L'obbiettivo dell'occupazione ovvero la repressione delle lotte salariali.
Il rapporto sindacato-partito si pone - nell'ottica comunista - a partire dal processo di "sindacato unitario ». Il processo di sindacato unitario dovrebbe realizzare la delega effettiva espressa appunto in termini unitari. Il PCI quindi si confronta col sindacato soprattutto a partire dal processo unitario, che avrebbe la sua radice nella delega espressa dal "lavoratore". Il processo di sindacato unitario di solito però funziona effettivamente solo per emarginare anche fisicamente dalla fabbrica gli strati e comportamenti di forza lavoro che mettono in crisi l'immagine maggioritaria del sindacato. Per il resto non vi è nulla di unitario: ma il processo, specialmente nei casi in cui è necessario un intervento eccezionale contro l'autonomia operaia, funziona ed è accettato dalle varie correnti sindacali, dalle "forze" politiche, dai media. Al di là dell'intervento repressivo, il processo di sindacato unitario non è che una litania educativa per militanti sindacali. Inoltre questo processo deve continuamente confrontarsi con la concorrenza operaia, che si esprime in modo maggioritario su quei terreni non vincolati dalla contrattazione, nei quali quindi la delega non è stata ancora inventata. È appunto il confronto contro le forme maggioritarie di comportamento operaio non vincolate dalla contrattazione che sembra essere il fecondo terreno dello sviluppo futuro del sindacato unitario.
Quindi il processo di sindacato unitario non trova il suo limite nella politica rivendicativa, ma nel rapporto di delega. È proprio il terreno della delega ad essere inadatto ad essere praticato ed utilizzato in funzione della crescita della organizzazione operaia. Anche per questo motivo il sindacato si sforza in tutti i modi di consolidare la delega della "base" e di realizzare su tutti i terreni dei centri di formazione della "volontà collettiva" che siano in grado di agire in qualità di rappresentanti operai e di trasformare i conflitti diretti ed aperti in rivendicazioni negoziabili. Da questo punto di vista, tutte le critiche al processo di "sindacato unitario" che si muovono pur esse sul terreno della delega - le cosiddette critiche di sinistra - sono pur esse conformi ed ispirate al progetto repressivo di distruzione delle forme maggioritarie di comportamento operaio che sfuggono al controllo democratico-partecipativo. Esse si basano su una constatata insufficiente realizzazione della delega operaia nell'ambito del processo unitario, oppure introducono nella delega un vincolo "politico" per cui essa dovrebbe esser soddisfatta da alcune coalizioni governative e non da altre. Nell'insufficiente realizzazione della delega unitaria, e nei vincoli che pone sul mercato elettorale, si viene così ad intravedere la prefigurazione di un "partito" ad immagine e somiglianza della delega operaia. Anche in questo caso tutti i comportamenti operai al di fuori della delega sono la faccia nascosta della luna, ed interessano solo nella misura in cui introducono i ben noti effetti devastanti nel processo di rafforzamento della "delega effettiva", e debbono quindi essere combattuti. Al di là quindi del fatto che la realizzazione della delega venga considerata sufficiente od insufficiente, sia i sostenitori del processo di sindacato unitario che i critici di questo processo si muovono all'interno di una pratica nella quale la delega resta il nucleo centrale del processo. Nel rapporto PCI-sindacato l'insufficiente realizzazione della delega viene tirata in gioco solo quando occorre accelerare il processo unitario in vista di scadenze politiche, o quando si tratta di negoziare la presenza, all'interno di esso, di componenti di "destra". Per il resto, il PCI considera completamente obsoleta la relazione base-vertice quale parametro di democrazia organizzativa, e ad essa sostituisce la relazione unitario-antiunitario: ed è proprio sulla base di questo parametro che vengono condotte le epurazioni all'interno delle fabbriche.
Sia il sindacato che il PCI, quindi, hanno come obiettivo il "rafforzamento della delega", la sua realizzazione in termini "effettivi". Ostacoli e ritardi in questo processo possono nascere da due fonti: da un lato possiamo avere degli ostacoli o ritardi di natura organizzativa interna, per cui in seno alla stessa organizzazione sindacale, ad esempio, si sviluppano particolari resistenze allo svolgimento del processo che dipendono in ultima analisi da differenti concezioni del contenuto effettivo della delega.
D'altro lato abbiamo ostacoli e ritardi che non dipendono dal contenuto della delega o dall'organizzazione sindacale, e che in genere sono addirittura privi di rappresentanza sociale, e non sono quindi negoziabili o risolvibili tramite un riassetto delle risorse organizzative interne del sindacato. È appunto in questo caso che il processo di sindacato unitario trova il suo limite non tanto in un particolare contenuto della delega, ma nel rapporto di delega come tale.
In questo caso appare con chiarezza la partizione non negoziabile dell'interesse di classe in una maggioranza delegata che il sindacato rappresenta, ed una maggioranza che non si esprime sul terreno della delega e che corrode senza sosta la "legittimità" del sindacato come istituzione. Si tratta precisamente della fase in cui il controllo sindacale della forza-lavoro non è più o meno forte a seconda della natura della delega, ma è funzione diretta dello scontro tra il sindacato come istituzione e la maggioranza operaia che non si muove più sul terreno della contrattazione. Il processo di costruzione di un sindacato "forte" in Italia, che rappresentasse in un qualche modo la maggioranza degli operai, risale a differenza di altri paesi europei a tempi recenti ed ha delle caratteristiche che è possibile ricavare dalla storia della contrattazione. Lo Statuto dei Lavoratori e tutte le clausole degli accordi aziendali riguardanti i diritti sindacali hanno offerto al sindacato una risorsa organizzativa fondamentale per espandere la propria organizzazione. In questo modo il militante sindacale è venuto a godere all'interno della fabbrica di una mobilità e libertà che un tempo era privilegio dei capi e dei guardiani. A partire da questa risorsa organizzativa fondamentale il sindacato ha cercato senza riuscirvi di consolidare il proprio controllo sulla forza-lavoro usando metodi più o meno apertamente ricattatori. Il possesso della tessera sindacale ha significato in molti casi il requisito per la mobilità verticale. In tal modo i meccanismi di professionalizzazione ed individualizzazione del salario sono stati finalizzati alla crescita dell'organizzazione sindacale, per arrivare fino ai casi recenti di controllo delle assunzioni da parte del sindacato unitario. Tutta la storia recente della contrattazione, così, sembra essere finalizzata al consolidamento nella fabbrica di un sistema di potere sindacale che controlla l'intera carriera dell'operaio fin dall'assunzione, ed in molti casi ne determina il licenziamento. Tutto questo rende ridicolo il parlare di partecipazione operaia al sindacato: in realtà quello che oggi viene chamato "delega" non è altro che un processo di espropriazione e di controllo del comportamento sociale dell'operaio. Tutti questi fattori sono stati accentuati dalla crisi che ha facilitato l'imposizione da parte del sindacato dello "stato d'assedio" in fabbrica.
Una implicazione importante del rapporto sindacato-partito così come esso si viene a configurare nei processo di sindacato unitario è quello che viene chiamato il "nuovo modo di fare attività sindacale".
Infatti è molto frequente nella stampa comunista - sindacale e di partito - la distinzione tra un "vecchio" ed un "nuovo" modo di realizzare l'attività sindacale. Questa distinzione si accompagna di solito alla valorizzazione del "confronto" che il sindacato sviluppa con gli apparati di governo centrale e locali - ed anche amministrativi - che formano insieme degli ulteriori livelli di contrattazione o di confronto della "nuova" attività sindacale. Essi sono visti in parte contrapposti, in parte complementari, ad i precedenti livelli di contrattazione caratteristici della "vecchia" attività sindacale.
I nuovi livelli di contrattazione (dagli Enti locali al Governo) o di confronto sono occupati in genere dal potere politico, ed in essi il sindacato entra direttamente in rapporto con i partiti. In genere essi sono sia una causa che un prodotto del rapporto del sindacato con i partiti, ed in particolare del rapporto sindacato-partito comunista. Nella reale attività del sindacato la distinzione tra "vecchio" e "nuovo" modo di fare con relativi livelli di confronto, corrisponde ad una attività contrattuale incentrata prevalentemente sul salario, ad una attività sindacale che accerta o promuove le politiche di accrescimento dell'occupazione nel confronto con Enti locali o centrali, a seconda che i due livelli di confronto vengano concepiti o contrapposti o complementari, cosa quest'ultima più realistica, si determinano i tempi dell'attività sindacale che coinvolge entrambi i livelli, ma secondo una gerarchia di priorità ben precisa. I due livelli di confronto possono essere "saggiati" simultaneamente, oppure in periodi diversi, magari vincolando la soluzione di uno all'esito dell'altro. È evidente quindi che per il sindacato il rapporto occupazione/salari è generato dai tempi e modi con cui vengono, combinati insieme i due livelli di confronto: è quindi un processo di organizzazione specifico.
Tuttavia, la distinzione tra "vecchio" e "nuovo" modo di esprimere, l'attività sindacale assume una valenza diversa - e quindi genera delle politiche rivendicative: differenti concatenazioni nel tempo dei due livelli - a seconda che a) il PCI occupi o meno i governi locali e centrale, b) ci si trovi in regime di occupazione crescente o decrescente.
Nel caso del PCI assente dai governi locali e centrale, in genere il sindacato esprime dei vincoli alle politiche che vengono espresse da questi governi, e magari esemplifica la propria futura disponibilità alla collaborazione in presenza di governi comunisti con piccole dose di repressione aperta che diano al pubblico un'immagine gradevole del possibile futuro. In presenza del PCI al governo locale il sindacato inizia un lento processo di riconversione che trasforma tutti i vincoli (divieto di licenziare etc.) in politiche attive coinvolgendo in questo gli apparati amministrativi regionali che tendono a perdere la loro struttura napoleonica per divenire degli efficienti centri di repressione consensuale di tutte le forme di rigidità - diretta o indiretta - operaia. Più in generale il sindacato gestirebbe in questa fase i canali neri della mobilità a tutti i livelli, dalla fabbrica al mercato dei lavoro.
Nel caso di occupazione decrescente, il sindacato è portato "automaticamente"» a dare priorità all'obbiettivo dell'occupazione, ed anche in questo caso ponendo dei vincoli alle varie politiche con cui si confronta, vincoli che però è pronto a trasformare in politiche attive non appena il PCI passi al governo locale e/o centrale. La distinzione tra "vecchio" e "nuovo" modo di concepire la attività sindacale sembra quindi potersi condensare in due punti: il passaggio dalla contrattazione sul salario e anche sull'occupazione, al "confronto" sull'occupazione e anche sul salario - passaggio dalla contrattazione al confronto - , e la trasformazione dei vincoli in politiche attive, che passa per la distruzione della complessiva rigidità operaia. È appunto la trasformazione dei vincoli in politiche attive che sembra essere una delle caratteristiche specifiche del processo: è abbastanza diffusa l'opinione, ad esempio, che lo Statuto dei Lavoratori o gli articoli dell'ultimo CNL dei metalmeccanici sul controllo degli investimenti abbiano creato dei vincoli che il sindacato potrebbe, volendo, trasformare in politiche che modifichino profondamente la composizione politica e tecnica della forza lavoro. Tuttavia né nella realtà, né nel dibattito, emerge con chiarezza se effettivamente prevalga, all'interno del sindacato, l'opinione dell'apparato che è favorevole a questa trasformazione, o quella di coloro che sono favorevoli ad una accentuazione e rafforzamento dell'attività sindacale in senso vincolistico. In entrambi i casi, però, il risvolto delle "conquiste" sindacali è dominato dall'accettazione del ricatto dell'occupazione, che permane l'obiettivo prioritario.
Inoltre, la distinzione tra "vecchio" e "nuovo" modo di concepire l'attività sindacale acquista delle valenze differenti che non coincidono tutte con quella mostrata. In genere il confronto tra sindacato e vecchi livelli di contrattazione contiene un rapporto "fabbrica-stato" di vecchio tipo, mentre la articolazione strategica vecchi-nuovi livelli contiene l'intero processo di sviluppo del nuovo rapporto fabbrica-stato. Dal rapporto fabbrica-stato si enuclea il rapporto sindacato-partito che alla fine tende a divenire il rapporto del PCI con "se stesso". In questo schema l'organizzazione degli interessi "sociali" rappresentati dal sindacato e dal PCI tende ad identificarsi con tutte le articolazioni dello stato, anche se queste appaiono cristallizzate in determinazioni politiche inefficienti.
Il rapporto sindacato-partito si pone a partire dal processo di sindacato-unitario. Non sfugge che questo processo avviene completamente fuori della fabbrica e questo per un motivo molto semplice: mettendo insieme tre sindacati ne esce fuori pur sempre un terzo sindacato. Questo, come si vede, è uno dei molti lati negativi del processo. Nella fabbrica, il processo di sindacato unitario è sottoposto all'arma disgregatrice della concorrenza operaia che si esprime in forma maggioritaria - in questo periodo - solo su quei terreni non vincolati dalla contrattazione, dove quindi la delega non è stata ancora inventata.
Il processo di sindacato unitario in fabbrica, quindi, non trova il suo limite nella politica rivendicativa, ma nel rapporto di delega. La contrattazione che si è sviluppata negli ultimi anni - grosso modo a partire dal 1972 - ha infatti generato, tramite l'espansione non indifferente dei diritti sindacali: molte ore per attività sindacali, l'appropriazione della delega operaia, appropriazione che ha messo definitivamente in secondo piano il "committment" partecipativo dell'operaio al sindacato.
La crisi della contrattazione ha cioè determinato, spinto il sindacato verso l'espropriazione della delega attraverso la trasformazione dell'attività sindacale in senso vincolistico (ricattatorio). Il divieto di licenziare nella grande fabbrica, ad esempio, significa che può essere licenziato solo chi è contro il sindacato. Il controllo degli investimenti significa che può essere assunto solo chi si iscrive al sindacato. In questo modo il sindacato gestisce i "canali neri" della mobilità e controlla la domanda di lavoro, per quel che gli compete, realizzando un processo di espropriazione della delega che dovrebbe garantirgli la sopravvivenza sia in regime di crisi e quindi di occupazione "calante", sia in un ipotetico regime di sviluppo cioè in occupazione crescente.
Quante illusioni ci siano in questo meccanismo non è difficile accorgersi. Queste illusioni sono proprie di chi vuole illudere che la garanzia del posto di lavoro e il controllo dei licenziamenti rendono irreversibile la forza operaia. Infatti in questa ipotesi il sindacato manterrebbe costante-inalterata la sua forza in periodi di crisi, la aumenterebbe secondo la misura della occupazione aggiuntiva in periodo di sviluppo. In questo caso, il sindacato diverrebbe l'unico istituto anticiclico della società. Ma questo significa solo che il Sindacato è una istituzione: il resto del mercato del lavoro, quello dei non iscritti al sindacato, sarebbe perfettamente elastico, (immagine perfetta della congiuntura).
In questa prospettiva, in regime di piepiena occupazione, il sindacato sarebbe l'istituto più potente dell'encomia: anche per questo, si tende sempre più, sia a livello politico sia a livello sindacale, a concepire l'avanzmento verso la piena occupazione(in fieri) come, un processo di "delega democratica". Il sindacato sarebbe la rappresentazione totale del "mondo del lavoro": ai partiti toccherebbe nell'ambito di questo processo, un ruolo che - in sede di dibattito sul processo di sindacato unitario - si assicura "peculiare". In realtà l'unica particolarità dei partiti sarebbe, sembra, quella di avere un ruolo per nulla distinto da quello dei sindacati. La stessa relazione democrazia-occupazione è alla base del quadro di riferimento, della gerarchia di "priorità" che gli uomini politici dovrebbero esporre al sindacato. Solo che il trasferimento della delega sindacale all'universo politico sarebbe indolore: non dovrebbe esserci necessità di un social conctract (contratto sociale) ,viene auspicato.
Questo punto, in realtà, è al centro della discussione; sia coloro che negano il passaggio indolore della delega sindacale ai politici, sia coloro che ne sono sostenitori, hanno molte volte come punto di riferimento un rapporto fabbrica-società di tipo contrattuale.
Il rapporto di tipo contrattuale, tuttavia, si basa su un nesso democrazia-pluralismo che trascura, del sindacato e del partito, il rapporto democrazia-opposizione.
Il sindacato - si afferma - è democratico nella misura in cui si pone come obiettivo prioritario l'occupazione, Quindi nella misura in cui sostituisce con essa gli aumenti salariali.
Rosso, giornale dentro al movimento - pagine 27/29
