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Sta imperversando da alcuni giorni una vergognosa campagna contro i tranvieri di Firenze. Nessun giornale delle pompose "sinistre", ha avuto il fegato di replicare. D'altronde, non avrebbe potuto farlo.

Si discute in Consiglio comunale sul cambio della guardia nella Direzione Amministrativa dell'Azienda Municipalizzata: al posto dei nazionalcomunisti vorrebbero subentrare i social-liberali. La greppia è buona e val la pena di essere conquistata. Nessuna obiezione all'economia dell'Azienda: il bilancio – come lo fanno loro – è in perfetto pareggio; tanto è vero che il serafico La Pira non intende aderire al cambiamento proposto. Chi potrebbe dirigere l'economia capitalista meglio dell'opportunismo?

Ben poche cose, e di poco conto, potendo obiettare agli attuali amministratori, gli odierni scalatori alle poltrone di comando se la rifanno con i tranvieri che avrebbero devastato gli automezzi – 447 milioni per consumi e manutenzioni – per scarsa capacità.

Ai tranvieri sono affidate vetture per lo più vecchie e con motori rifatti, per tacere dei tram antidiluviani che devono percorrere le distanze prescritte in un tempo eccezionale: 12,11 minuti per percorsi relativamente brevi ma nei quali e compreso l'attraversamento del centro della città. Firenze è rimasta al 1700. Le strade seguono i tracciati delle antiche siepi che dividevano le proprietà padronali. Basti pensare che si è ricostruito sulle vecchie fondazioni dei fabbricati distrutti dalla guerra, in strade larghe al massimo 5 metri (come avrebbero potuto fare altrimenti, se queste aree fabbricative, per taumaturgica virtù delle bombe tedesche, sono state vendute anche a 200 mila lire il metro quadro?). Orbene, su questa rete stradale medioevale pavimentata come ai tempi del Pievano Arlotto con quadrelli di pietra di cava, i nostri salariati devono far girare, fermare a semafori, soste ed ingorghi, i loro mastodontici automezzi. Nelle curve, più volte devono montare con le ruote posteriori sui marciapiedi per non schiacciare le auto private che sostano al lato opposto della strada trasversale. D'inverno, durante la pioggia, scavano piste nel lastricato sconnesso per l'enorme peso dei mezzi, ai bordi dei binari tranviari, restringendosi ancora di più lo spazio carrozzabile. Per compiere tutte queste acrobatiche manovre occorre lavorare di frizione e di cambio di velocità. Afferrare per un attimo solo anche la possibilità di percorrere più speditamente dieci o quindici metri di corsa relativamente libera, onde riprendere le diecine di secondi perduti alle fermate obbligatorie, nelle quali sostano, durante le ore di maggior traffico, anche dieci vetture seguite e precedute da lunghe teorie di auto e mezzi privati, da semaforo a semaforo. Chi arriva tardi è multato. Infatti non c'è tranviere che non abbia avuto multe.

Abbiamo parlato con molti tranvieri i quali ci hanno confessato che appena terminato il loro servizio, si sentono la testa talmente vuota e pesante da non potersi occupare più di altri lavori per arrotondare il magro stipendio. Le loro giornate, a volte, nei turni spezzati, non sono di otto ore, ma dieci e più. Infatti, un povero cristo che deve entrare in servizio alle 5 e mezzo del mattino deve alzarsi almeno alle 4 e mezzo per andare a piedi o in bicicletta al deposito. Compie tre ore di servizio, sosta per due o tre ore e rimonta per altre tre durante il mezzogiorno, per terminare magari verso le 22. I pasti sono irregolari e il riposo vero e proprio si riduce alle poche ore della notte.

Su questi facchini meccanizzati – chi non è facchino più o meno meccanizzato nell'èra della bomba atomica e dei dischi volanti? – si specula per poter conquistare poltroncine calde. Si rilegga il bilancio che lor signori hanno pubblicato. Questi incapaci di salariati hanno dato 17 milioni per le spese generali (per mantenere, cioè, avvocati, ragionieri, fondiari, bottegai, ecc.); 97 milioni per imposte e tasse, a preti, generali, ministri, deputati, anche dell'opposizione costituzionale, poliziotti, ecc.; 31 milioni per interessi passivi, a banche, speculatori; 163 milioni per ammortamento all'Azienda onde ricostituire il suo patrimonio; 20 milioni per fondo rischi, per ripagare essi stessi i danni che eventualmente sono costretti a causare. Per finire, dal loro magro stipendio vanno tolti i contributi sindacali per mantenere quelli che li fregano, pompieri politici e sindacali, e, quando occorra, i quattrini per i morti, i morti sul lavoro.

Ecco perché nessun sedicente "sinistro d'opposizione" – strana razza d'oppositori, che amministrano scrupolosamente gli interessi degli avversari! – poteva difendere seriamente questi proletari. Chi crederà ancora fra i tranvieri che la Azienda non è dei capitalisti perché municipalizzata, ma di lor stessi? Nessuna azienda può essere dei proletari; dove sono Aziende ivi è schiavitù salariale, capitalismi, sfruttamento economico e sociale. Quale che sia il colore di queste amministrazioni di aziende senza padrone in carne ed ossa, i lavoratori dovranno riconoscervi le rappresentanze più qualificate del capitalismo. Dalla distruzione dell'Azienda come unità produttiva partirà proprio l'assalto rivoluzionario. Sarà questo il primo passo serio verso il socialismo.

Da il programma comunista n°20 del 1954