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Non abbiamo particolari tene­rezze per le ricorrenze solenni, per le celebrazioni a data fissa. Il movimento proletario è fatto di lavoro oscuro, impersonale e quotidiano, non di esibizioni sal­tuarie e di parate. E tuttavia, ogni anno lo spettacolo del rosso Primo Maggio vestito in tricolore e avvolto in nuvole d'incenso ci rimescola il sangue.

I cinque impiccati di Chicago combatterono nel maggio 1886, e caddero, in una lotta che non co­nosceva frontiere; il loro sacrificio non appartiene ad un proletariato nazionale, meno che mai ad una "nazione", ma al prole­tariato di tutti i Paesi. Erano membri attivi di un'organizzazio­ne rivoluzionaria, ideologicamen­te ancora gracile ma genuinamente e gagliardamente classista, erano antiriformisti ed antischedaioli. Non si appellavano a co­stituzioni solenni o a codici scrit­ti e non scritti; sapevano di vio­larli, prevedevano di tirarseli ad­dosso in tutta la pompa dei loro articoli-capestro.

Rappresentava­no ottantamila scioperanti che per quattro giorni tennero in iscacco l'apparato di difesa della classe dominante; non marciava­no alla testa di cortei affiancanti operai e bottegai, braccianti ed usurai o sbirri. Penzolarono dalle forche non del fascismo ma della democrazia, simboli di una società irrimediabilmente divisa in classi antagoniste, non di una ipotetica nazione unita in blocco nel rispetto della legge o dei pre­cetti cristiani. Il Primo Maggio fu scelto dal movimento proleta­rio internazionale in loro onore, e a monito della solidarietà in­ternazionale dei lavoratori con­tro il Capitale; la sua bandiera fu rossa dovunque, contro i mille colori degli stendardi dei detentori di una patria, venerata e coccolata come i conti in banca.

Una genia di traditori scende oggi nelle piazze a celebrare un Primo Maggio patriottico, costitu­zionale, democratico, legalitario, interclassista e banchettone, fra messe e fanfare nazionali, fra ge­nuflessioni e abbracci; intona il Biancofiore e l'Inno di Mameli a maggior gloria dell'infame socie­tà cui diedero la scalata i fede­rati di Parigi, i martiri di Chi­cago, la santa canaglia in tuta o in casacca marinara di Pietroburgo e di Berlino, e che rispose loro col piombo e con la forca: il Primo Maggio di Giuda. La classe dominante ha chiesto e chiede le vite dei dominati; non contenta, intreccia su di esse la sua macabra danza.

Tornerà il Primo Maggio pro­letario: sarà il giorno non della grande capitolazione, ma della grande sfida.
A quando?

tratto da Il programma comunista n. 9 del 1957