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Come è avvenuto e avviene a rotazione in tutte le categorie operaie, i lavoratori del marmo, dopo le interminabili trattative condotte dalle diverse organizzazioni sindacali su scala provinciale e nazionale, erano scesi in lotta aperta con uno sciopero generale ad oltranza per ottenere il rinnovo del contratto nazionale e un aumento del 10% sul salario (del tutto insufficiente per fronteggiare il continuo rialzo del costo della vita) e migliorare le loro poco invidiabili condizioni di vita.

La dichiarazione di sciopero generale, accolta con entusiasmo da tutti i cavatori d'Italia, è stata particolarmente sentita nei bacini marmiferi di Carrara e della Versilia, dove questi proletari hanno una tradizione di lotte memorabili condotte sempre con vigoria ed accanimento. Sopraluoghi fatti da noi a Carrara, Querceta, Pietrasanta, Seravezza, La Spezia, ci hanno permesso di constatare la riuscita completa dello sciopero e la volontà indomabile degli operai di strappare una nuova vittoria contro i "baronetti del marmo" nella stagione in cui essi vanno a villeggiare nelle comode spiagge versiliesi e fanno i bagni d'acqua e di sole, mentre i cavatori non conoscono che interminabili bagni di sudore.

La riuscita dello sciopero, la sua compattezza, la simpatia di cui l'hanno circondato tutte le altre categorie operaie (parliamo dei maggiori centri marmiferi: Carrara, Massa, Versilia e Garfagnana, La Spezia, ecc), sono state una sorpresa tanto per i diversi sindacati (che prima dello sciopero facevano a chi rincara di più per demagogia e concorrenza di bottega) quanto per gli industriali, i quali pensavano che l'aver diviso i lavoratori in molteplici organizzazioni sindacali li avesse resi impotenti a svolgere un'azione energica ed unitaria per il raggiungimento degli obiettivi prefissi.

La forza del movimento operaio, la sua volontà di lotta, hanno quindi portato lo scompiglio nelle organizzazioni sedicenti operaie, tanto più che gli industriali nel loro cinismo non esitavano a riversare la colpa del mancato accordo sui sindacati, i quali si erano impegnati a sostenere in alto loco che l'aumento ai lavoratori dei bacini più importanti (quelli sopra citati) dovesse essere inferiore del cinque per cento a quello da stabilirsi in sede nazionale, per evitare che la concorrenza degli altri bacini marmiferi dove le paghe (essi dicono) sono inferiori alle nostre, mettesse in crisi la nostra produzione.

Quest'accordo preventivo fra i sindacati locali e il padronato, mentre lasciava indifferenti gli operai, veniva sfruttato appieno da quei ceti che vivono come parassiti tra la produzione e la vendita, e identificano la difesa del "nostro Marmo" (nostro un corno!) con la difesa delle loro invidiabili condizioni di vita.

Lo sciopero continuava compatto; in alcune località, gli operai cominciavano a dare segni di impazienza; e i sindacati, per paura di perdere il controllo del movimento, dopo aver a lungo piagnucolato sulla costituzione la quale, sembra, garantisce lavoro a tutti, corsero ai ripari per silurare lo sciopero.

Raccolsero una lunga lista di piccole aziende, tra le quali molte di "sinistra"; firmarono un accordo per l'aumento di... lire 2500 al mese, salvo conguaglio in base all'accordo nazionale; composero un manifesto di vittoria e incitarono gli operai delle ditte firmatarie a recarsi al lavoro, mentre quelli delle ditte che non avevano firmato avrebbero proseguito nello sciopero, e chi lavorava doveva versare un contributo per sostenerli. Inutile dire l'assurdità di un tale accordo soprattutto nell'industria del marmo; fatto sta che il "manifesto di vittoria" fu accolto con commenti salaci sia dagli operai che avrebbero dovuto continuare lo sciopero, sia da quelli che avrebbero dovuto recarsi al lavoro.

Nel comizio tenuto la sera stessa, i bonzi locali dai De Nardi ai Tramontana (che, oltre ad essere dei bonzi, sono dei cretini di prima forza) si sfiatarono a convincere gli operai che l'accordo segnava un grande successo e che bisognava rispettarlo, come premessa di future e più grandi vittorie, ma si trovarono di fronte a un silenzio glaciale che era, più che una sconfessione, una condanna; e lo sciopero continuò ad oltranza, più compatto e unitario di prima, fino all'accordo nazionale che sanciva il 5% di aumento, lo stesso che gli industriali erano disposti a concedere in fase di trattativa prima della cessazione del lavoro...

I sindacati non ebbero nemmeno il coraggio di ritirare il manifesto che, mentre lo sciopero generale durava, gli operai guardavano beffardi. La sola amministrazione comunale — che ha per sindaco un socialista — sentì il bisogno di dare una sgraffiatina ai cugini lanciando un manifesto per proclamarsi solidale con gli operai che continuavano a incrociare le braccia. In vista di future competizioni elettorali, anche questo può far comodo: non si sa mai...

Gli operai del marmo, che nella lunga tradizione delle loro lotte non hanno mai subìto uno scacco così vergognoso, sono tornati al lavoro con animo sereno perché sanno che nelle sconfitte a volte si impara più che nelle vittorie. Consapevoli di essere stati ignominiosamente venduti, sapranno ricordare, e noi ci auguriamo che sappiano anche trarne i dovuti ammaestramenti per il giorno della riscossa, quando non saranno soli nella battaglia, ma formeranno la pattuglia di assalto di una grande armata di lavoratori che, sotto la guida di un partito rivoluzionario basato sui principi marxisti e sugli insegnamenti della Comune di Parigi e del glorioso Ottobre russo, riprenderà quella marcia in avanti per la distruzione della società capitalista che è stata interrotta dalle sconfitte del proletariato internazionale successivamente alla prima guerra mondiale ed all'involuzione della Russia bolscevica, trasformatasi da fiaccola di rivolta e di speranza per le moltitudini oppresse, in roccaforte del capitalismo e della controrivoluzione.

Il cavatore carrarese

il programma comunista n°14 del 1959