OGNI TUMORE E' MONOCLONALE, VALE A DIRE CHE LA CRESCITA NEOPLASTICA HA ORIGINE DALLA TRASFORMAZIONE DI UN'UNICA CELLULA. E' SUFFICIENTE UNA SOLA MOLECOLA DI SOSTANZE CANCEROGENE PER CAUSARE LA TRASFORMAZIONE DI QUESTA CELLULA, PERCIO' NON ESISTE UN CRITERIO SCIENTIFICAMENTE ACCETTABILE PER DEFINIRE LIMITI DI SICUREZZA TOTALE, MA SOLO CRITERI ECONOMICI E POLITICI.
A lato del grande calderone della lotta all'inquinamento, qualche lavoratore del Petrolchimico di Porto Marghera (soprattutto chi, avendo avuto la fortuna di non ammalarsi e di non morire, continua ad operare a stretto contatto con il CVM) potrebbe, di tanto in tanto, chiedersi quale fine abbia fatto il processo contro una trentina fra i molti responsabili della morte di circa 130 operai occupati per anni in questo stesso stabilimento; morte causata da uno degli svariati cancerogeni che qui vengono prodotti: il Cloruro di Vinile Monomero, appunto. La domanda potrebbe ricevere una risposta del tipo: il processo è sempre vivo e rimane chiuso all'interno delle aule giudiziarie perché sorretto esclusivamente dagli articoli del Codice Penale, mentre voi lavoratori rifiutate di far sentire il vostro appoggio alle "parti civili".
In realtà l'eco del processo giunge, all'insieme dei lavoratori, alquanto ovattato. E' vero che non si può pretendere di ascoltare la dirompente Cavalcata delle Valchirie da chi sa solo eseguire un riposante Adagio, ma non si va molto lontani dal vero affermando che le organizzazioni sindacali (FULC ed RSU del Petrolchimico, in testa) hanno fatto e continuano a fare di tutto per indirizzare l'ascolto dei lavoratori verso l'adagio soporifero impedendo l'innalzamento del tono, del ritmo e del volume.
D'altra parte, i lavoratori chimici non possono pretendere che il gruppo degli avvocati delle "parti civili" (non dell'insieme dei lavoratori del Petrolchimico, dunque), armati dello Statuto dei Lavoratori distribuiscano qualche migliaio di volantini per far luce sull'uso, contro gli imputati al processo, di una serie di articoli del Codice Penale. In fondo, non si può fare alcuna critica ad un avvocato se - facendo il suo mestiere - sintetizza il discorso in questo modo: prendi la bicicletta e pedala, ovvero, se la cosa ti interessa, prendi un giorno di ferie ogni tanto, e segui le udienze all'aula-bunker di Mestre. Così, non gli si può fare alcuna particolare critica se – in modo del tutto professionale - aiuta i suoi assistiti costituitisi "parte civile" contro gli imputati a ritirare la propria adesione in cambio di un po' di denaro (alleggerito, naturalmente, della dovuta percentuale). E cavoli suoi per chi non sa, o si ostina nel rifiuto di "annusare" la concretezza della situazione.
Dal canto loro, le organizzazioni ambientaliste sembra siano molto impegnate ad articolare il discorso in tanti aspetti distinti, pur focalizzando e denunciando un degrado generale dell'ambiente (terra, acqua ed aria) nel quale viviamo. Nel fare ciò esse non possono fare a meno di impegnarsi verso il proprio referente all'interno della società, cioè un "popolo" indistinto e aclassista, quello stesso che in certe occasioni si trasforma in "elettorato". E' naturale che per queste organizzazioni il referente non possa essere la sola classe operaia delle fabbriche di Marghera, che per ora ha fornito i morti accertati, in quanto la nocività dell'aria e delle acque (causata da queste stesse fabbriche e dall'insieme della vita sociale dell'intera pianura Padana) non colpisce solo la classe operaia, bensì tutta la popolazione.
Nello stesso tempo, paradossalmente, non ci si può rapportare alla "popolazione" in quanto categoria del tutto generica: ci si troverebbe di fronte alla somma dei singoli "cittadini", senza alcuna distinzione particolare fra di loro, eccetto che per il colore degli occhi o per la circonferenza del ventre. Con questi cittadini si può avere, nella migliore delle ipotesi, un rapporto esclusivamente individuale, con il risultato inevitabile che la diffusione di "informazione" e la dissipazione di energia si sparpagliano in mille rivoli e perdono ogni efficacia.
Si comprende così come l'unico rapporto possibile venga individuato nel "confronto" con le rappresentanze di questa stessa popolazione, come per esempio gli organi istituzionali, i partiti politici, i movimenti "apolitici", ecc., verso cui o attraverso cui sono presentate istanze concernenti interessi particolari della popolazione. Si chiede giustizia e risarcimento attraverso il processo CVM, si chiedono discariche o inceneritori sicuri ed efficienti, si rivendicano aria, terra e mare puliti. Considerando che da sola l'istanza non può reggersi in piedi, il presentarla rimanda immediatamente ad una qualche forma di rappresentanza e, quindi, agli organismi istituzionali ed alle forze politiche ed "apolitiche" cui si è appena accennato; a meno che non si ipotizzi di lavorare alla formazione di una rappresentanza di tipo nuovo, che non abbia nulla a che vedere con le forze e forme istituzionali esistenti. Ma ciò comporterebbe un ribaltamento totale delle attuali logiche politiche introducendo un tipo di battaglia che nessuno oggi, a livello degli organismi esistenti, si sogna neppure di pensare.
Limitiamoci all'esistente. Non si tratta di negare la possibilità di informare capillarmente, di volantinare ai grossi incroci cittadini, davanti agli ipermercati o all'interno dei mercatini rionali; meno che meno si tratta di negare l'utilità di forme assembleari che non siano esclusivamente assemblee operaie. Non c'è nulla che impedisca seriamente di volantinare al Petrolchimico se non forse il timore di prendere qualche sonoro rimbrotto (in questi casi è sempre bene chiedersi: chi o che cosa "impedisce" di fare una certa attività?).
Il problema reale sta quindi nella natura dell'informazione che si fornisce, perché questa, a sua volta, determinerà il tipo di referente a cui rivolgersi. Non è mai un semplice problema di "verità", perché ogni informazione, per quanto precisa, sarà quasi sempre colta dal referente secondo quanto egli ha già in testa. Non solo, ma chi fornisce l'informazione lo fa già adeguando le caratteristiche di quest'ultima a quelle del referente. L'arte del politicantismo consiste appunto nel saper dire bene quel che l'ascoltatore vuol sentirsi dire.
Molto si è parlato (e straparlato), ad esempio, del Cloruro di Vinile Monomero. Non occorre compiere grandi sforzi per rendersi conto che toccare questo tasto, a Porto Marghera e particolarmente con i lavoratori dell'EVC, dell'Enichem e di tutta l'area del Petrolchimico, è estremamente faticoso, perché questi stessi lavoratori sono portati immediatamente a chiudersi a riccio in una difesa delle condizioni della loro esistenza; difesa che però si indirizza su obbiettivi che vanno in direzione diametralmente opposta alla sacrosanta pretesa di condurre una vita decente e che si può sintetizzare nella disgraziatissima parola d'ordine: "pane e monomero!".
Nella confusione imperante, la maggior parte dei lavoratori del Petrolchimico, preoccupati della "difesa del posto di lavoro (costi quel che costi!)" riescono ad ascoltare, come abbiamo detto sopra, solamente il tipo di informazione che vogliono ascoltare.
Si può decidere di essere indifferenti di fronte alla presenza di un qualsiasi agente cancerogeno ed affidarsi alla possibilità che esso ci passi a fianco senza che si accorga di noi; oppure si può, lancia in resta, partire per una strenua caccia ad un singolo cancerogeno - o singolo gruppo di sostanze cancerogene - non preoccupandosi, poi, di risalire alle cause che hanno portato alla produzione industriale di tali sostanze chimiche.
Ognuno fa le "scelte" che crede più opportune, o che l'ambiente sociale circostante gli permette.
Le stesse industrie chimiche, dovendo lottare strenuamente per conservare la loro posizione all'interno di un mercato sempre più concorrenziale, si rendono conto che in questa guerra commerciale possono esserci degli "effetti collaterali" (leggi: perdita di vite umane), e questo perché sono assolutamente vincolate dal rapporto tra i costi di produzione e i costi della sicurezza; rapporto che, come insegna tutta la storia dell'industria, non può sbilanciarsi a favore della sicurezza oltre un certo limite, pena la chiusura immediata della stessa attività produttiva. [3]
In un ambiente nel quale ci si rifiuta di discutere pubblicamente un problema così grave; dove non sono coinvolti nella discussione neppure quei soggetti che in prima persona lo hanno vissuto e lo vivono sulla propria pelle; in cui sembra si eviti di farlo uscire dallo stretto ed esclusivo ambito delle aule giudiziarie; in cui gli unici portavoce sono i gazzettini locali; in cui si formano ristretti conciliaboli intorno al classico e triviale "mercato delle vacche"; in questo ambiente risulta ben difficile presentare non tanto una proposta, quanto un serio piano di discussione e soprattutto di lavoro che vada oltre la superficialità della "presa di posizione" assolutamente fuorviante ma ormai comune: prodotto chimico x sì, prodotto chimico y no; chimica sì, chimica no.
Nonostante tutto, crediamo sia utile far circolare alcuni argomenti di riflessione che finora non hanno fatto parte del "dibattito". Noi non partecipiamo affatto ad esso, in quanto siamo del tutto estranei alla logica che un tal tipo di dibattito sottende, mentre ci interessa moltissimo gettare la sonda di un detector, un rilevatore in grado di dirci se vi sono elementi che, avendone ormai le tasche piene, siano in grado di sottrarsi ai luoghi comuni e alle trappole degli organismi rappresentativi ufficiali.
Le note che ci servono a questo scopo sono certamente limitate rispetto ad una trattazione approfondita dei problemi e scontenteranno sia chi ha eccessive pretese di semplicità, sia gli addetti ai lavori. Tuttavia ci rivolgiamo a tutti perché non vogliamo essere elementi passivi in una guerra di interessi opposti, dove i rapporti di forza sono assolutamente sproporzionati e la bilancia pende in modo del tutto favorevole dalla parte dei fautori e dei puntellatori del sistema esistente, mentre non vi è forza che sia effettivamente dalla parte di chi subisce ogni giorno gli "effetti collaterali", cioè dalla parte degli operai. I quali, più che frequentare le aule giudiziarie, sono abituati a frequentare le "aule di produzione", e per tale motivo sono il più scontato bersaglio del bombardamento a base di agenti cancerogeni.
Non ci interessa qui sviscerare tutti gli aspetti di carattere tecnico-scientifico sui quali si basa il "processo-Casson", che vede imputati 32 dirigenti di Montedison ed Enichem per la morte di oltre 130 operai che lavoravano alla produzione del CVM, né dilungarci sui miglioramenti, reali o presunti, apportati negli impianti di produzione, dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori che attualmente vi sono impegnati. Ma, prendendo lo spunto da un solo fatto significativo, ne soppeseremo le conseguenze.
Si tratta dell'informazione diffusa dalle aziende in materia di sicurezza nei posti di lavoro. Diciamo subito che bisogna imparare a distinguere fra informazione e mistificazione: da un punto di vista puramente formale si può mistificare anche informando correttamente. Prima ancora, però, di vedere la differenza fra informazione formalmente corretta ed informazione mistificante, vogliamo sgombrare il campo da quella che consideriamo una semplice informazione banale, se non proprio una semplice banalità.
Prendiamo, a titolo d'esempio, l'intervista concessa a Repubblica dal presidente di EVC-Italia, Vidotto, ed apparsa sullo stesso giornale il 25 febbraio 1999. Essa, così come riportata nella forma giornalistica, non è che una sagra delle ovvietà: vi si dice di tutto con la massima cura di dire il niente assoluto. Lasciamo perdere il titolo, che sarà dovuto alla redazione: per un operaio che lavora al Petrolchimico leggere che "Il vinile non è dannoso per la salute" è semplicemente come ricevere un insulto arrogante. C'è di buono, nonostante tutto, che quel "niente assoluto" diventa una spia rivelatrice di un disagio provocato dalla impossibilità di evitare madornali contraddizioni.
Non dubitiamo che il Vidotto abbia delle idee proprie sul significato di "totale innovazione" dei processi produttivi, però potrebbe fare uno sforzo per spiegare anche a noi comuni mortali cosa intende quando usa questi termini. Per esempio: è proprio vero che sono strutturalmente cambiati a Porto Marghera i nuovi reparti per la produzione del CVM e del PVC, dal 1971 ad oggi? Ci potrebbe precisare inoltre che cosa significa "zero impatto ambientale" oppure "minimizzazione dell'impatto ambientale"? E quale differenza si attribuisce alle due espressioni? Ed ancora, cosa significa parlare di "ulteriore minimizzazione del rischio per i lavoratori implicati nella produzione"?
Se "il vinile non è dannoso alla salute" e si è minimizzato l'impatto ambientale, quale potrà mai essere la causa di rischio? Forse che, durante un'operazione manutentiva, una qualsiasi flangia può cadere sul piede di qualche meccanico? Forse che un lavoratore, colpevolmente incurante di mettersi l'elmetto, può essere centrato dagli escrementi liberati da un gabbiano in volo? Oppure, si sta pensando al rischio di angiosarcoma epatico, o ad un'analoga schifezza?
Una cosa è chiara: oggi, dopo ampi studi sull'epidemiologia dei tumori nei paesi più avanzati, si sa benissimo che i tumori un tempo ritenuti spontanei sono in realtà quasi totalmente provocati da agenti cancerogeni artificiali. Questa conoscenza sarebbe di vitale importanza al fine di predisporre misure sul piano preventivo per ridurre drasticamente l'incidenza dei tumori nella specie umana. Basterebbe infatti ridurre altrettanto drasticamente gli stimoli cancerogeni a cui la popolazione tutta e i lavoratori in particolare sono massicciamente sottoposti. [4]
Che significa però "ridurre drasticamente"? Siamo certi che EVC si è attivata per la "minimizzazione del rischio" di cancro ed accettiamo pure per buona (salvo prova contraria) l'affermazione sull'innalzamento dei margini di sicurezza nell'esposizione al CVM, che oggi - così si dichiara nell'articolo - sono di ben dieci o venti volte superiori ai limiti di legge (in seguito vedremo che, accettando i valori comunicati dalla stessa azienda, i margini di sicurezza si sarebbero alzati di "ben" 11.111 volte). [5]
Ma che tipo di conoscenza si può ricavare dall'affermazione che siamo passati, ad esempio, da 1 parte per milione di CVM a 0,1, oppure 0,05 ppm (valori riportati dall'intervista suddetta)?
Questa, si può definire informazione? E qual è il confine fra informazione e mistificazione (ricordiamo che anche una informazione formalisticamente corretta può essere mistificante)?
Proviamo a fare un esempio di informazione corretta:
"La legge ci impone di non superare, all'interno dei nostri reparti di produzione, la concentrazione media di 3 ppm di cloruro di vinile, nell'arco dell'anno. Nei nostri reparti non viene superata tale concentrazione. Noi rispettiamo la legge".
Ed ora, un esempio di informazione mistificante:
"La legge ci impone di non superare, all'interno dei nostri reparti di produzione, la concentrazione media di 3 ppm di cloruro di vinile, nell'arco dell'anno. Nei nostri reparti non viene superata tale concentrazione. Noi rispettiamo la legge. I lavoratori in quei reparti possono stare tranquilli".
Dove sta la mistificazione? L'informazione mistificante consiste nella riproduzione in tutte le salse di un criterio di misura (ppm) che, rapportato ai limiti di legge, risulta molto più basso e quindi ingenera indebita sicurezza. Ma quel dato, di per sé, non rappresenta affatto una garanzia assoluta nei confronti del cancro che può colpire i lavoratori. Lo stesso criterio è utilizzato indifferentemente, senza le necessarie specificazioni, per affrontare i problemi posti sia dalla generica prevenzione ambientale, sia dalla biochimica o dall'epidemiologia. Ad esempio, il possibile rapporto fra molecole organoclorurate e recettori proteici, concausa del possibilissimo avvio di un processo cancerogeno, non dipende dalle "parti per milione", cioè una diffusione misurabile sempre in quanto media, ma dalla quantità di molecole presenti in prossimità delle cellule interessate, e soprattutto anche in relazione al tempo di esposizione.
Estremizzando: poiché un metro cubo è la milionesima parte di un ettaro cubico, se immaginiamo questo ettaro libero da tossine per 999.999 metri cubi, è ovvio che dovrà esservi da qualche parte la concentrazione di un metro cubo di CVM puro [6]; inoltre, ed è la cosa più importante, anche in presenza di elementi tossici in diffusione media di una ppm, le loro molecole rimangono tali, non si possono diluire. Noi possiamo diluire del colore rosso in uno bianco passando attraverso tutte le gradazioni del rosa fino a non distinguere altro che il bianco una volta giunti ad una ppm, ma in un litro di colore bianco vi sarà sempre un millimetro cubo di molecole di pigmento rosso. Rosso, non rosa.
Eppure il criterio generalissimo, e di per sé corretto, della concentrazione media (ppm) è utilizzato nel nostro caso per rispondere a problemi molto specifici posti dalle più diverse istituzioni dello Stato, per esempio dalla magistratura con il processo Casson.
Utilizziamo, a titolo esemplificativo, un documento di EVC datato 27 febbraio 1998 e indirizzato "a tutto il personale di Porto Marghera-Ve". Ciò prima di tutto per fare in modo che la questione non lasci più dubbi, in secondo luogo per avere un argomento di partenza, offerto dalla stessa azienda, sul quale impostare una discussione con tutti coloro che volessero affrontare seriamente il problema della cancerogenicità del Cloruro di Vinile Monomero. Al capitolo L'indagine epidemiologica sui lavoratori del ciclo CVM/PVC e i suoi obbiettivi possiamo leggere (pag. 9):
"A fronte della correlazione tra esposizione al CVM in elevate concentrazioni (superiori a 500 ppm - parti in volume di CVM per ogni milione di parti di atmosfera) e possibile insorgenza di angiosarcoma al fegato nell'uomo, l'industria ha realizzato interventi radicali sui processi di produzione del CVM e del PVC per ridurre e limitare drasticamente la concentrazione di CVM negli ambienti di lavoro" [7].
Cerchiamo di capire.
La prima domanda che ci si pone è se la possibile insorgenza di angiosarcoma al fegato dell'uomo è data dalla "esposizione al CVM", oppure dalla "esposizione al CVM in elevate concentrazioni". Espresso in altri termini: è sufficiente che vi siano molecole di CVM per far partire un processo cancerogeno, oppure è indispensabile che vi sia una loro concentrazione?
Innanzitutto, è evidente che quando si verifica un'insolita frequenza di una rara forma di tumore al fegato (angiosarcoma epatico) che colpisce i lavoratori del ciclo CVM/PVC, si pone immediatamente una relazione fra angiosarcoma e CVM, anche se la relazione non può essere meccanicamente biunivoca: a) la presenza di CVM non determina automaticamente la comparsa di cancro al fegato, ma, b) una frequenza significativa di questa patologia cancerogena indica automaticamente la presenza di CVM.
Quanto CVM?
Ad una tale domanda non vi può esser risposta di tipo induttivo. E' come voler conoscere la quantità precisa di fucilate necessarie affinché un uomo bendato possa colpire un bersaglio posto a qualche centinaio di metri di distanza. L'unica risposta che potremmo dare, dopo una verifica sperimentale, sarebbe una risposta di tipo statistico: date diverse serie di fucilate, è probabile che l'uomo possa colpire il bersaglio un numero n di volte. E' statisticamente possibile che, in una fra le serie di fucilate a disposizione, egli colpisca il bersaglio al primo colpo: anzi, in quanto impossibilitato a vedere, non ci dovrebbe essere differenza fra la prima, la settima o la ennesima fucilata, dato che per lui non si porrebbe il problema di "correggere il tiro".
Quello che qui è importante sottolineare è che, aumentando il numero dei colpi a disposizione, aumenta sì la probabilità di colpire il bersaglio, ma, in ogni caso, non sarà mai la probabilità a colpire, bensì la pallottola: il fucile non spara probabilità!
Pedanteria? Vedremo meglio in seguito.
Per ora ci limitiamo a prendere atto degli elementi quantitativi che il testo in questione ci offre; essi indicano che, negli impianti di produzione, si è passati da 500 ppm (a partire da quando?) [8] alle attuali 3 ppm fissate dalle autorità sanitarie, al punto che
"possiamo ragionevolmente affermare che il problema del tumore al fegato sia legato a condizioni di esposizione verificatesi 20-30 anni fa e che il manifestarsi dei casi recenti è dovuto al periodo di incubazione molto lungo (25-30 anni) della malattia". [9]
Innanzitutto: cosa significa "possiamo ragionevolmente affermare"? Quale valore si può dare all'avverbio "ragionevolmente"?
La frase appena riportata può essere posta sul terreno dell'induttivismo empirico ed ha sicuramente meno valore della classica affermazione "tutti i cigni sono bianchi" (ma i cigni neri esistono indipendentemente dal fatto che chi fa una tale affermazione non li abbia mai visti; in altri termini, rimane ancora all'interno della statistica e del calcolo della probabilità. Come dire: se possiamo ragionevolmente affermare che il problema del tumore al fegato è legato a situazioni passate, ci sentiamo però ben lontani dalla categorica affermazione che il problema dell'angiosarcoma epatico non si porrà più in futuro, pur considerando che la concentrazione media è passata dalle 500 ppm di CVM di un tempo alle 3 ppm fissate dalle autorità sanitarie, nonché alle 0,045 ppm reali denunciate attualmente. E dunque una trentina di anni di incubazione, a partire da una ventina di anni fa, potrebbe regalare – per esplicita ammissione dello stesso documento di EVC - ancora una buona dose di sorpresine.
In proposito, vogliamo spendere alcune parole sul cosiddetto effetto lavoratore sano. All'atto dell'assunzione di un operaio, qualsiasi direzione di fabbrica, e per essa lo staff medico aziendale, si preoccupa di assumere solo quegli operai che possono vantare una sana e robusta costituzione fisica: più pesante sarà la mansione da svolgere (soprattutto se il posto di lavoro da occupare si troverà nei reparti di produzione ed il lavoro sarà a turni), più robusti e sani dovranno essere gli addetti. Ora, di fronte ad una possibile statistica sulla mortalità generale della popolazione, si dovranno tenere presenti questi fatti: se, ad esempio, i casi attesi sono pari al 10%, e se si ritrova lo stesso valore all'interno di una popolazione operaia le cui condizioni di lavoro sono particolarmente gravose e nocive, significa soltanto che ci troviamo in presenza di un settore di popolazione che riesce a sopportare, più di altri, condizioni particolarmente pesanti. Perciò l'effetto lavoratore sano, a parità di condizioni, non ci indica condizioni di lavoro particolarmente sopportabili ma proprio il contrario.
Inoltre, l'effetto lavoratore sano potrà tramutarsi, dopo non molti anni, nel suo opposto, proprio perché l'operaio con sana e robusta costituzione fisica verrà adibito a lavori logoranti. La mortalità fra la popolazione operaia di certi settori sarà dunque destinata ad avere tassi più alti rispetto alla generalità della popolazione. [10]
E' risaputo che l'incidenza della maggior parte delle forme di cancro aumenta con il passare degli anni: la probabilità che una cellula particolare possa subire una certa mutazione aumenta con l'età,
"ed il cancro insorgerebbe quando una cellula accumula parecchie mutazioni specifiche (ciascuna delle quali rappresenta un evento genetico separato). Poiché le mutazioni possono avvenire in un momento qualsiasi, la probabilità che una cellula particolare possa subire una certa mutazione aumenta in maniera direttamente proporzionale all'età". [11]
Le circa 1013 cellule, ognuna composta a sua volta di 1016 atomi, che formano il nostro corpo, con i suoi diversi organi (pelle, fegato, reni, sistema nervoso, ecc.), nascono, vivono, muoiono, e vengono immediatamente sostituite da cellule nuove, secondo
"un programma controllatissimo che determina la crescita di ogni tipo di cellula presente nel corpo, poiché anche solo poche duplicazioni in più o in meno verrebbero a produrre in breve tempo il caos assoluto. Per l'insorgenza di un tumore è sufficiente che una sola cellula perda la sensibilità a tali controlli". [12]
Una sola cellula, le cui molecole entrano in contatto con altre molecole in grado di alterarne la struttura.
"Fino al 1940 circa era largamente diffusa l'opinione che il cancro fosse una conseguenza inevitabile dell'invecchiamento, e che gli stessi processi vitali comportassero l'insorgere di cellule trasformate con una significativa frequenza [...] Comunque [ciò], non sembra essere applicabile alla maggior parte delle specie mortali di cancro: questo è stato rilevato da studi epidemiologici nei quali si è compiuta un'analisi statistica dei casi di morte dovuti a cancro, in relazione al paese ove essi si verificano, ai gruppi sociali colpiti, alle loro occupazioni e modi di vivere e su un arco di tempo variabile [...]. Sono fattori ambientali ad avere perciò grossa parte nella determinazione della probabilità che il cancro si sviluppi, piuttosto che un processo intrinseco ed inevitabile di invecchiamento". [13]
Abbiamo detto poco fa, parlando dei valori presentati da EVC, che non volevamo mettere in discussione i numeri forniti: non è interessante e non serve a dimostrare niente. D'altra parte, è la stessa chiave di lettura usata da questa azienda, più che i dati numerici presi in sé, ad evidenziare come il problema non sia assolutamente cambiato nei suoi termini qualitativi, per cui risulta assai dubbio che gli "interventi radicali" effettuati in questi ultimi venticinque anni all'interno dei reparti di produzione CVM/PVC siano stati effettivamente tali da consentire la massima tranquillità.
Proviamo a seguire i dati presentatici.
I valori esposti sono il prodotto di una serie di campionamenti dell'aria all'interno dei luoghi di lavoro, ottenuti sia con il sistema gascromatografico che con lo spettrometro di massa e poi confrontati. Il valore medio aritmetico espresso in ppm, per il periodo gennaio-dicembre 1997, è di (media gc + media ms)/2 = 0,045. Considerando che il limite di legge viene posto a 3 ppm, si vede subito che lo scarto è notevole: ossia 3/0,045 = ben 66 volte al disotto dei limiti imposti dalla legge.
D'altra parte siamo ben certi che i "limiti di legge" non sono altro che una convenzione attorno ad un limite accettabile di rischio di cancro fissato per legge e che questo limite può oscillare in relazione alla maggiore o minore tensione sociale. [14] Per questo abbiamo chiarito subito che non ci poniamo assolutamente il problema della veridicità dei valori dichiarati: partiamo dal presupposto che essi non possano, almeno in questa sede, venir messi in discussione.[15]
A questo punto, la domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: è vero che il salto da 500 a 0,045 ppm nella concentrazione di CVM rappresenta un punto di svolta qualitativo rispetto alle possibilità di avvio dei processi cancerogeni? Ed è vero che un abbassamento così drastico di una determinata quantità di sostanza nell'aria comporta in ogni caso un cambiamento qualitativo? Insomma, è vero o no che un salto del genere può farci stare "ragionevolmente tranquilli" di fronte all'azione di un agente cancerogeno?
E' sicuro ed immediatamente evidente, ad esempio, che lo scontro di un'automobile contro un ostacolo alla velocità di 200 km/h produce un effetto diverso rispetto ad uno scontro alla velocità di 18 m/h (undicimila volte di meno); però, non è tanto sicuro – anche se tutti quei decimali sembrano rendere il fatto evidente – che il passaggio da 500 a 0,045 ppm di concentrazione media di CVM nei posti di lavoro sia da considerarsi un evento in grado di far scattare qualitativamente l'azione cancerogena della sostanza chimica. Anche se, per assurdo, il Petrolchimico passasse da una produzione di 30.000 litri all'ora di CVM a undicimila volte di meno, cioè a 2,7 litri, non per questo cambierebbe la qualità del prodotto (in questo caso il cambiamento qualitativo sarebbe nella produzione, che passerebbe da un flusso torrenziale a quello di uno sgocciolìo di rubinetto mal chiuso).
In ultima analisi non è tanto sicuro che, se una concentrazione a 500 ppm di cloruro di vinile produce quasi sicuramente un angiosarcoma, le 3 ppm della stessa sostanza stabilite per legge o le 0,045 ppm dichiarate come misura effettiva, possano far dormire sonni tranquilli.
Quando si riscontrerebbe, ad esempio, il passaggio dal pericolo alla tranquillità? Vi sono fenomeni molto frequenti che, con l'accumulo continuo di certe condizioni, giungono ad una soluzione discontinua. Caricando per esempio una trave con un peso sempre maggiore, essa si piega in modo continuo, ma ad un certo punto essa si rompe in modo repentino; premendo un comune interruttore elettrico, si carica una molla in modo continuo finché essa fa scattare un contatto interrompendo la continuità del carico nel sistema; un uomo si arrabbia in un certo contesto accumulando tensione, finché esplode sparando un ceffone a chi lo fa arrabbiare. Questi sono esempi di fenomeni studiati e formalizzati secondo una ben precisa teoria che tutti ormai chiamano "delle catastrofi". [16]
Ora, ad ascoltare i sostenitori della ragionevole tranquillità, sembra che vi sia, da qualche parte, lungo la scala delle cifre presentate, il passaggio dal pericolo alla certezza dell'assenza di pericolo (il ragionamento "catastrofico" vale ovviamente anche all'inverso). Purtroppo per chi vive respirando a Porto Marghera, il fenomeno dell'attivazione tumorale da sostanze cancerogene non è tra quelli che possiamo classificare di tipo catastrofico. Non vi è una condizione-sì e una condizione-no, ma un passaggio graduale da zero in su o viceversa. Lo zero in pratica non esiste, in quanto vi sono condizioni cancerogene naturali cui quelle artificiali si aggiungono. Ogni punto della scala perciò è egualmente pericoloso: cambia solo la probabilità di essere colpiti.
Come abbiamo visto in precedenza, nel caso dell'uomo bendato e della sua probabilità di colpire un bersaglio, non è la probabilità a colpire quest'ultimo, bensì le pallottole. All'aumento della concentrazione di pallottole aumenta semplicemente la probabilità di finire ammazzati se ci si trova a passare da quelle parti. Nel caso della concentrazione più o meno grande di molecole di CVM e del loro impatto sulle cellule umane, occorre fare i conti con numeri così grandi che il verificarsi di una patologia neoplastica, essendo legato all'azione delle singole molecole della sostanza stessa, è comunque molto probabile. La differenza consiste nel fatto che le cellule modificate nella loro struttura vengono isolate dall'organismo fino a quando non si verifichi una loro generalizzata alimentazione attraverso i vasi sanguigni, e per ora nessuno sa perché questo avviene.
Quante molecole di cloruro di vinile sono necessarie per sviluppare una patologia tumorale? Ed in quali condizioni immediatamente con-causali ciò può avvenire? Le concause sono importanti quanto le cause primarie, dato che è possibile un'azione sinergica con altre sostanze tossiche, con la presenza di campi elettromagnetici ad alta frequenza, con la presenza di vibrazioni, in occasione di stress psico-fisico nei lavoratori interessati, particolarmente nei lavoratori turnisti, ecc.[17]
E' sicuramente difficile dare una risposta a domande di questo tipo e probabilmente non sarà utile darla mai, così come non serve a nulla stabilire con esattezza a quale farfalla cinese appartengano le ali il cui battito potrebbe scatenare, a partire da quel particolare momento, un uragano nel Texas.[18]
Le interazioni fra particelle microscopiche, come nel caso di molecole di CVM e molecole di cellule umane, interessano meccanismi delicatissimi che prendono l'avvio anche da una sola molecola, con reazioni misurabili in femtosecondi, cioè millesimi di miliardesimi di secondo. In esperimenti molto semplici (e quindi non in organismi complessi come il corpo umano) sappiamo che tali interazioni a livello microscopico possono dar luogo a fenomeni macroscopici. Per esempio, in una sottile pellicola di liquido riscaldata nella parte inferiore, il movimento caotico di convezione che riguarda miliardi e miliardi di particelle origina un disegno a reticolo di celle esagonali con lato di alcuni millimetri, chiamate "celle di Bénard".
La genesi delle allergie, dei tumori e persino della "malattia" in generale, non è ben conosciuta, ma è certo che vi sono fattori esterni che ad un certo punto rompono fragili equilibri che in genere l'organismo è in grado di ristabilire. In alcuni casi, però, la malattia prende il sopravvento e nessuno è in grado di dire per quale motivo preciso alcuni individui rispondano positivamente alle difese e altri no. In presenza di cancerogeni riconosciuti, per esempio, non tutti i soggetti si ammalano di tumore, ma è certo che tutti i soggetti hanno cellule modificate anche se la loro proliferazione "maligna" è bloccata.
L'approccio comune al problema dei tumori provocati dai cancerogeni è di tipo riduzionistico, cioè si basa sull'osservazione di fatti e fenomeni fotografati in un certo momento e in un particolare organo o tessuto dell'organismo isolato da tutto il contesto. Questo è il modo di funzionare della medicina in questa società, perché il problema non è quello di avere una popolazione sana, condizione che non farebbe intascare profitti a nessun apparato sanitario-farmaceutico, ma quello di curare una popolazione che si ammala. E, tra l'altro, "curare" non significa affatto "guarire". Il malato cronico è una pacchia per il business della "cura", ma occorre rattopparlo in modo sufficiente per mandarlo a lavorare.
Ecco perché in casi come il nostro ci troviamo di fronte a ricerche e conclusioni che non tendono mai ad eliminare il problema alle radici bensì a curare un determinato sintomo affinché non si fermi la produzione. E questo vale per tutto il ciclo capitalistico.
Se processi elementari come quello descritto a proposito delle celle di Bénard sono così delicati, è certo che il comportamento di tutte le particelle di un organismo non lo è meno. L'effetto patologico su di un organismo vivente può dunque essere ritenuto trascurabile quando l'approccio sia il punto di vista del mondo macroscopico: vi sono molte sostanze cancerogene che non sono direttamente tossiche, non soffocano, non avvelenano, non ustionano, ecc. Ma se, come è stato dimostrato, l'ipotetica soppressione di un elettrone ai confini dell'universo provoca effetti misurabili qui da noi, cosa ne sappiamo di come reagiscono alle impercettibili differenze ambientali le particelle atomiche che compongono le cellule viventi, il codice genetico, i delicatissimi meccanismi chimici del metabolismo?". [19]
I biologi e gli studiosi dei meccanismi del corpo umano sanno benissimo che l'approccio riduzionistico è assolutamente falso, che l'intero organismo non è una semplice somma di cellule, di tessuti, di "organi" (fegato, cervello, stomaco, ecc.), e che la sua complessità richiede un approccio "olistico", cioè che tenga conto di un insieme la cui unità è impossibile scindere come somma di parti. Tuttavia, all'interno della società capitalistica, questa conoscenza già acquisita non può avere effetti pratici nel campo medico, perché l'uomo-merce sarà sempre oggetto di "riparazione", come una cosa, un meccanismo. Il ciclo capitalistico non può perciò superare il vincolo della cura basata sul sintomo. [20] Paradossalmente, ciò che rappresenta un salto scientifico importante rispetto alle concezioni meccanicistiche del passato è inutile rispetto a quella che sarebbe una delle più importanti conquiste umane: una vita goduta in buone condizioni di salute.
E' vero che il cancro è provocato da sostanze presenti in quantità più o meno concentrata nella vita di tutti i giorni, ma è impossibile separare la stessa vita di tutti i giorni dal fenomeno cancro e ridurre il tutto in asettiche tabelle.
Nell'organismo umano la moltiplicazione cellulare è controllata perennemente da meccanismi omeostatici (equilibratori) che solo in parte sono di origine locale, cioè quelli che riguardano i processi tra le cellule in contatto, oppure gli equilibri fra diversi nucleotidi ciclici ecc.; una gran parte dei processi omeostatici ha origine nel modo di essere globale dell'organismo, a partire dalla produzione ormonale, che è un fenomeno assai poco riducibile all'approccio meccanicistico.
Se le cellule, per i fenomeni impercettibili ricordati, diventano meno sensibili ai meccanismi regolativi della crescita, ecco che la moltiplicazione cellulare può diventare caotica e dare origine ai più svariati tumori. Quando, per esempio, una radiazione o un cancerogeno qualsiasi colpiscono una cellula, le basi del DNA subiscono alterazioni chimiche in grado di allarmare i meccanismi omeostatici dell'organismo, i quali attivano processi di tipo enzimatico capaci di riparare il danno e di garantire l'integrità del patrimonio genetico e quindi anche il fenotipo cellulare, cioè l'insieme dei caratteri specifici che distinguono la cellula di un particolare organo o tessuto. Ma quando si varcano certi limiti i meccanismi ricordati non sono più in grado di riparare il danno e ristabilire un equilibrio, per cui si verifica una sequenza "maligna" fino all'insorgenza del tumore diagnosticabile.
Chi dicesse di conoscere quali sono questi limiti, tenendo presente la complessità delle interazioni possibili, ingannerebbe il prossimo.
Non si spaventi il lettore, non gli chiederemo di studiare biochimica e biologia molecolare. Dobbiamo semplicemente non farci prendere per i fondelli; dobbiamo cercare di capire il più a fondo possibile, senza dare nulla per scontato, quanto ci viene detto da questo o da quell'"esperto". Il problema da affrontare è indubbiamente grosso, ma è indispensabile avvalersi del punto di vista della biologia molecolare se si vuole capire il meccanismo che permette a singole molecole di CVM (non miliardi!) di legarsi a determinati singoli recettori presenti in precisi amminoacidi utili alla formazione di proteine specifiche, aventi ognuna una funzione ben particolare… e così via.
Come si vede, anche se è vero che aumentando la quantità di una sostanza cancerogena nell'ambiente aumenta la probabilità di prendersi il cancro, non è però corretto affermare che i tumori sono provocati da una determinata concentrazione (o diluizione) di quella sostanza nell'ambiente, misurabile in ppm. A provocare l'alterazione di una cellula umana, che in questo modo diventa cancerosa e in grado di riprodursi, sono dunque singole molecole, interagenti con altre molecole e in presenza di determinate condizioni favorevoli, ma l'azione cancerogena complessiva dipende dall'intera vita che conduce l'organismo che si ammala.
Abbiamo detto che non vogliamo mettere in discussione i dati che vengono forniti da più parti e anzi utilizziamo, tra le stesse versioni aziendali, quelle meno pessimistiche, come si vede confrontando con la tabella riprodotta in appendice. Cerchiamo infatti un approccio diverso dal solito proprio perché rifiutiamo di banalizzare il problema con affermazioni del tipo:
"una molecola di qualsivoglia sostanza non fa nulla, due fanno più di una, cento fanno più di due, diecimila, un milione, cento miliardi fanno ancora di più, e gli effetti, anche gli effetti oncogeni, gli effetti neoplastici, sono proporzionali alle dosi". [21]
Prima di parlare di quantità di pallottole-molecole di CVM necessarie a dar origine ad un effetto oncogeno, è necessario conoscere il meccanismo di interazione fra questo specifico agente cancerogeno (il discorso vale per qualsiasi sostanza di questo tipo, ovviamente) ed i recettori di tali agenti presenti nelle proteine interne ad ogni singola cellula. Senza scendere in particolari che il lettore potrà trovare nei testi da noi segnalati e facilmente reperibili, possiamo accennare al fatto che il cloruro di vinile può venire trasformato ad opera dei microrganismi epatici in ossido di cloroetilene, un epossido particolarmente reattivo; esso, reagendo con il DNA può provocare diversi tipi di alterazioni genetiche, dalle mutazioni puntiformi alle più svariate aberrazioni cromosomiche.
In quest'ottica la chiave di lettura necessariamente cambia, perciò l'unità di misura generalmente utilizzata fino a questo momento ha un valore del tutto relativo.
Parlare di una, dieci, cento o mille ppm, oppure parlare di un decimo, centesimo, millesimo di ppm risultanti da misure-campione, non ha molto significato dal punto di vista della genesi del tumore e ingenera solamente confusione. Non è solo una questione di unità di misura: è ovvio che vi è un'equivalenza tra ppm (per esempio centimetri cubi al metro cubo) e numero assoluto di molecole presenti nella stessa unità, come vedremo. Ma mentre un insegnante di fisica potrebbe illustrare alcuni aspetti della propria materia passando dai parsec (= 3,26 anni luce), ai chilometri, al fine di abituare i propri allievi ai diversi metri di misura, un oste si farebbe subito capire se adottasse unità facilmente riconoscibili da tutti per vendere il suo vino, per esempio il litro invece di - poniamo - frazioni di barrel (36 galloni).
Ci rendiamo allora conto, da quanto appena detto, che per rispondere alla domanda "quanto CVM occorre per provocare un tumore" è del tutto inappropriato l'utilizzo di termini che evocano quantità concentrate o diluite quando teoricamente ne basta una molecola.
Se dunque nella pratica è difficile e non serve a nulla stabilire il numero "utile" (una, mille o cento miliardi?) di molecole di CVM per far partire un processo cancerogeno che l'organismo non riesca a bloccare, possiamo però stabilire quante molecole sono presenti in 500 ppm, in 3 ppm oppure in 0,045 ppm: questo ci servirà per avere un'idea degli ordini di grandezza rispetto al problema che qui ci interessa affrontare.
La teoria chimica ci informa che una molecola di CVM pesa 62,498 u.m.a. (unità di massa atomica) e che, in condizioni normali di pressione e temperatura, 62,498 grammi - pari a 6,02217 x 1023 molecole di cloruro di vinile (numero di Avogadro N) - occupano un volume di 22,4 litri (volume molare, pari a 22.400 cm3). Con una semplice proporzione possiamo stabilire che N/volume molare = xN/1ppm, ossia 6,02217 x 1023/22.400 = 2,688 x 1019 molecole di CVM contenute in un cm3 di CVM che, rapportato al metro cubo, è appunto una parte per milione (ppm).
Delle semplici moltiplicazioni ci permettono, a questo punto, di visualizzare in forma numerica le molecole contenute in 500, 3 oppure 0,045 ppm:
2,688 x 1019x 500 = 13.440.000.000.000.000.000.000 molecole
2,688 x 1019x 3 = 80.640.000.000.000.000.000 molecole
2,688 x 1019x 0,045 = 1.209.000.000.000.000.000 molecole
La prima cosa che balza agli occhi è che, pur non essendovi nessuna differenza fra i valori espressi in ppm e in numero di molecole, una reazione istintiva induce a pensare che 0,045 in confronto a 500 è ben poco, mentre nei grandi numeri (che appositamente abbiamo scritto per esteso) sembra non esserci molta differenza. Le apparenze ingannano, essendo i due modi di misurare del tutto identici, ma, dovendo illustrare il concetto che è una singola molecola di CVM a provocare il cancro quando entra in contatto con il recettore proteico di una singola cellula umana, ecco che utilizzando i numeri diventa immediatamente visibile una realtà poco evidenziata quando si faccia ricorso ai dati della concentrazione in ppm.
Ragionando in termini numerici e non in termini di concentrazione/diluizione, si osserva sì la stessa grande diminuzione ottenuta nel tempo, ma anche il più distratto degli osservatori nota immediatamente che vi è il passaggio da un numero enorme di molecole di CVM ad un numero che rimane ugualmente enorme. Nell'osservatore non si assopisce la tensione e il campanello d'allarme che suonava prima suona anche al risultato finale; ecco allora che il problema non viene più accantonato come superato e, su quel valore diversamente espresso, può concentrarsi una diversa attenzione e possono scaturire nuove interessanti domande. [22]
Il diverso modo di leggere la quantità presente di CVM negli impianti di produzione ci dice, dunque, che la concentrazione media è data da 0,045 ppm, pari a circa 1,2 x 1018 molecole di questa sostanza cancerogena per ogni metro cubo d'aria che respiriamo: circa un miliardo di miliardi… miliardo più, miliardo meno!
Ora, per quanto riguarda i processi appena descritti, si sa che le interazioni chimiche tra ed entro le cellule dell'organismo avvengono durante le collisioni fra le molecole che le compongono, e fra queste e le molecole provenienti dall'ambiente. La frequenza di queste collisioni è ovviamente proporzionale al numero delle molecole stesse. La strutturazione delle cellule, e quindi degli organi composti di cellule, avviene attraverso queste interazioni, e nessun processo di formazione (morfogenesi) macroscopica, dovuto ad interazioni chimiche, è possibile senza che vi siano degli stadi in cui il prodotto della reazione in corso non modifichi l'andamento della reazione stessa. La genesi dei tumori segue pedestremente questa regola e la presenza continua di una quantità qualsiasi di molecole cancerogene rinforza questo effetto di feedback.
Potremmo dire che ogni stadio nello sviluppo dei processi biologici, all'interno di una cellula, è dato dallo "scontro", dalla interazione, fra l'ordine lineare impartito dal codice genetico per la produzione di una determinata proteina - in quella quantità precisa, ed avente quella esclusiva funzione - con il cambiamento della situazione ambientale, dovuto alla possibile presenza di un agente tossico o cancerogeno. Questo "scontro" produce una situazione "non-lineare" all'interno della materia vivente che può essere di per sé gravida di conseguenze, perché l'introduzione di variabili anche impercettibili nell'equilibrio organico può, con il tempo, produrre effetti macroscopici.
Ci siamo chiesti in precedenza se sono tante, o sufficienti, 1,2 x 1018 molecole di cloruro di vinile, per far partire un processo neoplastico, oppure sono poche. Come abbiamo visto si tratta di una domanda che ci poniamo in modo esclusivamente retorico, perché presupporrebbe la possibilità di determinare il numero minimo, ovvero il livello di soglia, al disotto del quale si può "rimanere tranquilli". Però abbiamo anche visto che un tale livello di soglia non esiste per il semplice motivo che... non può esistere.
Pretendere di quantificare un livello di soglia (non solo per il cloruro di vinile ovviamente, ma anche per qualsiasi altro cancerogeno) è la stessa cosa che pretendere di porre meccanicamente la relazione CVM-angiosarcoma. Abbiamo negato questa relazione automatica già in precedenza, osservando che lo sviluppo epidemico dell'angiosarcoma epatico presuppone sempre la presenza di CVM, mentre la presenza di CVM non presuppone sempre la meccanica comparsa di un tumore.
Come si vede, nell'ottica corrente saremmo costretti a spezzare una lancia in difesa delle aziende chimiche. Se infatti il cloruro di vinile provocasse automaticamente un angiosarcoma, dovremmo affermare che tutti i lavoratori i quali, nel corso di questo secolo, sono venuti a contatto con il CVM in concentrazioni superiori a una determinata soglia, sono morti o dovranno morire in un prossimo futuro a causa di un cancro al fegato, oppure per qualche altra forma tumorale. Così non è, per fortuna, anche se non si può escludere l'esistenza di un processo cancerogeno in atto negli organi di qualche lavoratore che muoia per una qualsiasi altra causa. Allo stesso modo, come abbiamo visto, le sostanze cancerogene possono interagire con altre sostanze chimiche e varie condizioni ambientali e soggettive, sviluppando degli effetti sinergici o, al contrario, antagonisti.
In ultima analisi, come non esiste un qualsiasi livello di soglia al di sopra del quale si possa parlare con matematica sicurezza di un'insorgenza cancerogena, allo stesso modo non ha alcun senso parlare di un livello di soglia al di sotto del quale si possa stare ragionevolmente tranquilli. [23] Se è vero che la frequenza delle interazioni chimiche nell'organismo è proporzionale al numero di molecole presenti, nessuno può più
"ragionevolmente dubitare che gli esseri umani possano soffrire e morire come tutti gli altri organismi per una sottile alterazione della composizione di una singola molecola, prima al livello del DNA e poi a quello della proteina codificata". [24]
Un processo cancerogeno, secondo la teoria della cancerogenesi in due stadi di Berenblum, comincia con la fase della iniziazione e si conclude con la sua promozione. L'iniziazione può avvenire in un "attimo" – come un attimo è necessario per premere il pulsante che darà corrente ad un circuito elettrico - ed è data dal danno genetico causato dal legame della molecola genotossica con il DNA presente nel nucleo della cellula: in questo momento viene conferito alla cellula il "vantaggio" (che potrà rimanere per molti anni latente) di duplicarsi in maniera veloce, al di fuori di ogni controllo della crescita e di ogni controllo immunologico. Alla fine del periodo "silente", che per il CVM può essere di 25-30 anni, scatta la fase di promozione, di sviluppo accelerato del cancro. Questa fase può prendere avvio sia da una qualunque situazione di natura irritativo-infiammatoria che da concause molto comuni nell'ambiente in cui viviamo tutti i giorni. Leggiamo in un altro testo a conferma e rafforzo del primo:
"Se un cancerogeno che sia prevalentemente un 'iniziatore' agisce molto a lungo, in modo che la dose assorbita sia elevata, le cellule trasformate diverranno così numerose da rendere molto probabile che almeno una parte di esse sopravviva e si moltiplichi. Se invece la dose assorbita è piccola, il numero delle cellule trasformate sarà scarso e sarà di conseguenza piccola la probabilità di affermazione del tumore, a meno che non intervenga uno stimolo co-cancerogeno potente capace di attivare il ciclo replicativo di tali cellule. Le poche cellule trasformate possono rimanere per un tempo relativamente lungo in G0,[crescita zero], pertanto, sotto uno stimolo 'promovente', il tumore può fare la sua comparsa in un tessuto apparentemente normale" (sottolineatura nostra). [24]
Proviamo ora a fare qualche esempio che permetta di comprendere quanto sia debole basare un'azione preventiva (qualora si volesse veramente percorrere questa strada) su un terreno concettuale e pratico basato sul livello di soglia.
Si considerino i seguenti esempi [26], presi fra migliaia che ad egual titolo si potrebbero fare: 1) l'insetticida DDT produce la sua azione neurotossica interferendo con le funzioni dei canali presenti sulla membrana cellulare ed alterando perciò l'interscambio con l'ambiente circostante, in particolare bloccando il trasporto delle molecole di sodio verso la zona circostante il nucleo; 2) i solventi organici producono effetti depressori sul sistema nervoso centrale alterando la fluidità della membrana, vale a dire il buon funzionamento dei canali atti al trasporto delle molecole esterne; 3) cianuro, acido solfidrico ed altri composti chimici interagiscono con i normali processi di ossidazione dei carboidrati che portano alla formazione dell'adenosinatrifosfato, composto in grado di produrre e immagazzinare l'energia chimica per poi cederla per le diverse funzioni cellulari; 4) il legame dell'acido cianidrico con l'atomo di ferro trivalente del citocromo ossidasi (a + a3), provoca il rapido e spesso fatale effetto tossico di questa sostanza; 5) l'ossido di carbonio si lega con alta affinità alla forma ridotta del ferro dell'emoglobina, causando una diminuzione dell'apporto di ossigeno ai tessuti; 6) alcuni idrocarburi alogenati (es. esaclorobenzene) provocano delle porfirie a causa dell'inibizione di enzimi specifici per la biosintesi dell'eme.
Gli esempi potrebbero continuare, ma questi ci sembrano sufficienti per mostrare come vi sia sempre una interazione ligando-recettore fra ogni singola molecola di un qualsiasi agente tossico o cancerogeno e le molecole degli elementi della struttura biologica interna alle cellule dell'organismo, indipendentemente dalla quantità dell'agente esogeno.
"Alcuni dei processi discussi in precedenza possono alterare specifiche risposte fisiologiche senza determinare la morte delle cellule mentre altri, che invece provocano la morte cellulare, determinano una vera e propria perdita di funzionalità di specifici organi e tessuti. Quest'ultima situazione è particolarmente evidente quando l'esposizione avviene su base cronica e può essere causata dall'accumulo del danno tissutale determinato da episodi citotossici ripetuti". [27]
Dovrebbe risultare un po' più chiaro, a questo punto, per quale motivo insistiamo nel sottolineare la presenza di un gran numero di molecole di una sostanza genotossica, piuttosto che riferirci allo stesso dato espresso in parti per milione. Il problema si presenta fin dall'inizio nel rapporto ligando-recettore, mostrando come sia improprio parlare semplicemente di "probabilità" che determinate molecole si leghino ai siti attivi di una qualsiasi proteina, e anche come non sia corretto ritenere che i "livelli di soglia", stabiliti anche con i criteri più rigorosi, possano effettivamente delimitare il campo su cui si fondano le basi nucleotiche determinanti la forma e la relativa funzione di una proteina [28]. La probabilità non consiste nel rapporto ligando-recettore, che è certo, bensì nel prendersi o non prendersi il cancro.
Ma c'è di più, e occorre sottolinearlo di fronte a coloro che sbandierano il passaggio ad una situazione di inquinamento al di sotto della soglia legale. Per esercitare la sua azione, una molecola di sostanza cancerogena deve legarsi ad una cellula-bersaglio, ma una volta provocata la modificazione stabile nella struttura di quest'ultima, tutte le successive generazioni cellulari che ne derivano possiedono le stesse caratteristiche anche quando non vi sia più traccia della sostanza cancerogena che ha dato luogo alla trasformazione iniziale. Tra l'altro, proprio attraverso questo fenomeno la ricerca ha potuto stabilire che la maggior parte delle sostanze cancerogene industriali non rappresentano soltanto l'innesco tossico della malattia, ma hanno una vera e propria azione mutagena diretta.
Ogni singola molecola genotossica può legarsi ai relativi recettori biologici, ed ogni singola volta - non dopo 2,688 x 1019 volte - tale molecola verrà attaccata dagli oncosoppressori presenti nel nostro sistema immunitario, in un contesto che non è solo quello del rapporto molecola-cellula ma l'intera vita di un uomo; e ogni singolo attacco dovrà essere vincente… autrementnous sommes foutus.
Note
[3] Interessante a tal proposito il volumetto di Aldo Fabris, L'organizzazione aziendale, edito nel 1982 dalla ETAS Libri, nella collana della "Biblioteca dei quadri aziendali". Da tenere presente anche il fatto che la sicurezza incide direttamente come passivo sui bilanci aziendali, mentre il costo degli "effetti collaterali" viene ripartito sull'intera società. Vedere anche il testo Morte differenziale, in appendice.
[4] Ma un obiettivo del genere, come si riconosce in un testo di medicina al capitolo sui tumori provocati da agenti artificiali, "richiederebbe ristrutturazioni industriali e quindi economiche e politiche di tale portata da non essere accettate da una società che si propone come modello di vita il mito, probabilmente ormai irreversibile, dell'incessante sviluppo economico" (Enrico Ciaranfi e altri, Automatismi biologici e malattia, EST Mondadori, pag. 220).
[5] Vorremmo ricordare brevemente che prima che si attivasse l'EVC – e prima ancora l'Enichem e la Montedison – sono stati i lavoratori degli impianti in questione ad "attivarsi", a partire da circa la metà degli anni '70 (salvo inerzie e resistenze individuali); l'hanno fatto incominciando semplicemente a rifiutarsi di scaricare "residui" di Cloruro di Vinile nell'atmosfera, per accelerare i tempi di degasaggio di una pompa, di una linea, ecc. ("per aumentare la produttività", si direbbe oggi). E' a partire da quegli anni che la quantità di CVM scaricato nell'aria all'interno nei reparti di produzione ha incominciato ad abbassarsi.
[6] E' ciò che, a parte la nostra estremizzazione, riconosce anche EVC in un suo documento ufficiale, quando afferma: "La strumentazione d'analisi misura i livelli per area di stabilimento e non necessariamente riflette i livelli di esposizione cui sono sottoposti individualmente gli addetti e gli appaltatori che lavorano in uno stabilimento. E' possibile che attività operative e di manutenzione da parte di singoli addetti risultino in qualche modo ad un più alto livello di esposizione di quello indicato in un'area-base. Per questa ragione, EVC ha continuato il monitoraggio personale all'interno dei suoi stabilimenti per avere un quadro dell'esposizione rispetto all'attuale lavoro in essi". Infatti i dati del rilevamento medio personale riportati nel documento indicano un valore 16 volte superiore a quelli di area (vedere in appendice la tabella riportata dall'originale).
[7] Rifiutandosi di scaricare il CVM, anche solo in minima parte, all'interno dei reparti di produzione, i lavoratori hanno incominciato a pretendere che tutto fosse scaricato alle fiaccole per essere bruciato, ma, essendo spenta la fiamma-pilota (per evitare diossine o per evitare "allarmi" dati dalla eventuale scia di fumo nero?), tutto veniva come prima scaricato… sempre nell'atmosfera, sia pure a un'altezza di oltre cento metri. Fino al 1993 – anno della messa in marcia del termocombustore al CV22 – questo è stato il maggiore degli "interventi radicali" a favore della salute dei lavoratori.
[8] Vedere in appendice i dati forniti da EVC in un documento ufficiale sulla sicurezza. 500 ppm equivalgono a mezzo litro di CVM per metro cubo d'aria, una concentrazione altissima. Nell'articolo "Chiarezza sulla storia del CVM", di Fausto Vigevani, su Venetolavoro n. 51 del 1997, si afferma che tale concentrazione risale almeno al 1973-74.
[9] Sfogliando le pagine relative al convegno organizzato dalla FULC-Venezia su La chimica tra ambiente ricerca e sviluppo, ricaviamo da un grafico che la quantità di CVM nell'ambiente del reparto CV24 era nel 1979 (dunque, quando si può "ragionevolmente affermare" che vi erano le condizioni di esposizione per innescare l'eventuale sviluppo di un tumore al fegato) pari a circa 0,4 ppm. Sorge dunque una legittima perplessità: o i dati che il sindacato offre in pasto alla pubblica opinione sono palesemente falsi, oppure la ragionevole tranquillità offerta agli operai (non a una generica popolazione) è quella che si offre al maiale per poterlo scannare senza che strilli troppo. Chissà dove è andata a pescare certi valori la FULC! Per altri dati, probabilmente più affidabili, cfr. il lavoro di G. Sansoni della ISPEL di Pescara: Rischio chimico, tossicologia e tumori vascolari. Nel testo, che si ferma al 1985, non sono indicati valori inferiori alle 5 ppm.
[10] Questo vale per gli operai in generale e non solo per gli addetti alle lavorazioni nocive. E' risaputo che la "speranza di vita" riportata nelle tabelle delle assicurazioni, è più bassa per gli operai che per qualsiasi altra categoria sociale.
[11] J. Watson, Biologia molecolare dell'igiene, Zanichelli, pagg. 1165-1169.
[12] Ibid.
[13] Ibid. E' curioso notare come autori di buona preparazione tecnica e di apparente buona capacità di andare oltre la superficie dei fenomeni, si fermino, il più delle volte - parlando di fattori ambientali o di stile di vita - a citare i classici stereotipi: il fumo di sigaretta, l'alcool, il virus dell'epatite B, i raggi ultravioletti presenti nella luce solare. Sarebbe interessante, anche a solo titolo d'esempio, soprattutto per i lavoratori direttamente interessati del CV 22/23 del Petrolchimico, conoscere la possibile azione sinergica data dalla presenza contemporanea di cloruro di vinile monomero, di dicloroetano, di varie componenti delle code clorurate leggere e pesanti (tetracloruro di carbonio, tricloroetano, tetracloroetano ecc.), di dicloroetano, di metanolo, di reattivo Karl Fischer (soluzione di iodio, piridina anidra in alcool metilico anidro, contenente anche anidride solforosa), qualche sigaretta, qualche bicchiere di vino e, a dir la verità, pochi raggi ultravioletti solari, il tutto "godibile" in una vita scandita dal ciclo di lavoro a turni che spezza il ritmo naturale dell'esistenza.
[14] E' da ricordare a tal proposito l'esempio dei limiti di atrazina presente nell'acqua potabile, problema affrontato dall'allora ministro Donat Cattin in modo geniale: L'atrazina supera i limiti di legge? Semplice, si alzino i limiti di legge! In fondo, come molte leggi, anche quella sulla concentrazione media di CVM all'interno dei posti di lavoro presenta l'elasticità classica di ogni "media del pollo". La legge appositamente stilata per il CVM afferma che il Valore Limite Tecnico di Lunga Durata (VLTLD) permette una concentrazione media annua pari a 3 ppm di Cloruro di Vinile, con un determinato numero di "superamenti ammessi": 3 superamenti della durata di una settimana a 6 ppm, 55 superamenti di 8 ore a 7 ppm, 438 superamenti di un'ora a 7,6 ppm e, infine, 1.314 superamenti di 20 minuti a 7,9 ppm (Decreto del Presidente della Repubblica, 10 settembre 1982 n. 962, Attuazione della direttiva CEE n. 78/610 relativa alla protezione sanitaria dei lavoratori esposti al Cloruro di Vinile Monomero, Gazzetta Ufficiale del 6 gennaio 1983, n. 5.
[15] Rischiano di diventare fuorvianti – pur se fatti in buona fede – discorsi come quello di Paolo Rabitti, il quale, nello sforzo di mettere in discussione i dati presentati dalle aziende chimiche, va a collocarsi sul loro stesso mistificante terreno (Cronache dalla Chimica - Marghera e le altre, prefazione di Felice Casson, CUEN, Napoli, 1998, pag. 94). Rabitti dovrebbe rispondere invece alla seguente domanda: ammettendo, per un momento, che il dato presentato da EVC per i propri impianti (0,045 ppm) fosse veritiero "concretamente" e non solo "teoricamente", cosa cambierebbe dal punto di vista non dei limiti di legge, ma dal punto di vista della biochimica, della biologia molecolare e, cosa ancora più importante, dal punto di vista della pelle dei lavoratori interessati? Se la sente Rabitti di provare ai lavoratori che la concentrazione di legge o anche quella minima non è dannosa? E questo mentre la stessa EVC parla del problema in termini molto prudenti? Il problema si affronta in ben altra maniera!
[16] La teoria fu esposta dal matematico René Thom all'inizio degli anni '70 in Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi. Vi sono testi divulgativi, tra i quali segnaliamo il chiaro Teoria delle catastrofi, di A. Woodcock e M. Davis, Garzanti. Utile in quest'ultimo caso l'agile volumetto sui cicli circadiani di Ferraris e Oliviero: I ritmi della vita, Editori Riuniti.
[17] Utile in quest'ultimo caso l'agile volumetto sui cicli circadiani di Ferraris e Oliviero: I ritmi della vita, Editori Riuniti.
[18] Cfr. Caos di James Gleick, al capitolo "L'effetto farfalla", Rizzoli.
[19] Cfr. I problemi della fisica, di A. J. Legget, Einaudi, al capitolo "Fisica su scala umana", pag. 139. Gli stessi temi sono ripresi in Scienza e rivoluzione, Volume primo, Quaderni Internazionalisti, cap. 10.
[20] In parole povere, ciò significa far passare un mal di testa prendendo una pillola invece di eliminare le cause che lo provocano. L'intera economia capitalistica funziona così: un continuo rattoppo ai guai provocati da un andamento casuale.
[21] Da un intervento di Marco Maroni, tratto da "Il PVC nella società moderna", Atti del Convegno nazionale, 14 Ottobre 1997, p. 74.
[22] Una cosa è sicura: la "minimizzazione" operata con l'ostentato sbandieramento di quello zero virgola zero quarantacinque permette di non allargare troppo un discorso che vedrebbe immediatamente coinvolte quelle istituzioni dello Stato alle quali troppo spesso ci si rivolge per salvaguardare la salute dei lavoratori e delle generiche "popolazioni" abitanti l'intorno delle aziende chimiche. Quelle stesse istituzioni dello Stato che, Codice Penale alla mano, dovrebbero essere condannate per "concorso morale" (quando si sostiene un clima psicologico, sociale, che favorisce un determinato "atto delittuoso"), se non addirittura per "istigazione a delinquere" (quando, pubblicamente, si istiga a commettere reato: nel nostro caso, quando si invita a correre dei rischi che qualche lavoratore possa morire di cancro). Il grafico posto in appendice illustra con un solo colpo d'occhio quanto il numero di molecole di CVM rimanga alto e, in relazione ai meccanismi di cancerogenesi, non permetta affatto di rimanere "ragionevolmente tranquilli".
[23] Molto spesso si è rivendicato nel passato e si sente rivendicare a volte pure oggi, per sostanze tossiche e cancerogene, la massima concentrazione ammissibile uguale a zero (MAC = 0). Questa indicazione è nella più bonaria delle ipotesi una puerilità, tanto è vero che ben presto il tiro è stato corretto, e si è cominciato a parlare di MAC = tendente a zero, con relativo "gioco dei bussolotti" attorno a quel "tendente". E' evidente che di fronte ad una sostanza cancerogena, è forcaiolo chiede tanto il MAC = 0, quanto il MAC = tendente a 0. Le sostanze cancerogene non vanno prodotte e non ci si può accontentare di alcuna "tendenza" verso lo zero del campo di cancerogenicità. Fabrizio Fabbri di Greenpeace afferma (vedi il già citato "Il PVC nella società moderna", pag.85): "arrivare all'abbattimento del 90% [degli scarichi inquinanti] è facilissimo; arrivare all'abbattimento del 95% è un pochino più difficile; arrivare allo zero è impossibile". Sacrosanta verità, ma questo vale solamente per il CVM e per tutti i prodotti clorurati, oppure il concetto è estensibile ben al di là della sola catena del cloro, con tutti i relativi problemi politici? Per il CVM, dunque, come per qualsiasi altra sostanza o "situazione di rischio", non ha senso limitarsi alla discussione del singolo problema (o di una somma qualsiasi di singoli problemi), mentre ha grandissima importanza comprendere la situazione sociale e politica che lo pone.
[24] Edoardo Boncinelli, I nostri geni, Einaudi, pag. 48. In questo caso, l'autore si riferisce all'anemia falciforme. In ogni modo, "il valore storico della comprensione della natura molecolare di questo difetto ereditario" (sottolineatura nostra), permette di estendere l'esempio a qualsiasi altra patologia. Del resto, piccolissime modificazioni delle condizioni iniziali possono portare ad un capovolgimento delle condizioni finali di un determinato sistema. Valido anche per la fisica classica, questo principio si rivela assolutamente fondamentale in biologia. Cfr. anche Margherita Fronte, Campi elettromagnetici, Avverbi Edizioni, pag. 120.
[25] E. Ciaranfi e altri, Automatismi biologici e malattia, EST Mondadori, pag. 222.
[26] Gli esempi riportati sono tratti da AAVV, Tossicologia, i fondamenti dell'azione delle sostanze tossiche, pag. 30, EMSI, 1993.
[27] Ibid.
[28] Vedi schema in appendice, tratto da Genetica, Atlante Universale Giunti.