Che il problema energetico come pure quello dell'alimentazione ed altri siano diventati oggetto di dibattito non solo ma possano diventare anche terreno di iniziativa e di lotta, non siamo noi ad affermarlo. E il comportamento di classe ad imporlo.
La lotta quotidiana per il mantenimento del livello di vita, le iniziative anche individuali per sottrarsi alla rete di restrizioni che si tenta di stendere su ogni aspetto della vita, (mangiare meno carne, consumare meno benzina ed energia, divertirsi di meno,...) andrebbero attentamente analizzate ma sono riscontrabili ad occhio nudo nel comportamento proletario. La stampa borghese ha più volte rilevato il fenomeno ed ha tentato subito di esorcizzarlo — sia pure con un filo di inquietudine — definendolo "il tipico modo di arrangiarsi degli italiani".
Per quanto ci riguarda abbiamo la tendenza ad assumere qualsiasi comportamento proletario nel suo senso più politico. Nessuna meraviglia quindi se individuiamo in questo atteggiamento proletario non solo il rifiuto tenace ad ogni tentativo di intensificazione dello sfruttamento, ma anche la volontà di sottrarsi ai ricatti continui che vengono presentati come necessità oggettive, sotto forma di passivo della bilancia commerciale, di scarsità delle risorse, ecc. ed il rifiuto di accettare passivamente i discorsi degli "esperti" sull'impossibilità di sfuggire alle ferree leggi dell'economia capitalistica.
E' riconoscibile in tutto questo una allusione alla possibilità di sfuggire al lavoro coatto come necessita ineluttabile, di superare il lavoro coatto come modo dì produzione storicamente determinato.
A questo punto é bene esplicitare una domanda che forse é rimasta inespressa ma presente in tutti i discorsi precedenti: ma come possono i proletari competere con la tecnologia del capitale?, con la scienza del capitale?
In parte abbiamo già risposto quando abbiamo osservato che gran parte della tecnologia e della scienza si traduce in realta in forme ed in apparati di controllo. Ma forse sotto la domanda sta un equivoco di fondo, che la scienza ed il capitale siano la stessa cosa.
La scienza non é identificabile con il capitale. In realtà si può dire che la scienza é del capitale tanto quanto lo si può dire per es. dell'energia. Da questo punto di vista la storia della scienza appare non come lo sviluppo lineare dello strumento di cui il capitale si serve per progettare la propria perpetuazione, come é stato detto, ma pittosto come il tentativo continuo, mai definitivamente risolto e che si ripropone a livelli sempre più alti, di incorporare in sé la scienza.
Così da un lato si é assistito storicamente alla separazione fisica tra produzione di scienza e produzione materiale — cioè alla separazione e contrapposizione tra scienza e classe operaia, fino alle forme perfezionate odierne, per cui la ricerca scientifica più avanzata avviene sotto il diretto controllo del capitale multinazionale — dall'altro lato l'appropriazione della scienza da parte dei proletari viene continuamente impedita con vari strumenti, per esempio la scuola (proprio col pretesto di insegnare la scienza), l'informazÌone (il problema energetico ne é un esempio).
Eppure nonostante tutto, g!i operai hanno dimostrato sempre una capacità di invenzione che si manifesta nel processo produttivo per ridurre la fatica ed i tempi di lavoro, nello sviluppo di una autonomia dei bisogni e sopratutto nella lotta contro il lavoro. Di questa scienza il capitale tenta continuamente di appropriarsi o per utilizzarla o per neutralizzarla. E' essa che funziona da stimolo, ma anche da limite insuperabile per la scienza del capitale
Lavoro Zero, numero 4 dicembre 1976
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