Sarà bene dire subito che i contratti si giocheranno sul terreno del lavoro da garantire ai padroni. Per questo lo spauracchio dei licenziamenti e della cassa integrazione viene usato con tanta abbondanza. Per gli operai si tratta allora di verificare quali obiettivi e quale lotta potranno gestire per rifiutare ingabbiamenti sia sulla quantità che sulla qualità del lavoro.
Al primo posto c'è l'orario. ORARIO vuol dire quantità di lavoro, produttività e qualità della produzione. Forse per questo le bozze di piattaforme sindacali ne parlano poco, anzi di riduzione vera e propria non se ne parla. Nelle fabbriche invece la riduzione di almeno un'ora al giorno (le ormai note 35 ore in cinque giorni pagate 40) per i giornalieri e il salto al turno di 6 ore per chi è inserito nel ciclo continuo (con 6 persone addette per turno e per posto di lavoro) sono obiettivi precisi, realizzabili, da usare dentro e fuori la fabbrica.
E' meglio però dire alcune cose sui termini generali dello scontro per evitare di essere fraintesi. La lotta ha ancora, senza dubbio, il suo centro dentro le fabbriche; questo non è da dimenticare anche se i confini, il territorio politico sul quale la lotta operaia incide va estendendosi e mostra capacità rinnovate nello scontro nelle piazze, nell'occupazione e la difesa della case, nel rifiuto organizzato degli aumenti dei prezzi. La fabbrica resta al centro perchè qui assume significato l'attacco proletario alla società nel suo complesso: un attacco che non gestisce la produzione, che non partecipa alla "ricostruzione" di ciò che la lotta distrugge ma che unifica le forze da portare allo scontro, che obbliga i padroni a gestire, a modificare, ad inventare un "nuovo sviluppo" nel tentativo, peraltro vecchio, di far apparire la solita spazzatura come potere concesso al proletario. Questo rifiuto operaio costringe la società del lavoro a consumarsi sempre più in fretta, avvicina i falsi amici ai veri nemici, schiaccia sotto il peso della realtà i sogni degli avventuristi, rinforza e sviluppa l'organizzazione comunista. Con questo metro e non con altri surrogati ha senso misurare le forze raggiunte e il ruolo di ogni singola lotta, con questo metodo andiamo a valutare le scadenze, a verificare su quale terreno si svolgono e quali strumenti organizzativi richiedono. Per questo bisogna aver chiaro che, parlando delle prossime scadenze contrattuali, andiamo ad un impatto dove la forza del movimento dovrà misurarsi contro il tentativo avventurista di slegare gli interessi specifici degli operai contro la fabbrica da quelli generali contro l'apparato dello stato. I sindacati tenteranno di introdurre degli obiettivi tendenti a rafforzare o migliorare (come dicono loro) la struttura di controllo sul lavoro. Ci troveremo perciò di fronte a piattaforme il cui centro, anziché essere orario e salario, sarà la contrattazione delle qualifiche, della mobilità, la produttività del lavoro. Questi "obiettivi" saranno proiettati nel discorso del nuovo modello di sviluppo ovvero nel tentativo di far funzionare i contratti come "buoni premio" per quei settori che precisi accordi, tra padronato internazionale rendono più produttivi di altri. Dietro al discorso di eliminazione degli sprechi, di ammodernamento delle strutture produttive, di sviluppo per i consumi popolari (come quella che chiamano edilizia) si nasconde infatti il vero volto della ristrutturazione. Quello che gli operai e i proletari hanno chiesto con le lotte non è un "diverso modo di produrre" dentro la società capitalista ma il potere, tutto intero, di organizzare un modo diverso di vivere, il potere di ridurre, eliminando ogni forma di sfruttamento, il lavoro ad una libertà per tutti e non ad un obbligo per alcuni. Nel senso voluto dagli operai e da tutti gli sfruttati c'è da porre allora in ogni momento di lotta il rifiuto di avere in comune i problemi dei padroni. Gli operai, i proletari, non stanno nella stessa barca dei padroni, anzi prima essa affonda meglio è.
Il peso enorme dei bisogni operai va scaricato addosso ai padroni senza timori e senza rimpianti: oggi lottare per le 35 ore e per riduzioni non solo di orario ma anche del lavoro a ciclo continuo significa aumentare certo la crisi dei padroni; significa anche, e questo è quello che ci interessa, migliorare le condizioni di vita di milioni di operai, diminuire la quantità di lavoro prò capite e quella complessiva. Ridurre l'orario senza scambiarlo con ristrutturazione produttiva, con aumento delle mansioni, con riduzione degli organici vuol dire non accettare il ricatto "più lavoro = più salario" ma imporre, con la certezza di non essere isolati, più reddito e meno lavoro. Essere consapevoli che non è l'isolamento quello da temere ma l'adagiarsi nel grande pentolone sindacale, deve spingere ciascun compagno, ogni lavoratore, ad aprirsi non solo un piccolo varco ma un percorso che ricongiunga le forze, ormai numerose, capaci così di respingere l'attacco padronale.
Per questo l'organizzazione oggi non può essere solo interna alla fabbrica, né limitarsi a rafforzare livelli come quelli prodotti durante l'autoriduzione delle tariffe elettriche. Bisogna puntare al rafforzamento dei collegamenti di lotta, di mobilitazione attiva (non manifestaiola) con una rinnovata volontà e disponibilità al dibattito, con la volontà di comprendere i nuovi comportamenti di classe.
Insomma bisogna capire in fretta i livelli più alti di lotta perchè la burrasca che avanza sfascerà parecchie belle navi oggi con il vento in poppa e renderà più necessaria di ogni altra l'organizzazione reale del proletariato industriale, quella che oggi tutto il fronte padronale (la cosiddetta socialdemocrazia del lavoro) combatte con ogni mezzo.
Lavoro Zero, numero unico in attesa di autorizzazione luglio 1975
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