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contro il ricatto delle banche multinazionaliInghilterra. Nuovo ciclo di lotte

Londra come New York come Milano: la manovra delle banche sulla spesa pubblica - dai ghetti alle fabbriche è in atto una ricomposizione politica di classe che esprime nuove capacità di lotta militante.

In febbraio 1976, quando il governo inglese pubblicò il programma di riduzione della spesa pubblica ("White Paper") da effet­tuare tra il 76-77 e tra il 77-78, la prima domanda che ci si pose era: "co­me?". Di fatto, è dall'inizio del 1960 che il governo si lamenta ogni anno sugli accessi del settore pubbli­co. E, sistematicamente, ogni anno successivo la spesa pubblica inglese è composta di molte "voci", le più importanti delle quali sono l'educazione pub­blica, gli alloggi, le spese per "health and social services", le "local authorities", le imprese naziona­lizzate (come la "British Leyland").

E fra queste "voci" le spese sociali per i disoccupati (unemployment benefits) sono cre­sciute estremamente so­prattutto a partire dall'ini­zio del 70 e durante tutta la fase recessiva che an­cora stiamo attraversando.

Quindi, anche quando in febbraio il governo lanciò il suo nuovo piano di ri­duzione della spesa pub­blica da effettuare grazie alla introduzione dei cosiddetti cash limits, ossia dei limiti al di là dei quali ogni spesa pubblica avrebbe dovuto essere decisa dal governo centrale, ci si rese conto che nul­la era cambiato dal punto di vista dell'instrumentario statale e della possibilità reale di far fronte alle sempre crescen­ti richieste proletarie sul piano dei servizi sociali e dei sussidi ai disoccupati. Dopo solo tre mesi dal­la pubblicazione del White Paper, infatti, ci si accorse che le spese delle "local authorities", ossia le spese correnti dei comuni per pagare gli impiegati pub­blici, gli insegnanti, i di­soccupati della regione, la assistenza familiare, ecc, avevano già superato (do­po tre mesi!) quanto il go­verno aveva deciso di spendere in un anno inte­ro. È chiaro che il debito pubblico, sempre più finan­ziato dagli istituti interna­zionali americani e tede­schi, stava crescendo a vi­sta d'occhio: le local au­thorities, infatti, si erano indebitate soprattutto ver­so le banche multinaziona­li US, mentre il governo centrale inglese aveva cer­cato di finanziare il pro­prio debito essenzialmente con l'emissione di titoli pubblici acquistati preva­lentemente dagli "institutional investors" locali. Sta di fatto,   comunque, che il debito complessivo venne sempre più finanzia­to dall'estero, e quindi, la intera linea di attacco alle spese sociali doveva segui­re le direttive delle banche multinazionali che avevano fino ad allora sostenuto il debito pubblico inglese.

Si capisce quindi perché quest'anno il piano di ri­duzione della spesa pub­blica non lasciava molto spazio: differentemente da tutta la fase storica pre­cedente, la spesa pubblica non avrebbe più potuto giocare un ruolo anti-ciclico grazie al quale assor­bire i contraccolpi della ri­strutturazione industriale. Le spese sociali, non po­tendo più essere pagate col solo introito fiscale, e quindi appesantendo il pe­so del debito verso l'este­ro, andavano ridotte dra­sticamente per due ragioni fondamentali: prima di tut­to gli operai di impresa, vedendo la possibilità di vivere "on the dole", e cioè ricevendo il sussidio della Social Security, o la­sciavano le imprese o chie­devano salari troppo alti per permettere al settore industriale di recuperare con le esportazioni i mar­gini di profitto necessari ai nuovi investimenti. In secondo luogo, l'aumento crescente delle spese so­ciali bloccava di fatto la strategia del dirottamento del denaro pubblico verso le imprese che lo Stato inglese aveva cercato di perseguire di fronte alle lotte degli operai delle im­prese  nazionalizzate.

In una parola, l'intera Inghilterra stava "trasfor­mandosi in una nuova New York. Come tale, in effetti, venne trattata dal­le banche multinazionali quando, dall'inizio di mar­zo, incominciarono a sva­lutare la sterlina. È ormai dea sette mesi che la sterlina è completamente schiacciata dalla "strategia della svalutazione" perseguita dagli istituti multinazionali. I maggiori col­piti, non a caso, sono le Local Authorities che si trovano nella situazione di dover ripagare i debiti e gli interessi con una va­luta pressoché dimezzata di valore.

 

Fascismo e razzismo, armi dello stato contro la ricomposi­zione di classe

Questo è il primo dato circa la situazione econo­mica interna. Alla strate­gia della svalutazione se­gue quella della disoccupa­zione per far funzionare realmente i disoccupati da "esercito industriale di ri­serva". Dato che fino ad ora i disoccupati e i "sen­za salario" (come le don­ne e i vecchi) hanno man­tenuto rigido il proprio "sistema dei bisogni" lot­tando per avere "more cash" e senza badare al­l'economia del paese, la strategia del governo (che è completamente integra­ta a quella degli organi multinazionali, tanto che quest'anno la Banca cen­trale è rimasta essenzial­mente passiva di fronte a tutte le svalutazioni della sterlina) è quella di appro­fondire fino in fondo l'at­tacco all'occupazione per far sì che il salario reale operaio venga diminuito a tal punto da permettere al­la svalutazione della ster­lina di diventare una "oc­casione" per la ripresa del­le esportazioni.

Il secondo dato politico di questa situazione è la dinamica delle lotte e dello attacco statale al prole­tariato. Se infatti si va a vedere più precisamente dove il governo attacca più ferocemente, si scopre che i maggiori colpiti sono gli abitanti dei quartieri-ghet­to delle zone urbane, co­me a Londra, Leeds, Glasgow, etc. Le spese per le scuole (materiale scolastico, maestri, mense, etc.), i trasporti, le abitazioni,...
sono i luoghi privilegiati dell'attacco statale alla spesa pubblica. E i mag­giori colpiti sono i negri, i pakistani, i giovani proletari bianchi ed evidentemente le donne.

Infatti, tra il 74 e il 75 la disoccupazione comples­siva è cresciuta dell'85%; i giovani disoccupati, com­plessivamente, sono au­mentati al 140% mentre i giovani negri disoccupati sono cresciuti al 157%. Lo Stato inglese, non potendo ancora rimpatriare i ne­gri immigrati in GB, come vorrebbe la destra, ha co­munque bloccato l'immi­grazione per es. west in­diana, ma soprattutto sta applicando una politica terroristica nei confronti della popolazione di colo­re, sia negli uffici di collo­camento (rendendo prati­camente impossibile ai ne­gri di trovare un posto di lavoro, di essere raggiun­ti dalle famiglie, ecc.) sia grazie alla stampa quoti­diana e allo sviluppo del razzismo (organizzato nel National Front, oppure interstiziale, come all'Home Office dove i funzionari non fanno che discriminare contro gli immigrati, oppure nella polizia che si è organizzata in squadre speciali per intimidire i giovani nelle strade).

È praticamente da un anno che in certi quartie­ri non passa giorno senza che le squadracce dei gio­vinastri bianchi non attac­chino a freddo ragazze di colore, vecchi, ecc. Tre in­diani sono stati uccisi ne­gli ultimi mesi e la poli­zia non ha perso una oc­casione per attaccare i clubs dei giovani dove si riuniscono per discutere o per organizzarsi.

Il razzismo, insomma, sta dilagando. Ma l'importan­te è capire in che senso il fascismo e il razzismo si inseriscono nella strategia di Stato, nell'attacco con­certato alla spesa pubbli­ca e alle lotte operaie sul salario.

Abbiamo detto che i gio­vani di colore sono quelli che maggiormente sono stati colpiti dall'attacco al­l'occupazione. La prima co­sa da capire, dunque, è questa: la popolazione di colore di oggi è prevalen­temente giovane, è nata ne­gli anni '60, l'età media è di 15 anni.

Sono questi giovani che costituiscono la spina dor­sale della popolazione di colore. E questo cambia totalmente tutta la que­stione della immigrazione. Infatti, è finito il tempo dello "Zio Tom", delle on­date di immigrati dentro i quali cresceva, come ne­gli anni '50, quella cintura di mediazione fra lo stato inglese e la popolazione immigrata. La gioventù negra di oggi non ha nessu­na mediazione con il po­tere: la maggior parte di loro non conosce la fab­brica, le "commissioni in­terne", i sindacati, le de­legazioni che andavano a pregare i ministri affinché facessero loro qualcosa per frenare l'odio razziale. I proletari negri di oggi co­noscono solo l'area del ghetto, la loro vita socia­lizzata nei furti quotidiani ai supermercati, nelle lotte di strada. Non è un caso che molti di essi non si annuncino neppure alla social security per ricevere i sussidi di disoccupazio­ne: non è ignoranza, ma totale estraneità al siste­ma di regolamentazione della vita secondo le leg­gi del lavoro salariato. Di certo, questi disoccupati a vita non agiscono da "esercito industriale di riser­va", né sono ricattabili col lavoro. La loro vita la pas­sano tra una lotta e l'al­tra, sia contro i fascistelli locali, sia contro la poli­zia di quartiere che li con­sidera "fannulloni, pigri, piccoli criminali", ecc. Di fatto, questa componente sociale della disoccupazio­ne è la più attiva politi­cante, perché si organizza nei "centri della gioven­tù", stampa giornali loca­li, organizza occupazioni di case pubbliche (in GB le case occupate sono 40 mi­la!), ruba nei negozi di alimentari, ecc.

È qui che si inserisce la strategia di Stato. Facen­do uso della stampa quoti­diana (soprattutto i giornali "popolari" come il Dayli Express) l'obbiettivo di Stato è quello di canalizzare l'odio verso i "responsabili" della crisi, del deficit pubblico, ecc. Enoch Powell, (leader del­la destra nazionale), non a caso ha cambiato la sua linea di attacco agli immi­grati quando, quest'anno, ha specificato che la gente di colore più pericolosa so­no i giovani nati in Inghil­terra, non più le vecchie generazioni.

Il vero pericolo, cioè, so­no questi strati sociali che costituiscono le forme di organizzazione autonoma di lotta contro lo Stato. Il razzismo, in altre paro­le, è la forma grazie alla quale l'attacco statale tro­va una mediazione intersti­ziale fra i bianchi colpiti anch'essi dalla crisi. È chiaro, cioè, che i giovani di colore sono un serio pe­ricolo nella misura in cui la loro lotta arrischia di generalizzarsi a tutta la massa di disoccupati, bian­chi e non, che già ha tro­vato un terreno unitario di lotta nella occupazione di case. Ed è appunto contro questo "pericolo" che va ad innescarsi il razzismo ed il fascismo di oggi. Es­so costituisce lo strumento di Stato per attaccare i vettori di lotta più avan­zati dell'autonomia, per spezzare la possibile gene­ralizzazione della pratica militante che i negri han­no sviluppato nei ghetti dove sono stati rinchiusi sin dalla nascita.

Solo in questo modo si capisce perché, da quando il Governo inglese ha pub­blicato il suo White Paper, ma soprattutto da quando le banche multinazionali USA hanno iniziato ad ap­plicare internazionalmente quanto avevano fatto lo scorso anno a New York, il razzismo si sia sviluppa­to così pesantemente. Lo Stato è assolutamente co­stretto ad usare ogni ar­ma possibile per distrug­gere qualsiasi forma di lotta, di resistenza autonoma al "piano" di compressio­ne del salario e del salario sociale. Il terrorismo poliziesco, il razzismo intersti­ziale o organizzato, fanno tutt'uno con la strategia della svalutazione grazie alla quale costringere il settore pubblico a ridurre le spese sociali, l'occupa­zione, ecc.

 

Lotte nei ghetti di Londra e alla Ford di Dagenham

È dentro questa strate­gia che vanno analizzate le più recenti lotte prole­tarie, quelle scoppiate in agosto a Notting Hill Gate (quartiere di Londra) e alla Ford di Dagenham 5 settimane dopo. I proletari di colore gli stessi gio­vani bianchi abitanti dei quartieri-ghetto hanno pre­so l'iniziativa contro la po­lizia che era intervenuta in occasione di un Carne­vale che viene organizzato ogni anno a Notting Hill Gate. La festa dei negri, come aveva preannuncia­to tre mesi prima Race To­day, organo ufficiale dei giovani negri ed estrema­mente militante, si sarebbe dovuta trasformare in lotta contro lo Stato, a dimostrare che la popolazione nera non ha nessuna intenzione di farsi sconfiggere politicamente, oltre che economicamente. La polizia londinese era andata alla "festa" con 1500 unità, 2 elicotteri, 40 camionette. È bastato un nulla e la "fe­sta" si è trasformata in scontro  militare. Ci sono stati 322 poliziotti feriti, 32 camionette distrutte e 50 arresti, fra  i quali anche bianchi. Quella di Portobello è stata una dimostra­zione di forza che ha visto 150 mila negri, provenien­ti da tutte le parti della GB, impegnati a lottare con tutti i mezzi contro la polizia di Stato. Molti si sono chiesti, dopo la lun­ga notte   di Notting Hill Gate, se la polizia aveva provocato ò se invece eran stati i negri a provocare. Come al solito, gli Sherlok Holmes di turno han dibattuto sull'uovo e sulla gallina. La verità è che lo scontro di Portobello (che è la via principale del quartiere) ha dimostrato che fra Stato e "popola­zione autonoma" è ormai scoppiata la guerra. I ne­gri e in generale tutti gli abitanti del ghetto di Not­ting Hill Gate avevano scritto sui muri lo slogan usato dall'IRA irlandese a Belfast "NO-GO AREA", ossia, in questo quartiere non si entra,  qui coman­diamo noi, qui ci organiz­ziamo secondo le nostre leggi. Ed è contro questa linea politico-organizzativa che lo Stato ha mandato i suoi poliziotti. Va  sottoli­neato che questa linea di lotta è ormai praticata in tutti i quartieri-ghetto, sia londinesi che in tutto il paese, come a Brixon, Southall, a Leeds, a Glasgow, ecc.

L'importanza di questa lotta sta nel fatto che or­mai il ghetto, da "prigio­ne" entro la quale la pri­ma immigrazione era stata rinchiusa e sorvegliata, si è trasformato in luogo di organizzazione, di lotta, di socializzazione dello scon­tro. D'altra parte, lo Stato ha serie difficoltà a di­struggere queste "no-go areas" perché la polizia stessa, ripetutamente scon­fitta sul piano militare, è stanca e scoraggiata. Ol­tretutto, il piano di dimi­nuzione della spesa pub­blica prevede pure una ri­duzione degli stipendi dei poliziotti, che si vedono co­sì ancora meno stimolati ad obbedire agli ordini del governo. Insomma, l'attac­co statale alla spesa pub­blica e alle avanguardie che già lottano militarmen­te contro lo Stato della crisi si sta trasformando in un potente boomerang che arrischia di rompere le uova nel  paniere.

Queste lotte, in più, non si limitano assolutamente al sociale, ma già hanno infranto la pratica di sot­tomissione sindacale al go­verno proprio poche setti­mane fa, quando alla Ford di Dagenham un gruppo di operai bianchi e di co­lore ha bloccato (con bar­ricate) la intera fabbrica e ha bruciato alcuni im­pianti, facendo saltare la linea lungo la quale l'im­presa stava per dare il via alla produzione della nuova Ford Cortina. La lotta è scoppiata perché gli operai rivendicavano il "salario garantito" per tutto il tempo durante il quale sono sospesi dalla produzione. In questa lotta tro­viamo la stessa composi­zione sociale che ha vinto contro la polizia a Notting Hill Gate. Il modo con il quale gli operai Ford si sono organizzati è lo stes­so di quello dei proletari dei ghetti.

Questo è il prezzo poli­tico che il capitale e lo Stato inglese, e con lui tut­to il capitale multinazio­nale devono pagare per la loro strategia di attacco alla classe operaia e al pro­letariato. Ci interessa con­cludere sottolineando che, se dall'inizio della crisi, (dal 71) la lotta parallela sul salario e sul salario sociale ha appesantito sem­pre più il debito pubblico dello Stato, il tentativo di rovesciare la crisi finan­ziaria in attacco ai proletari porta già i segni di un nuovo livello dello scon­tro di classe. Il capitale multinazionale,   attraverso le stesse banche che si so­no " liberate" di New York lo scorso anno, ha inten­zione di creare "due, tre, molte New Yorks". Questa strategia di riduzione del­la massa monetaria, di au­mento   dei   tassi di inte­resse, di drastica riduzio­ne delle spese sociali, in­somma questa linea mone­taria di attacco alla clas­se operaia è l'ultima via praticabile per lo Stato ca­pitalista. La cosa impor­tante è che, per funziona­re, la linea monetarista de­ve riuscire ad esorcizzare completamente la lotta di classe operaia: la linea mo­netarista può solo funzio­nare se la lotta operaia e proletaria, viene completa­mente distrutta, e con es­sa, tutta la politica "per­missiva" dello Stato che in questi ultimi anni è riu­scita ad evitare lo scontro diretto con i proletari. In questo senso, la partita che si è aperta sarà dura e pe­sante:  lo scontro è asso­lutamente soggettivo.

 

[da ROSSO, febbraio 1977]