Il "caso" dei ventidue minatori di Seddas Moddizis in Sardegna, che per cinque giorni hanno fatto lo sciopero della fame in fondo a un pozzo di calamina perché infine le "autorità" si decidessero a pagargli il salario, è veramente simbolico.
I 25 erano rimasti senza salario non da una settimana, non da un mese, ma dal luglio dell'anno scorso: in tutto questo periodo, si sono indebitati prima verso lo spaccio aziendale (il famigerato truck-system), poi — quando questo si era limitato a vendere pane e sapone, prodotti simbolici l'uno della guardina, l'altro della forca — si sono caricati di debiti verso i negozianti locali; infine, hanno deciso di chiudersi in un pozzo e non mangiare addirittura, essi che da tempo non mangiavano già più quasi nulla. Sette mesi: che cos'hanno fatto nel frattempo le organizzazioni sindacali, cosiddette protettrici degli interessi operai? Hanno presentato piani di riorganizzazione delle miniere, hanno speso tempo in trattative interminabili, non hanno risolto nulla: gli operai intanto morivano di fame. Che cos'ha fatto lo Stato, cosiddetto tutore di tutti i cittadini, a qualunque classe appartengano? Quello che facevano i sindacati, cioè nulla. I 25 operai abbandonati dalle loro organizzazioni, soli con la loro fame, si sono chiusi nel pozzo. Era già amaro pensare ai minatori del Borinage costretti a difendere i loro "pozzi della morte": che dire dei 25 affamati cronici costretti a tapparvisi dentro e a non mangiare addirittura perché, se no, nessuno se ne accorge?
Ed ecco, allora, tutti di corsa ad "aiutarli"! Il prefetto provvede subito a distribuire l'intero salario arretrato: il padrone si salva senza sborsare un soldo; i minatori, pagati i debiti, si ritroveranno al punto di prima; i sindacati si glorieranno di aver "fatto pressione" perché il problema fosse "risolto": ma che cosa avverrà fra un mese? Peggio che nei pozzi della zona mineraria più antiquata del Belgio, la Sardegna soffoca sotto la concorrenza dei minerali più a buon mercato di origine straniera: è la marcia inesorabile del capitalismo, che schiaccia i piccoli borghesi e mette sul lastrico i loro dipendenti. Nulla e nessuno potrà arginare questo processo; nulla e nessuno riuscirà a far vivere i "volontari della fame", i neo-gandhisti e danilodolciani delle miniere sarde; non c'è democrazia né costituzione che tenga — finché dura il regime borghese non ci sarà che un pezzo di pane e di sapone per l'armata industriale di riserva dell'isola, e non saranno i sindacati legalitari e lo Stato elemonizzatore a rimediarvi. Non se ne esce se non con una trasformazione rivoluzionaria. Intanto, sull'episodio è stato tirato pudicamente il velo del silenzio. Un bel giorno, sentiremo che, guarda caso, altri operai in credito di 7 mesi di salario hanno deciso — ma che originali! — di far digiuno, o meglio, di aggravare il digiuno normale!
Il programma comunista n°6 del 1959