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OperaiL'aumento delle richieste di cassa integrazione straordinaria e dei licenziamenti, il mancato rinnovo dei contratti precari (interinali, a tempo determinato), le ristrutturazioni e l'erosione dei livelli salariali, sono le misure che il capitalismo sta adottando per affrontare la profonda crisi strutturale in cui versa, che non è evidentemente spiegabile con spiegazioni riguardanti fumose “congiunture negative” di mercato o con una cattiva gestione della finanza ad opera di speculatori senza scrupoli come vogliono farci credere.

Tali misure si inseriscono in un contesto economico in cui il capitalismo italiano, per mantenere elevati i livelli di profitto, da decenni ricerca e persegue la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, la dispersione della produzione verso paesi che permettono costi più bassi e scarsa conflittualità, la fusione pressoché totale con il mondo finanziario per sfruttarne le dinamiche speculative, la privatizzazione del cosiddetto welfare state. L'unico risultato oggettivo che emerge alla fine di questo percorso è il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.

La classe operaia non può difendersi efficacemente oggi ed emanciparsi domani, difendendo l'economia nazionale, ciò che equivale ad allearsi in ogni paese con la propria borghesia contro le altre. Non aderire alla difesa dell'economia nazionale tuttavia, è solo il primo passo. Occorre andare oltre il semplice rifiuto del sostegno all'Azienda-Italia. Per difendere efficacemente le nostre condizioni di vita e di lavoro è necessario fare un secondo passo, strettamente collegato al primo, e cioè non collaborare con Sua Maestà l'Economia Nazionale e quindi rompere apertamente con il quadro fetido delle compatibilità con interessi che sono puramente ed esclusivamente padronali. I licenziamenti, la disoccupazione dilagante -con l'estendersi dell'esercito di manodopera di riserva da utilizzare poi come concorrenza fra i proletari- sono infatti delle necessità assolute ed inderogabili per la sopravvivenza del Capitale. Esse rappresentano delle realtà oggettive che fanno parte integrante di questo modo di produzione. Il compito di un sindacato che si rispetti sarebbe allora quello di difendere in modo intransigente le condizioni di vita dei proletari cacciati nell'esercito crescente dei disoccupati o esposti ad un aumento dello sfruttamento dalle esigenze ineliminabili del capitalismo, e quindi fuori e contro ogni “compatibilità” con le esigenze dell'economia nazionale in quanto esse sono, con ogni evidenza, incompatibili non solo con delle condizioni di vita operaie decenti ma, in prospettiva, con la stessa sopravvivenza fisica di una parte della classe proletaria.

Il sostegno all'economia nazionale predicato da tutti i preti dell'opportunismo politico e sindacale si basa sulle illusioni di un possibile effetto benefico del cosiddetto keynesismo nazionale e cioè dell'intervento statale sulle nostre condizioni di esistenza finanziando ammortizzatori sociali e imprese. In realtà si tratta di una chimera, di un miraggio e, nello stesso tempo, di una trappola, che nasconde l'incompatibilità tra mantenimento di una spesa sociale appena sufficiente alla nostra sopravvivenza e il sostegno statale alle banche ed alle imprese. Quello che non si vede e non si vuol far vedere è che finanziare banche e aziende equivale per lo Stato a socializzare le perdite cioè a sottrarre ai lavoratori salario diretto e indiretto. Ciò che papà-Stato dà alle imprese ed alle banche per consentire loro di rifinanziare un'accumulazione boccheggiante corrisponde esattamente a ciò che toglie al salario direttamente o indirettamente, tagliando le famose spese sociali (sanità, scuola, servizi …).

Una seconda trappola nella quale non bisogna cadere è quella dell'ostinata difesa del posto di lavoro. I proletari devono ricordarsi che non è il “posto di lavoro” ad essere redditizio, ma è lo sfruttamento del loro lavoro a rendere redditizio quel posto per i capitalisti. Se la borghesia ed il suo sistema fallito chiudono interi rami d'industria e non possono più garantirsi lo sfruttamento del proletariato, lasciando nella disoccupazione e nella concorrenza al ribasso il proletariato, non deve essere questo a continuare a richiedere il suo sfruttamento attraverso un lavoro, che lo sviluppo del capitale stesso si incarica inevitabilmente di eliminare. Al contrario, il proletariato deve porre l'alternativa, questa si di emancipazione ed affasciamento di tutti i proletari senza distinzione di categoria o di razza in un unico fronte, di garantire comunque, a chi rimane senza lavoro, l'intero salario. Dunque non c'è da chiedere più “assistenza” da parte dello Stato tramite politiche che pretendono un maggior “sostegno sociale”, come continuano a fare il sindacato e la sinistra ex parlamentare e a cui fa eco lo stesso governo -che già si incarica di proclamare ai quattro venti che ha già stanziato i fondi- ma si tratta di rivendicare la conservazione integrale del salario. Ogni passo avanti su questa strada porrà in contrasto le destinazioni degli “aiuti” e chiarirà la vera natura dello Stato.

Lo Stato, anche quando offre alcune concessioni alle masse sofferenti, lo fa con l'unico scopo di smussare le contraddizioni più evidenti e garantire la pace sociale in funzione degli interessi generali del capitalismo nazionale italiano, rimpiazzando con illusioni e promesse quello che da anni continua a togliere ai lavoratori e a dare ai padroni. La crisi renderà comprensibile alla classe come stanno realmente le cose, se non alla più “aiutata” certamente a quella già precaria e disoccupata. Sosteniamo i lavoratori che combattono per il miglioramento delle loro condizioni materiali, senza appoggiarsi sui sindacati integrati totalmente nel sistema statale. La lotta e l'unità tra lavoratori di ogni settore è l'unica arma che abbiamo per dire ai padroni che non abbiamo nessuna intenzione di pagare i costi della loro crisi!. Solo in questo tipo di lotta i lavoratori possono finalmente capire che il loro diritto alla vita è violato dall'esistenza del sistema capitalista, e che questo sistema deve essere distrutto. Solo in questo tipo di battaglia i lavoratori possono fare l'esperienza di un'organizzazione a sé stante che è necessaria per la difesa esclusiva dei propri interessi. Naturalmente la borghesia riesce a giocare le sue carte contro il proletariato perché questo oggi non possiede un' organizzazione atta a fronteggiarla con armi potenti quanto le sue: un'arma potentissima come lo sciopero viene resa inoffensiva sia con le autoregolamentazioni sia con obbiettivi e rivendicazioni che vogliono entrare nel merito delle compatibilità di un sistema che è irriformabile –indipendentemente da chi è al governo- e che continuano a girare sullo stesso tema da anni: salvaguardia dell'economia nazionale e responsabilità dei lavoratori verso il buon andamento degli affari capitalistici. L'imperativo del movimento operaio non è fare pressione allo Stato borghese, perché si perpetui il suo sfruttamento, ma che si rompa lo sfruttamento insieme allo Stato che lo garantisce.

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