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Come la crisi economica ha determinato un aumento del carico di lavoro domestico per le donne

La prima grossa divisione all'interno del mondo del lavoro è quella tra lavoro salariato e lavoro non salariato.

Nelle statistiche e nelle indagini che ri­guardano il mercato del lavoro è presente una grossa mistificazione: cioè che sono "lavoratori" solo coloro che percepiscono un salario. Invece tutti quegli strati di po­polazione che non rientrano nella catego­ria dei salariati, giovani, anziani, ma so­prattutto, nella stragrande maggioranza, donne costituiscono la popolazione "non attiva", "a carico".

Sono 21.754.000 in Italia le persone che "non lavorano" di cui 5.586.000 sono maschi, 16.168.000 sono donne (dati ISTAT 1968). Tutta questa grossa fetta di popolazione è inve­ce direttamente funzionale alla organizza­zione capitalistica del lavoro (anche se non direttamente salariata dal Capitale): è addetta alla produzione - riproduzione va­lorizzazione della forza-lavoro stessa, e quindi determina e definisce di volta in volta le condizioni della produzione e del profìtto. Infatti l'operaio può vendersi sul mercato del lavoro a basso salario solo se i servizi necessari alla sua riproduzione co­me il. vengono svolti gratuitamente den­tro la famiglia. In pratica ogni lavoratore salariato ha dietro di sé una lavoratrice non salariata (madre, moglie, sorella . . .) che fa in modo che lui possa presentarsi ogni mattina in condizioni decenti al po­sto di lavoro. Questo discorso è valido an­che per le donne che lavorano fuori casaij ma in misura molto minore. Infatti men­tre per il lavoratore maschio è sempre pre­vista una riproduzione e reintegrazione, la donna è l'unico lavoratore per il quale non sono previsti questi momenti: essa in pratica si autoriproduce come forza-lavo­ro durante tutta la sua vita sia dentro ca­sa, sia quando lavora anche all'esterno.

Le donne non smettono mai di lavora­re. In ufficio o alla catena dì montaggio ogni donna si porta dietro il pensiero dei lavori di casa: il bucato, i pavimenti, la cena, ciò che manca in casa e che deve ricordarsi di comperare, i bambini. . . per questo il tasso di, assenteismo femminile è molto più elevato di quello maschile, per questo la donna è molto più ricattabile dell'uomo nel posto di lavoro, e questa ricattabilità comporta un salario inferiore a quello maschile a parità di lavoro svolto (anche se la legge dovrebbe garantire la parità salariale), per questo le donne sono quasi del tutto assentì dalle assemblee sin­dacali e non fanno quasi mai sentire la loro voce, il loro punto di vista. Dopo il lavoro, appena suona la campana la donna è la prima a correre a casa, dove l'aspetta il lavoro domestico.

La crisi di questi anni sta portando alle estreme conseguenze un processo già in atto dal secondo dopoguerra: l'espulsione massiccia di donne dal mercato del lavoro. Queste donne non risultano nei dai statistici ufficiali della disoccupazione; 1 loro disoccupazione non è stata conflittuale perché esse sono ritornate a casa definitivamente senza neppure iscriversi ali liste di disoccupazione. L'interpretazion ufficiale governativa ha visto in questa t spulsione di donne dal mercato del lavor un accresciuto benessere delle famiglia che permette alle donne di starsene a casa. Questo accresciuto benessere però smentito  dalla diminuzione del salari reale dovuto all'alimento continuo del costo della vita. Infatti i licenziamenti in massa di donne (più di un milione dal 63 al 68), così come l'aumento della scola­rità e l'abbassamento dell'età pensionabi­le, si spiegano non certo con l'accresciuto benessere, ma si inseriscono all'interno di un disegno ben preciso dello Stato capita­lista per uscire dalla crisi: rinsaldare la fa­miglia e legare tutti i suoi componenti ad un unico salario, quello del capofamiglia, controllando cosi le lotte sia dell'operaio, sia dì coloro che sono a suo carico econo­micamente.

La crisi dunque ha peggiorato le nostre condizioni di vita perché ci ha relegato sempre più nello spazio ristretto delle ca­se e dentro questi pochi metri quadrati ci fa lavorare moltissimo, costringendoci a regolare la nostra vita ai ritmi sempre più scoordinati (doppi e tripli turni) di lavoro e di studio degli altri componenti la fa­miglia. In tal modo si va sempre di più configurando una relatà di lavoro dome­stico nel quale non solo si appesan'tiscono e si accumulano le mansioni quali lavare, cucire, pulire, cucinare, far la spesa, ecc. . . ma nel quale la disponibilità psicologica verso gli altri deve diventare quasi totale. Lavoro domestico oggi è letteralmente fi­nalizzare la propria vita a quella degli altri (figli e marito) ai loro spazi, ai loro tempi, ai Joro ritmi. Lavoro domestico oggi signi­fica controllo sulle donne a tal punto che ormai la nostra vita stessa si è identificata con questo lavoro, perché quasi tutto ciò che facciamo non è per noi, ma ci è im­posto. A questo punto all'interno del la­voro domestico rientra la maternità (noi non siamo libere di decidere quando, co­me e se diventare madri), il far l'amore (all'interno di questo tipo di famiglia lo facciamo per dovere coniugale, dovendoci adeguare a ciò che soddisfa maggiormente l'uomo), la cura del nostro corpo (anche questo è un dovere verso gli altri per noi donne tutto è lavoro.

La figura della casalinga tradizionale sta quasi del tutto per scomparire. Oggi la donna deve stare a casa perché serve sem­pre di più a casa, ma deve essere altamen­te qualificata per poter assolvere mansio­nario sempre più vasto e impegnativo che è stato scaricato sulle sue spalle: deve adottare un nuovo modo di educare i figli conoscendo un minimo di pedagogia, pue­ricultura, cercando di non essere repressi­va quel tanto che basta per produrre una forza-lavoro intelligente e preparata, ma condizionata quel tanto che basta per po­ter accettare l'ideologia del lavoro, deve preparare i cibi con un minimo di raziona­lità riguardo al loro valore nutritivo, deve seguire i figli nello studio; a letto non può più accettare passivamente il rapporto ses­suale, ma deve parteciparvi attivamente, deve essere sempre carina e in ordine, de­ve possedere una dose notevole di destrez­za per riuscire a districare pratiche, pagare tasse, sostenere ricorsi, deve fare code in­terminabili negli ambulatori medici per tutta la famiglia, deve capire e ricordare

Ma se questo è il progetto del capitale sulle nostre teste, noi donne non lo abbia­mo accettato e abbiamo dato delle rispo­ste anche molto dure con le nostre lotte e le nostre richieste. I 3.000.000 di aborti all'anno esprimono la volontà precisa del­le donne, pur con tutti i costi e ì rischi che oggi l'aborto clandestino comporta, di rivendicare il diritto di decidere quan­do e se diventare madri. Il grande numero di aborti si può leggere anche come rifiu­to delle donne di pagare la maternità in termini di aumento di lavoro domestico e di ulteriore controllo sulla propria vita.

Ma l'aborto rimane un comportamento dì massa perché non è organizzato se non a livelli minimi, in alcun modo. Come re­stano a livello individuale tutti i "furti", numerosissimi, nei grandi magazzini, im­putabili, nella, grande maggioranza, a don­ne e giovani (tanto che qui a Mestre, per esempio, i padroni sono stati costretti ad adottare nuove forme di controllo anti­furto e ad escogitarne sempre di diverse). Sono state soprattutto le ultime forme di lotta delle donne ad esprimere in modo organizzato l'esigenza di un livello di vita migliore, e quindi di denaro. In questi ul­timi anni le donne hanno occupato case perché rifiutavano di svolgere lavoro do­mestico nelle baracche e in abitazioni in cui era impossibile vivere decentemente, hanno occupato scuole, asili, comuni e fabbriche, hanno gestito in prima persona l'autoriduzione degli affìtti e delle bollet­te, hanno protestato e manifestato davan­ti ai supermercati contro l'aumento dei prezzi. Queste lotte, soprattutto l'autori­duzione qui nel Veneto, mentre venivano portate avanti hanno dimostrato la grande capacità di organizzazione delle donne. E proprio nella misura in cui si trattava di donne,   hanno  comportato   automaticamente una crisi all'interno delle famiglie t della vita domestica, da un lato perché alcuni uomini non erano affatto d'accor­do sull'autoriduzione, e quindi molte donne raccoglievano le bollette di nasco­sto, dall'altro lato perché anche quegli uo­mini che all'inizio erano stati d'accordo, non hanno voluto adattarsi a tenere i bambini la sera e a mangiare uova al tega­me, e hanno ostacolato di fatto la lotta in tutti i modi.

Le lotte delle donne sono sempre in certa misura contraddittorie e conservano sempre un'ambiguità di fondo, perche nonlavoro_domestico_1 sono quasi mai contro il proprio spe­cifico sfruttamento, pej^un progetto auto­nomo. Così anche l'autoriduzione, pur avendo un grosso significato di rottura, non è stato in grado di costruire una pri­ma forma di organizzazione duratura del­le donne contro il lavoro domestico che è-la radice materiale del loro sfruttamento. Queste lotte sono rimaste all'interno della logica di difesa del salario operaio, difesa che l'operaio non poteva più condurre da solo all'interno della fabbrica, ma che do­veva estendere anche al territorio. Sono rimaste perciò all'interno di una richiesta indiretta di soldi da parte delle dorme, mediata attraverso il salario operaio. Tut­tavia in questi momenti le donne hanno espresso un primo rifiuto del loro ruolo, perché invece di scegliere il modello di casalinga perfetta e tuttofare, imposto dal capitale, hanno scelto le lotte. La crisi non è riuscita a ricacciarle a casa.

Il problema a questo punto è vedere come, a partire da questo livello di politi-cizzazione, si può trovare uno sbocco pra­tico ulteriore che veda noi donne organiz­zate per chiedere soldi direttamente per noi.

Lavoro Zero, numero unico in attesa di autorizzazione luglio 1975

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numero unico in attesa di autorizzazione luglio 75
LAVORO ZERO - GIORNALE DAL VENETO