testata morirà l'8 aprile 1950.

[45] Ciò che ci divide, cit., p. 5. Mario Palermo nel suo libro (cit., p. 180) scrive: «La nota era velenosa e mirava a denunciarci alla polizia angloamericana, accusandoci di seguire una politica nazifascista».

[46] Nella loro risposta gli scissionisti affermavano: «La Federazione Campana del PCI è rimasta sorpresa del comunicato apparso sul suo giornale in data 28 u.s. a firma del sig. Eugenio Reale, autonominatosi "federale" del PCI per la Campania. L'alto senso di responsabilità di tutti i componenti la nostra Federazione è sicura garanzia per le autorità che la lotta per la liberazione dell'Italia dai nazifascisti e dai fascisti, sia palesi che mascherati, avrà la più leale e completa collaborazione da parte di tutti i comunisti, come ne sono conferma sia la lotta diuturna condotta per oltre un ventennio contro il fascismo, sia le giornate di insurrezione antinazista [...]. Per il C.F.: Vincenzo Ingangi, Eugenio Mancini, Mario Palermo». «Il Risorgimento», n. 25, 30 ottobre 1943.

[47] M. Palermo, op. cit, p. 181.

[48] «l'Unità», n. 3, dicembre 1943. Nel suo secondo numero il giornale aveva ricordato che Vishinsky, in visita in Italia, aveva alle spalle l'opera meritoria di aver colpito i «traditori trotskysti».

[49] Il telegramma è riportato ne «Il Risorgimento», n. 30, 6 novembre 1943.

[50] La democrazia nel partito, «l'Unità», n. 1, dicembre 1943.

[51] L'unità della federazione campana, «l'Unità», n. 3, dicembre 1943. Coloro che rientrano nel PCI, e che ne accettano le direttive, avranno incarichi pubblici e di partito di rilievo. Palermo diventerà sottosegretario alla guerra, Mancini commissario all'epurazione, Ingangi deputato provinciale ed Eugenio Villone direttore dell'Istituto di studi comunisti.

[52] Cit. in A. Lepre, La svolta di Salerno, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 10.

[53] Cfr. La politica di unità nazionale dei comunisti, «Critica marxista», luglio-settembre 1963, pp. 44-45.

[54] Si veda al riguardo Roberto Faenza e Marco Fini, Gli americani in Italia, Milano, Feltrinelli, 1976.

[55] «Bollettino di Partito», n. 1, agosto 1944, p. 9.

[56] Sindacati unitari forti, «l'Unità», n. 1, dicembre 1943, p. 2.

[57] «Il Popolo», 8 aprile 1944.

[58] I comunisti del Mezzogiorno si fanno iniziatori di un convegno sindacale, «l'Unità», n. 4, dicembre 1943.

[59] Convegno sindacale a Napoli, ibidem.

[60] Ibidem.

[61] Cfr. Importante riunione sindacale a Napoli. La nuova Confederazione del Lavoro, «Il Risorgimento», 1° dicembre 1944.

[62] La delibera è riportata in Nicola Di Bartolomeo, Affermazioni sui principi dell'unità sindacale, Napoli, Ed. Mario Ciccarelli, 23 novembre 1944, pp. 8-9.

[63] «Con questo processo di trasformismo si pretese, così, di avere formato il nuovo organo di difesa dei lavoratori». N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 9.

[64] «Il Popolo», ed. Napoli-Bari, n. 5, 13 febbraio 1944.

[65] Cfr. anche N. Di Bartolomeo, op. cit., pp. 9-10.

[66] II comunicato è firmato da Domenico Colasanto, Nicola Di Bartolomeo e Antonio Arminio. «Il Popolo», 6 febbraio 1944.

[67] R. Faenza e M. Fini, op. cit., p. 40.

[68] C. De Marco, op. cit., p. 60.

[69] L'articolo di Russo termina incitando i lavoratori ad unirsi «per realizzare l'emancipazione del proletariato e la civiltà del lavoro, contro i nemici di ieri, che sono ancora di oggi». Riprendendo il cammino, «Battaglie Sindacali», 20 febbraio 1944.

[70] Cfr. A. Lepre, op. cit., p. 74.

[71] Per l'unità sindacale, «Battaglie Sindacali», n. 1, 20 febbraio 1944. In merito ai rapporti tra partiti e sindacato, Russo dirà che «la quasi totalità dei congressisti si è chiaramente pronunziata sulla questione nel senso che i rapporti ineliminabili tra organizzazioni sindacali e partiti politici debbono essere di assoluta distinzione [...] perché è indispensabile che nell'organizzazione possano entrare tutti i lavoratori non solo appartenenti a qualsiasi partito politico, ma anche non appartenenti a nessun partito». Organizzazione sindacale e partiti politici, «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944.

[72] «l'Unità», n. 12, febbraio 1944.

[73] A. Alosco, op. cit., p. 33.

[74] «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944. Il giudizio è molto chiaro nei confronti della borghesia: «Con la borghesia capitalista non possiamo venire a nessun accordo perché qualunque accordo con la borghesia [...] necessariamente si trasforma in uno strumento tendente all'asservimento del proletariato. [...] Noi proletari non dimentichiamo che il fascismo è stato precisamente e innegabilmente il prodotto della "democrazia", dell'alta finanza, della grande industria e del latifondo».

[75] Cfr. «l'Unità», n. 11, febbraio 1944. L'epurazione diventerà uno dei temi di fondo della lotta della CGL. Un articolo di «Battaglie Sindacali» - Noi e l'epurazione, 16 aprile 1944 - si rivolge ai «signori di Salerno», che stanno trattando l'ingresso al governo di tutti i partiti, dicendo loro che «la prima epurazione che si impone è da farsi a Salerno, e sino a che essa non sarà completa, il popolo italiano avrà il giusto sospetto che il fascismo non sia finito».

[76] «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944.

[77] I battaglioni volontari, secondo Gentili, sarebbero diventati i «protagonisti di nuove pagine gloriose della storia d'Italia» ed avrebbero contribuito «efficacemente a cancellare gli effetti di un ventennio di schiavitù e di vergogna». «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944.

[78] «La Confederazione di Bari, non solo non partecipò al Congresso di Salerno - sostiene Di Bartolomeo -, ma manovrò in modo da impedire che pure altre province vi partecipassero. E tutto ciò, sempre, sotto la direzione di una "mano invisibile" di partito che aveva interesse di disfarsi del gruppo comunista di opposizione il quale dirigeva la Confederazione di Napoli». N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 10.

[79] «Battaglie Sindacali», n. 2,27 febbraio 1944. C'è anche chi, come Del Giudice, esorta i lavoratori a non perdere tempo in chiacchiere e ad agire. Secondo la sua opinione il sindacato deve condurre i lavoratori alla lotta politica, «perché economia e politica sono strettamente legate». Ibidem.

[80] «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944.

[81] Per la risoluzione della crisi politica, «Battaglie Sindacali», cit.

[82] B. Pierleoni, Gli Uffici del Lavoro, Napoli, 1944.

[83] Negli articoli storici di «Battaglie Sindacali» prevale l'ideologia azionista-laburista, mentre in quelli di politica contingente si nota la visione di Russo. Nonostante l'ipoteca azionista, il giornale polemizzò anche con il PD'A e con Guido Dorso sul problema del movimento socialista durante l'avvento del fascismo. Cfr. Opinioni di Guido Dorso, «Battaglie Sindacali», n. 8, 23 aprile 1944. La componente azionista sperava di collegarsi con i sindacati americani. Cfr. B. Bezza, La ricostituzione del sindacato nel Sud, in Problemi del movimento sindacale in Italia, Milano, Feltrinelli, pp. 125-126.

[84] Informazione OSS 68936 del 27 aprile 1944 riportata in R. Faenza e M. Fini, op. cit., p. 40. In realtà Russo ottiene 29 voti contro 26 e vi è un astenuto. Si veda «Battaglie Sindacali», n. 2, 27 febbraio 1944.

[85] Cfr. «l'Unità», n. 2, dicembre 1943.

[86] Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, cit., p. 53.

[87] «l'Unità», n. 13, marzo 1944.

[88] La disciplina del nostro partito, «l'Unità», n. 13, marzo 1944.

[89] «l'Unità», n. 11, febbraio 1944.

[90] «l'Unità», n. 14, marzo 1944.

[91] Cfr. il numero appena citato dell'organo del PCI.

[92] I. De Feo, op. cit., p. 85.

[93] II discorso di Russo è riassunto in «Battaglie Sindacali», n. 7,16 aprile 1944.

[94] Il comizio popolare di domenica, «Il Risorgimento», 14 marzo 1944.

[95] Intervento di Togliatti, riportato su «l'Unità», 2 aprile 1944.

[96] Maurizio Valenzi, La difficile vittoria di Togliatti, «Rinascita», n. 13, 29 marzo 1974.

[97] Ibidem.

[98] Ibidem.

[99] «Il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano [...] afferma che è dovere preciso di tutti i comunisti lavorare con tutte le energie a consolidare l'unità sindacale nel quadro della CGL e sulla base di un'ampia democrazia sindacale e di un'attività costante di difesa degli interessi immediati e concreti degli operai e di tutti i lavoratori». Cit. in Cesare Pillon, I comunisti e il sindacato, Milano, Palazzi, 1972, p. 328.

[100] Cfr. M. Valenzi, art. cit., e Verbale del I Consiglio Nazionale del PCI (a cura di M. Valenzi), «Studi Storici», n. 1, 1976, p. 200.

[101] M. Valenzi, art. cit.

[102] C. De Marco, op. cit.

[103] II colloquio è stato riferito dallo stesso Russo a C. De Marco, in C. De Mar?co, op. cit..

[104] La CGL e la nuova situazione politica, «Battaglie Sindacali», n. 9, 30 aprile?1944.

[105] «Battaglie Sindacali», n. 9, 30 aprile 1944.

[106] L'appello PCI-PSIUP è riprodotto in «Battaglie Sindacali», n. cit.

[107] Il governo, per dividere gli operai sindacalizzati, riconosce anche il 15 maggio come giornata festiva.

[108] Liberarsi dalle paure, «Battaglie Sindacali», 21 maggio 1944.

[109] Per l'aumento dei salari e degli stipendi, «Battaglie Sindacali», 4 giugno 1944.

[110] Ringraziamenti, «Battaglie Sindacali», 4 giugno 1944.

[111] «l'Unità», .7 maggio 1944.

[112] Risposta a «l'Unità», «Battaglie Sindacali», 7 maggio 1944. L'articolo continua così: «Non dubitate, compagni comunisti, i lavoratori sanno distinguere e giudicare quelli che si dedicano con abnegazione e con disinteresse alla difesa del proletariato e delle sue rivendicazioni ideali ed economiche; e quelli che, per ristrettezza mentale o peggio, insinuano maldicenze e falsità a carico dei compagni. I lavoratori giudicano dagli apprezzamenti e dai fatti. [...] Anticomunisti noi, o qualcuno di noi? Ebbene, parliamoci chiaro: se per anticomunismo si intende il rivendicare il diritto di critica e la libertà, nelle file del partito e al di fuori del partito, noi accettiamo l'accusa! Ma, al di fuori di questo, mai, nessuno di noi della CGL, né in Italia, né all'estero, ebbe atteggiamenti che possono giustificare la stolida accusa di anticomunismo».

[113] «l'Unità», n. 21, 30 aprile 1944.

[114] Democrazia nella Confederazione, «l'Unità», 14 maggio 1944.

[115] Oreste Lizzadri, Quel dannato marzo 1943, Milano, Ed. «Avanti!», 1962; riprodotto da C. Pillon, op. cit., pp. 331-332.

[116] Ibidem, p. 330.

[117] La nostra posizione, «Battaglie Sindacali», 18 giugno 1944.

[118] Ibidem.

[119] Due fronti, «Battaglie Sindacali», 9 luglio 1944.

[120] Ordine del giorno riportato in Pietro Bianconi, La CGL sconosciuta, Sapere, Milano-Roma, 1975, p. 69.

[121] II documento d'intesa con la CIL dichiara che le due organizzazioni debbono: a) consultarsi per la politica legislativa concernente lo specifico campo di attività, ed in modo particolare il riconoscimento politico dei sindacati e la rappresentanza di essi in tutti gli organi dello Stato e degli enti locali, nel senso più ampio; b) consultarsi per studiare e possibilmente definire di comune accordo ogni questione relativa alla conclusione ed alla tutela dei contratti collettivi di lavoro; e) consultarsi per proporre d'accordo con i pubblici poteri le misure adatte a fronteggiare la crisi che colpisce i lavoratori. «Battaglie Sindacali», n. 17, 25 giugno 1944.

[122] «Battaglie Sindacali», n. 17, 25 giugno 1944.

[123] Risoluzione della Conferenza d'organizzazione di Napoli, «l'Unità», n. 29, 25 giugno 1944.

[124] Una dichiarazione della Federazione comunista napoletana, «l'Unità», 9 luglio 1944.

[125] «Battaglie Sindacali», n. 20, luglio 1944. Per l'ordinanza cfr. «l'Unità», n. 33, 23 luglio 1944.

[126] «Battaglie Sindacali», n. 21, 23 luglio 1944.

[127] L'unità sindacale trionfa nel Mezzogiorno, «l'Unità», n. 33, 23 luglio 1944. Si veda inoltre sullo stesso numero: Malafede. Mauro Scoccimarro, intervistato da un agente del PWB a Roma il 4 luglio, giudica severamente la situazione napoletana: «una situazione incomprensibile a Roma e in gran parte dovuta allo sconosciuto Dino Gentili, che arriva da Londra e dice di essere del Partito d'Azione e nessuno tra i lavoratori ha mai sentito parlare di lui, mentre i vari leader sindacali, come Di Vittorio, Miglioli, Lizzadri, sono noti ai lavoratori già prima del fascismo». Rip. in R. Faenza e M. Fini, op. cit., p. 139.

[128] Archivio privato di Pietro Bianconi, Carteggio CGL-CGIL, rip.. in Bruno Bezza, La ricostituzione del sindacato nel Sud, cit., pp. 131-132.

[129] Ibidem.

[130] Si veda «l'Unità», n. 33, 23 luglio 1944. Nella lettera datata 19 luglio si diceva: «Cari compagni, la segreteria della CGIL, d'accordo con tutte le organizzazioni sindacali dell'Italia liberata che si sono pronunciate in favore dell'unità sindacale ed hanno aderito, quindi, alla CGIL stessa allo scopo di eliminare ogni pericolo di scissione sindacale e di liquidare tutte le difficoltà sorte tra una parte della Confederazione del Mezzogiorno e la CGIL, ritiene necessario promuovere una netta presa di posizione di tutti i lavoratori organizzati nei sindacati liberi, in modo che le questioni siano risolte democraticamente, secondo la volontà dei lavoratori interessati, liberamente e democraticamente espressa».

[131] «Il CD [della CGL], constatato che i compagni di Roma propongono anch'essi la composizione di un Congresso di tutti i sindacati liberi, delega i compagni Bosso, Gentili, Iorio a prendere contatto con la CGIL per stabilire opportuni accordi». Per il congresso, «Battaglie Sindacali», 30 luglio 1944.

[132] «Battaglie Sindacali», 20 agosto 1944.

[133] «Intanto, nonostante una forte critica ed il malcontento suscitato in mezzo ai lavoratori dal Patto di Roma e dalla costituzione di una terza confederazione, il grosso delle organizzazioni sindacali, per non essere tacciate di "scissionismo", cominciano ad aderire a Roma». N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 17.

[134] N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 23.

[135] Questo documento viene pubblicato da «Il Risorgimento» del 20 agosto in quanto «La Voce», organo di PCI e PSIUP, lo aveva stampato sopprimendo il richiamo alla «lotta di classe».

[136] II convegno vota a maggioranza l'ordine del giorno Bonelli per lo scioglimento della CGL che recita: « Il convegno dei liberi sindacalisti aderenti alla CGL di Napoli [...], pur riprovando le manovre sleali con le quali si è tentato di annullare lo sforzo organizzativo dei lavoratori delle terre liberate, colpendone le organizzazioni liberamente da essi formate e denigrandone i compagni, democraticamente eletti a guidarne le battaglie, con accuse false e calunniose; considerando che, di fronte alla risorgente reazione l'unità della classe lavoratrice è il bene primo da difendere; decide di invitare tutti i suoi aderenti e relative organizzazioni ad entrare nella CGIL ed a sostenere, in essa, i principi per i quali la CGL di Napoli ha lottato e che si riassumono nella più ampia democrazia all'interno delle organizzazioni sindacali, nell'indipendenza dai partiti politici, nell'affermazione della essenza classista del movimento sindacale». Rip. in N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 28.

[137] II documento è riportato in P. Bianconi, op. cit, pp. 155-156.

[138] Il Movimento Comunista d'Italia aveva condannato l'accordo sindacale di Roma giudicandolo il «pateracchio di Roma», «Bandiera Rossa», 21 giugno 1944. Da Roma, portando il saluto dei lavoratori che non avevano aderito alla CGIL, interviene come delegato dei ferrovieri Alfredo Paccaro, che rende noto il modo di procedere del nuovo sindacato, che non aveva voluto riconoscere la Commissione Interna dei ferrovieri romani, democraticamente eletta, perché «non erano state rispettate le norme dell'accordo sindacale romano, e [...] occorreva attendere gli ordini che sarebbero stati dati dal tripartito». Paccaro definisce Di Vittorio, per i suoi comportamenti, un «autentico fascista». Sempre da Roma, come delegato, interviene anche un certo Annese, il quale si dichiara fiducioso che l'opera «svolta a Napoli possa estendersi anche a Roma». «Battaglie Sindacali», 29 agosto 1944.

[139] Lo stesso numero di «Battaglie Sindacali» riporta il dibattito del convegno.

[140] Ai lavoratori italiani, sempre sullo stesso numero del giornale della CGL.

[141] «Battaglie Sindacali», 29 agosto 1944.

[142] «Battaglie Sindacali», 17 settembre 1944.

[143] C. Pillon, op. cit., p. 340. In difesa di Gentili era intervenuto l'americano Antonini sostenendo che era «giusto che Gentili avesse la possibilità di parlare per cinque minuti» in base al principio che «ogni imputato ha il diritto alla sua difesa». Di Vittorio replicò che il suo intervento avrebbe fatto «deviare completamente la nostra discussione». Cfr. anche S. Turone, I Congressi della CGIL, Vol. I, Roma, ESI, 1966, pp. 40-41.

[144] N. Di Bartolomeo, op. cit., p. 32.

[145] Ibidem, pp. 32-34.

[146] Cfr. «La sinistra proletaria», 28 ottobre 1944.

[147] Cfr. «L'Azione», 2 novembre 1944.

[148] Resoconto dell'attività svolta dal Governo Militare Alleato e dalla Commissione Alleata di controllo in Italia, «Quaderni FIAP», Roma, s.d. (ma marzo 1976), p. 109.

[149] Gloria Chianese, La Camera del Lavoro di Napoli nelle carte del fondo C.Maglietta dell'Istituto perla storia della Resistenza (1944-1949), «Movimento operaio e socialista», n. 4, 1980, p. 467.

[150] Ibidem.

[151] Verbale della Camera del Lavoro di Napoli della riunione con la delegazione Alleata del lavoro (6 dicembre 1944) nel quale si dà notizia della mancata adesione del Sindacato Ferrovieri alla CGIL. Si veda G. Chianese, op. cit, p. 469.

[152] Ibidem, p. 468.

[153] Ibidem, p. 469.

[154] Ibidem.

[155] Il primo esecutivo della Camera del Lavoro viene eletto nel settembre 1944 ed è composto da 15 membri, di cui 5 comunisti, 5 democristiani, 3 socialisti, 1 azionista e 1 indipendente. Due dei tre esponenti socialisti, provenienti dalla disciolta CGL, saranno espulsi per «indegnità morale e politica». Si veda G. Chianese, op. cit.

[156] Sulle lotte dei contadini al Sud nel periodo 1942-45 si rimanda a: P. Cinanni, op. cit.; N. Gallerano, op. cit.; Clara De Marco e Manlio Talamo, Lotte agrarie nel Mezzogiorno. 1943-1944, Milano, Mazzotta, 1976; Francesco Renda, Il movimento contadino in Sicilia, Bari, De Donato, 1976; Mario Alcaro e Amelia Paparazzo, Lotte contadine in Calabria (1943-50), Cosenza, Lerici, 1976.

[157] V. Foa, La ricostruzione capitalista nel secondo dopoguerra, «Rivista di storia contemporanea», n. 4, 1973.

[158] Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, Voi. V, Torino, Einaudi, 1975.

[159] C. De Marco e M. Talamo, op. cit., p. 59.

[160] Continui erano i richiami all'ordine rivolti ai militanti e alle sezioni; cfr., ad esempio, «l'Unità», nn. 1, 9, 13, 22 e 25 del 1944.

[161] «l'Unità», n. 12, febbraio 1944.

[162] «Battaglie Sindacali», n 1, 20 febbraio 1944.

[163] Lettera di Enrico Russo a Nicola Modugno, Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Rip. in P. Bianconi, op. cit., p. 106.

[164] «Battaglie Sindacali», n. 1, 20 febbraio 1944.

[165] «Battaglie Sindacali», n. 1, 20 febbraio 1944.

[166] N. Gallerano, op. cit., pp. 488-489.

Arturo Peregalli, L'altra resistenza - Il PCI e le opposizioni di sinistra 1943-1945, 1991 Graphos Editrice