NON TRATTEREMO DEI MASSIMI SISTEMI E NEPPURE DEI GRANDI PROBLEMI DELL'ECOLOGIA, MA DI UN CASO SPECIFICO CHE SI PRESTA AD AMPIE GENERALIZZAZIONI SULLA SOCIETA' CAPITALISTICA E SULLA NECESSITA' DEL SUO SUPERAMENTO
Se in apertura del nostro opuscolo riportiamo un'affermazione di Fritjof Capra [1], è perché consideriamo positivo che dei borghesi – pur se tendenti ad un ecologismo ibrido, impastato nello stesso tempo di scienza e spiritualità - riescano a rendersi conto che il marxismo è tutt'altro che morto. Più ancora, riteniamo positiva la rivendicazione dell'"assunzione di un sistema di valori" come inevitabile per la scelta e la lettura di qualsiasi informazione.
Non sono i dati che possono mancare. Oggi è possibile accedere a molte banche-dati e, quindi, ad una montagna di informazioni dei più svariati tipi, semplicemente navigando all'interno della Rete tramite il computer di casa.
Ma le informazioni brute, i dati grezzi, possono essere considerati come i numeri naturali: chiunque è in grado di enumerarli nella loro successione infinita (unico limite sarà il tempo a disposizione), ma la complessità delle relazioni fra di essi non sarà mai compresa se non si è in possesso di una solida teoria dei numeri (o "sistema di valori", per usare l'espressione di Capra).
Alla stessa stregua dei numeri naturali, qualsiasi fatto, qualsiasi situazione, qualsiasi avvenimento può essere facilmente associato, da chiunque, a non importa quale altro occasionale fenomeno; ciò sarà possibile facendo ricorso all'evidenza palese, al classico buon senso, se non addirittura… ai proverbi del nonno. Ma al buon senso non si può certo fare appello quando si vogliano indagare scientificamente i nessi nascosti, le leggi che governano il movimento ed i rapporti causali esistenti fra i più disparati elementi presenti all'interno di una società. A maggior ragione, se il quadro all'interno del quale si svolge un determinato avvenimento abbraccia un'area ed un tempo che inevitabilmente sfuggono alla nostra individuale ed immediata percezione (es., il mondo intero con la sua storia anche soltanto di un paio di generazioni), il buon senso si rivelerà come una palla al piede e ci impedirà perfino di comprendere le cose più semplici e più ovvie.
Il "sistema di valori", una chiave di lettura teorica della realtà, dunque, non solo è indispensabile per comprendere i "grandi problemi dell'universo", ma anche i più semplici problemi epidemiologici, come quello che qui affrontiamo. Non basta che la teoria relativa a qualsiasi tipo di problema sia chiara nelle nostre teste; essa deve essere sempre esplicitata nitidamente, se non si vuole che un possibile dialogo per lo scambio delle informazioni, dei dati, risulti ben presto un dialogo fra sordi. Non succede e non succederà mai che l'incomprensione su di un determinato tema sia generata dal fatto che i "dialoganti" partono uno da una "posizione teorica", e l'altro da una "posizione pratica". Questa è una falsa contrapposizione: se i fenomeni che si vogliono descrivere sono gli stessi, se il terreno che si vuole attraversare è comune, allora dovrà inevitabilmente essere comune pure il linguaggio. Quando non vi è possibilità di usare un comune linguaggio, è perché il trasmittente ed il ricevente si trovano collocati su lunghezze d'onda differenti: partono cioè da asserzioni differenti, usano chiavi di lettura differenti.
Può succedere allora che ci si sforzi di lanciarsi messaggi, per amore di "unità", per non demordere di fronte alla possibilità di risolvere un problema la cui soluzione si considera di utilità comune. In questo caso l'unica cosa seria non è tanto continuare caparbiamente a "discutere", quanto rendere espliciti i punti di partenza del proprio discorso, nel rendere esplicito il proprio "sistema di valori", nel rendere esplicita la propria teoria. Quindi dichiariamo in maniera esplicita che il nostro "sistema di valori" (la nostra teoria) è quello che permette di affermare senza mezze misure che "tutte le scienze sociali [prodotte dall'attuale società] sono ideologie camuffate"; dichiariamo in maniera esplicita che la nostra teoria è la critica dell'economia politica "vecchia" ormai di un secolo e mezzo, vale a dire il "vecchio" marxismo. Termine sotto il quale, oggigiorno, si raccoglie arbitrariamente un po' di tutto.
Aggiungiamo indicativamente che ci rifacciamo all'esperienza storica della Sinistra Comunista, che denunciò la degenerazione socialdemocratica tipica della Seconda Internazionale, la degenerazione stalinista della Terza e, nel secondo dopoguerra, l'integrazione totale nello stato capitalista di sindacati e partiti sedicenti operai. In questo periodo si caratterizzò soprattutto per lo sforzo di riannodare il filo rosso del comunismo rivoluzionario principalmente attraverso un'analisi rigorosa del capitalismo ultramaturo e di tutte le forme storiche dell'opportunismo, tutte riconducibili ad un denominatore comune, che è quello della corresponsabilità nel mantenimento dell'ordine borghese.
Nelle pagine che seguiranno non tratteremo i grandi sistemi riguardanti l'universo, ma ci limiteremo a parlare di un problema specifico (uno dei tanti) all'ordine del giorno, in questi ultimi anni, nel limitato spazio del Comune di Venezia; più precisamente di Porto Marghera. Benché vissuta in prima persona dagli abitanti del territorio veneziano, tale situazione è seguita, da parte degli "interessati ai lavori", molto attentamente ben oltre lo stesso territorio nazionale. Per tutti è chiaro come l'esito del "processo-Casson", contro gli imputati in giudizio per la morte dei lavoratori all'interno degli impianti di Montedison ed Enichem, abbia una valenza internazionale.
Affronteremo non tanto la questione dell'insieme della tossicità dell'industria chimica presente nel polo industriale, quanto il problema della cancerogenicità di una particolare sostanza: il Cloruro di Vinile Monomero (CVM). La relazione fra l'angiosarcoma epatico (nonché altre forme tumorali attualmente allo studio) e la produzione industriale di tale sostanza è infatti certa.
Ci preme sottolineare subito alcuni aspetti di questo nostro breve lavoro:
1) Sia grande oppure piccolo il problema al quale vogliamo rapportarci; siano "teorici" oppure "pratici" (per noi non vi è separazione né tantomeno contrapposizione fra i due termini) i grossi ostacoli che di volta in volta dobbiamo superare, troveremo le nostre categorie concettuali, i nostri strumenti - politici e quindi tecnici – a partire da quel "sistema di valori" che è dato dalla critica dell'economia politica, cioè dalla critica della società di classe all'interno della quale viviamo. Chi pensa ingenuamente (ingenuamente?) di poter evitare questo terreno, farà sicuramente del lavoro pratico, ma il suo lavoro si svilupperà – volente o nolente – sulla base di categorie e strumenti concettuali tipici della economia politica (e non della sua critica e negazione), che sono il fondamento dell'attualissima e concretissima società borghese.
2) Se affrontiamo il problema della cancerogenicità del CVM, non è certo per inseguire in modo immediatista un tema che fa audience. Per il nostro modo di affrontare i problemi, lo studio delle più diverse questioni che ruotano attorno al Cloruro di Vinile, non è altro che lo studio di un vastissimo gruppo di problemi, nella costante ricerca non tanto del o dei colpevoli di turno, quanto del comune denominatore che tutto avviluppa, sia che si parli dell'angiosarcoma epatico oppure dell'encefalopatia spongiforme ("mucca pazza") o dei cancri ai polmoni provocati (in aggiunta ad altre cause) dalla combustione di tonnellate di prodotti petroliferi che migliaia di autoveicoli scaricano giornalmente nell'atmosfera, ecc. ecc.
3) Dobbiamo sempre ricordare che, per quanto grandi siano i nostri sforzi e la nostra capacità di individuare e denunciare sostanze tossiche e cancerogene (o schifezze di qualsiasi natura) prodotte dalla necessità di valorizzazione del Capitale, sempre maggiore sarà la sua capacità di produrne di nuove.
Significa forse che dobbiamo starcene con le mani in mano? Che dobbiamo impedirci di "fare qualcosa"? "Bisogna pur cominciare da qualche parte"! Sicuro che bisogna pur cominciare da qualche parte (ce l'hanno ripetuto fino alla nausea - durante i recenti bombardamenti in Yugoslavia - i vari Clinton, i vari Bonino e soci). In fondo questo piccolo lavoro è un "cominciare da qualche parte" a studiare un problema da un'angolazione diversa rispetto a quella corrente, anche se nessuno si aspetta risultati eclatanti nell'immediato.
In ogni caso, non è mai indifferente da dove si comincia. Soprattutto dobbiamo sapere che, da qualsiasi parte si cominci, ciò non è mai casuale. L'obiettivo che si comincia a "bombardare" e, soprattutto, il modo in cui lo si attacca dipendono sempre – vi sia consapevolezza o meno – dal sistema di valori, dai presupposti teorici, dai più generali obiettivi strategici dai quali ognuno prende le mosse.
Cercheremo di non appesantire il testo con troppi riferimenti tecnici, ma non potevamo certo affrontare l'argomento appoggiandoci ai luoghi comuni che si leggono su qualsiasi Gazzettino di Venezia o Nuova Venezia, non si possono "trasformare i macigni in pillole". Siamo convinti che non pochi lavoratori del Petrolchimico di Porto Marghera (come di un qualsiasi impianto del genere) sono in grado, qualora lo vogliano, di seguire e comprendere senza eccessivo sforzo quanto abbiamo scritto e, se vorranno discuterne, sarà possibile approfondire il problema trattato, contro chi invece tende a banalizzarlo pur partecipando al giustificato allarme.
Di proposito non abbiamo voluto affiancarci alla denuncia del macroinquinamento provocato dalle migliaia di tonnellate di inquinanti provenienti dai camini del polo industriale. Strada, questa, percorsa ad esempio nell'utilissimo lavoro sviluppato dall'associazione "Gabriele Bortolozzo" [2], lavoro che si conclude con la richiesta di una "indagine epidemiologica sulla popolazione del veneziano". La rivendicazione è sacrosanta, però deve essere chiaro che essa può avere un esito positivo alla sola condizione che vi siano delle forze sociali che spingano alla sua realizzazione.
E' illusorio e fuorviante indurre a pensare che queste forze sociali possano essere "il Comune e la Provincia e la Regione Veneto" alle quali ci si vuol rivolgere. Anche se oggi questi soggetti istituzionali sono parti civili all'interno del processo Casson, accanto a vecchi operai ammalati oppure ai parenti degli operai ormai morti a causa del cancro provocato dal CVM, sorge spontanea una domanda: dov'erano anni fa queste istituzioni? Cosa pensano oggi queste istituzioni, a proposito del campo di cancerogenicità del Cloruro di Vinile Monomero (CVM) e di tutti gli altri prodotti o "situazioni" cancerogene, permesso dalle leggi dello Stato? D'altra parte, quando si scrive che "se enti locali e magistratura non si muoveranno autonomamente" (da chi o da che cosa?), significa che almeno qualche dubbio esiste, in proposito.
Che si farà in tal caso? Ci si rivolgerà ai partiti? E' certo che essi non potranno dare qualcosa di diverso rispetto a quanto hanno dato fino a questo momento.
Ci si rivolgerà all'opinione pubblica? Ma questa non è affatto una "forza", bensì il risultato sul "pubblico" di sollecitazioni che derivano dalle idee della classe dominante, quindi una categoria astratta, nel suo complesso aleatoria ed indefinibile. E' vero che all'interno della indistinta massa sociale, tramite una selezione accurata, potrebbero essere individuate tendenze e strutture che c'interessano, ed è vero che queste ultime potrebbero anche disporsi in un "ordine" particolare di fronte a certe situazioni sociali; ma allora il problema diventa quello di affrontarle per quello che sono, cioè delle correnti di classe. In tal caso occorre essere consapevoli che ciò significa distruggere alle radici il concetto stesso di "opinione pubblica".
Ci si rivolgerà alle varie associazioni sul territorio? Se sono forze reali di lavoro e non semplici sigle sulla carta possono sicuramente dare, per ora, degli utili risultati sul piano della conoscenza, come per esempio il già citato lavoro dell'Associazione Bortolozzo, ma bisogna avere la chiara consapevolezza che ci vuole ben altro per impedire "nel futuro di continuare ad avere un aumento ed un numero spropositato di tumori di ogni tipo", come vi si legge.
Per quanto ci riguarda, non intendiamo in alcun modo distribuire consigli su quanto debbano fare gli altri: ognuno seguirà la strada che avrà scelto in base a convinzioni individuali che saranno determinate soprattutto dai potenti campi di forza "ideologici" prodotti dalla presente società. Noi seguiremo la strada della denuncia dell'informazione mistificante, come cerchiamo di spiegare lungo le pagine seguenti, quella stessa che profonde grandi quantità di dati sul cloruro di vinile e altri veleni presenti nell'ambiente di lavoro ma si guarda bene dal rendere pubblico il meccanismo attraverso cui gli operai si ammalano di cancro.
Non mettiamo qui in discussione la veridicità o meno dei dati che di volta in volta le aziende chimiche forniscono in rapporto ai limiti di legge (concentrazione media consentita nell'arco dell'anno: fino a 3 ppm, parti per milione). Nel caso specifico l'informazione mistificante consiste nel rapportare un certo numero di ppm rilevate nell'ambiente alle 3 ppm limite stabilite dalla legge. Ora, si sa benissimo che qualunque sia il dato denunciato dalle aziende chimiche, questo rappresenta un campo di cancerogenicità effettivo (alto o basso che sia), mentre il limite di legge è un campo di cancerogenicità giuridico, al di sotto del quale il cancro legalmente non esiste. Se si muore di cancro lo stesso, nessuno è perseguibile legalmente, perciò nessuno è colpevole.
Chi supera tale limite è evidentemente al di fuori delle leggi dello Stato. Ma chi permette che si lavori in questo campo di cancerogenicità (da un impossibile zero a 3 ppm di CVM) sapendo che un lavoratore che ruota attorno ai reparti dove si produce quel cancerogeno può essere colpito da angiosarcoma epatico, e lo rassicura sull'assenza di un tale pericolo, si colloca all'interno delle leggi dello Stato, oppure ne è fuori?
In tempi diversi, quando si è in presenza di un forte movimento di classe, è facile, per l'insieme dei proletari, dare una risposta a questo tipo di domande per prima cosa distruggendo la domanda stessa: il cancro, come tutte le malattie, si previene vivendo bene, non si cura dopo che si manifesta vivendo male. E non serve a nulla piangere sui morti.
Oggi, in questo triviale mercato della carne da cannone, i proletari dovranno forse trovare una risposta nel Codice Penale? E se anche fosse, a quale voce: omicidio colposo oppure doloso? E chi o cosa dovrà essere processato?
Non è questa la strada.
Note
[1] Fritjof Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli, pag. 158.
[2] L'aria che respiriamo ed i suoi effetti, a cura dell'Associazione Gabriele Bortolozzo, Porto Marghera giugno 1999.