Da Il programma comunista, n. 19, 11 ottobre1972
Probabilmente, questo numero uscirà quando ormai il contratto dei chimici sarà stipulato grazie all'ennesimo compromesso, come lascia supporre la sospensione della manifestazione nazionale già decisa per il 10 e degli scioperi di "solidarietà" di ... 4 ore. L'articolo che pubblichiamo non ha tuttavia perso il suo interesse, a dimostrazione di come i "vertici" sindacali prendano le loro brave decisioni dopo di aver menato per il naso la corteggiatissima "base", e a documentazione della nostra battaglia nelle file della classe lavoratrice.
Le assemblee che si stanno svolgendo in questo periodo nelle fabbriche chimiche per il rinnovo del contratto (dopo già 150 ore di sciopero in quattro mesi) servono ai bonzi confederali (ora anzi, federati) per propinare agli operai, puntualmente come ad ogni scadenza contrattuale, le solite falsità e indorare una serie di pillole amare. Il prossimo contratto non apporterà infatti alcun miglioramento sostanziale, in quanto le ventimila lire (poi ridotte a 15 o 16) uguali per tutti richieste sono già abbondantemente assorbite dal rincaro del costo della vita, e la questione vitale, che è la riduzione dell'orario di lavoro, è posta in modo irrisorio; cioè si chiede l'attuazione delle quaranta ore concesse, sulla carta, tre anni fa!
Le lotte saranno il più possibile contenute, compatibilmente con la situazione critica dell'economia nazionale, per cui lo sciopero generale è definito "un polverone", un'arma del passato non più confacente alla "realtà attuale", e si scopre invece come un'arma proficua la contrattazione articolata, la lotta a singhiozzo e aziendale, che, essendo "dannosa" per le singole fabbriche, dovrebbe in conseguenza essere vantaggiosa per la classe operaia.
A fianco della politica sindacale, tutta tesa nel massimo sforzo di mantenere divisi è immobili i lavoratori, gioca la reale situazione di crescente aggravamento delle condizioni di vita e di lavoro, e soprattutto lo spettro della disoccupazione, ricatto sul quale si fa leva affinché gli operai si ritengano dei privilegiati ad avere un lavoro pur massacrante e mal pagato che sia. Solo per i turnisti a ciclo continuo si chiede la riduzione dell'orario a trentasei ore, su cui il padronato si è rifiutato anche solo di discutere, come del resto ha detto NO su tutta la linea. La cosiddetta "controparte" non si è neppure presentata al completo alle trattative; è evidente che in questa situazione di sottoproduzione essa ha buon gioco a mostrare il suo disinteresse, anche se ciò fa parte della classica mossa per arrivare a chiudere i contratti cedendo su tutte le parti che gli costano poco o nulla, e da cui gli operai non trarranno alcun beneficio. I sindacati "responsabili e coscienti" puntano infatti tutta la loro propaganda sulle riforme, sul "riconoscimento" dei consigli, e quindi sulla "conquista di più potere in fabbrica". Il tutto è di una demagogia così trita e palese, che la mancanza di ogni reazione da parte degli operai sarebbe inconcepibile se non fosse il frutto di un cinquantennio di controrivoluzione che ha inciso profondamente nelle loro carni.
I nostri "legalitari" dirigenti stanno conducendo una campagna veramente schifosa. Non solo impediscono ai lavoratori di lottare per sé e per i loro interessi immediati, ma addirittura li incitano a solidarizzare con la causa dell'economia nazionale in crisi.
Basti vedere gli innumerevoli scioperi con i quali si strumentalizzano i lavoratori per gli interessi dei padroni e delle direzioni aziendali, facendoli rivendicare "sovvenzioni" statali per le fabbriche in crisi nel quadro più generale della politica degli investimenti: ore e ore di paga che gli operai perdono perché lo Stato intervenga a rimpolpare le casse delle fabbriche pericolanti, come la Montedison, le Officine Galileo di Firenze, il Fabbricone di Prato e innumerevoli altre, dove, guarda caso, vi erano già consigli riconosciuti, quindi a mezza strada verso il "più potere in fabbrica". Avendo sindacati e partiti traditori decretato che la massima aspirazione dei lavoratori è di vendere la propria forza lavoro (sia pure alle migliori condizioni) e quindi di trovare un capitalista disposto ad acquistarla, tutta la loro politica traduce in questo: lottiamo perché lo Stato, con i suoi investimenti, salvi le fabbriche o crei nuovi capitalisti a cui vendersi. Una politica di vera e propria conservazione del modo capitalistico di produzione e di perpetuazione del suo sistema di sfruttamento!
Tutto questo è stato da noi spiegato in occasione di interventi effettuati nelle assemblee dei chimici di Firenze, chiarendo che il compito dei comunisti nei sindacati è in primo luogo, soprattutto oggi, quello di denunciare apertamente i vergognosi inganni, i tradimenti dei dirigenti sindacali che hanno abbracciato la causa borghese. Con tale criterio abbiamo analizzato punto per punto le proposte rivendicative dei sindacati, mettendo in evidenza come nessuna di queste, anche se ottenuta, giovi ad alleviare le condizioni di vita e di lavoro degli operai, ed abbiamo soprattutto messo l'accento sul fatto che mai i veri comunisti hanno visto nelle riforme la possibilità di fare avanzare la classe verso l'emancipazione dal lavoro salariato, mai hanno identificai nella fabbrica un "potere" da conquistare, mai sono stati fautori delle cosiddette "conquiste legalitarie", in quanto per noi legalità significa legalità borghese, il limite cioè che la borghesia impone a qualsiasi rivendicazione e libertà operaia, e che fa rispettare attraverso un organo ultra centralizzato esistente fuori della fabbrica: lo Stato. Là risiede il potere, e lo imparano quotidianamente gli operai nelle loro lotte, a reprimere le quali interviene, non già direttamente il padrone con le sue forze di repressione personali e in difesa dei suoi particolari interessi, ma l'apparato statale, rappresentante difensore degli interessi generali della classe dei capitalisti. Abbiamo ricordato agli operai qualcosa che la lunga pratica democratica ha fatto loro dimenticare, cioè che lo sciopero generale in funzione non tanto del sabotaggio dell'economia quanto della realizzazione della vera forza e unità della classe operaia; è un allenamento e una scuola di battaglia rivoluzionaria. Ma, perché le lotte assumano questo carattere, devono uscire dai confini della contrattazione paritetica delle cosiddette conquiste legalitarie, perché la lotta di classe è antilegalitaria per definizione, il sindacato è di classe solo quando non si pone sul terreno costituzionale ma difende gli interessi economici generali della classa salariata.