A proposito dei grandi scioperi francesi avevamo osservato come essi denunciassero una situazione di crisi profonda che non era propria soltanto della Francia ma investiva tutta l'Europa. Lo sciopero generale in Italia lo conferma in un doppio senso: in quanto prova come siano estesi il malessere economico e l'inquietudine sociali, e in quanto tradisce la preoccupazione della classe dominante di prevenire lo scoppio di agitazioni incontrollate prendendone essa stessa, unitariamente, l'iniziativa.
In Francia, l'ordine di sciopero era partito, in origine, dai sindacati di affiliazione democristiana. In Italia, l'iniziativa, anch'essa ispirata dai sindacalisti della D.C., si è tradotta in un'organizzazione e direzione collegiale dello sciopero da parte delle tre centrali sindacali. Si ha cosi l'apparente paradosso di uno sciopero diretto congiuntamente dai sindacati che si muovono sotto l'influenza diretta del Partito di governo, rappresentante generale degli interessi della classe dominante, dai sindacati controllati da Partiti fiancheggiatori del governo, e dai sindacati che, per la loro affiliazione socialcomunista, dovrebbero rappresentare l'opposizione alla politica governativa.
L'unità di direzione è tale che lo sciopero, organizzato secondo lo schema consueto dei nostri sindacati – generale ma con importanti eccezioni destinate a non turbare il funzionamento dei settori più delicati dell'economia e a non creare "disagio nel pubblico", e dimostrativo, cioè limitato nel tempo e nelle manifestazioni esteriori – ha visto gli oratori delle tre correnti dividersi fraternamente le parti e cedersi reciprocamente le piazze per illustrare ai lavoratori gli scopi generali dell'agitazione. Né si dica che questa è puramente economica, giacché l'assurdo di una lotta economica (specie di uno sciopero generale) che non sia anche politica è smentita dal fatto stesso che gli organizzatori hanno scelto come data dell'agitazione orchestrata la vigilia della ripresa parlamentare, di quel Parlamento in cui sono concordemente decisi a far sfociare – e perciò insabbiare – ogni moto sociale.
Dietro questa commedia di forze politiche che si dicono in lotta, e tuttavia agiscono concordi proprio nel campo della cosidetta difesa degli interessi operai, c'è una realtà molto seria. Abbiamo notato più volte come nei Partiti di centro e sinistra della democrazia il cui orizzonte non va oltre lo status quo e la sua conservazione, siano proprio i settori più direttamente a contatto con le masse lavoratrici e quindi più sensibili ai riflessi sociali della situazione economica quelli che si fanno promotori di una politica più attiva, più intraprendente, più "riformatrice" nel quadro del regime borghese. Esse pongono la loro candidatura non già a sovvertire ma a dirigere con più intelligenza e con maggior capacità di iniziativa la società capitalistica, e ad affermare questo metodo aggiornato di difesa dello status quo, secondo i dettami di Washington e di Mosca anche contro le resistenze di interessi sezionali borghesi. Non soltanto essi avvertono la necessità di dare sfogo all'inquietudine degli strati operai, ma avvertono quella di premere sugli imprenditori perché gli interessi generali della classe, gli interessi della conservazione del regime nel suo insieme, prevalgano su quelli dei singoli e dei gruppi. Ecco ciò che li accomuna: la loro unità nella direzione degli scioperi non è la vantata "unità della classe operaia", è l'unità di regìa degli amministratori della classe dominante.
Hanno preso insieme l'iniziativa dello sciopero prima che gli operai potessero prenderla fuori del loro controllo. Ne assicurano insieme lo svolgimento perché non accada, come in Francia, che gli scioperanti prendano la mano ai direttori di scena e continuino l'agitazione anche quando questi avrebbero fretta di liquidarla. Sono interessati solidalmente alla conservazione del regime vigente come al suo adattamento alle "necessità dell'ora". Lo sciopero, concordato e diretto dalle forze governative e di "opposizione", sarà volto a miglior gloria e profitto della classe dominante, offrirà alimento e materia al perpetuarsi del gioco democratico e della schermaglia parlamentare.
Gli operai scioperano compatti perché hanno da difendere il loro pane; ma la direzione dello sciopero non è nel senso dei loro interessi fondamentali. La classe dominante non ha perso, anzi ha ribadito, il controllo sulle forze sociali in movimento. Fino a quando ed entro quali limiti lo scoppio del fermento sociale sarà controllato dalle forze della conservazione, e la classe operaia non esprimerà una forza politica diretta al sovvertimento dell'ordine esistente, è il grande problema dell'ora.
il programma comunista n. 17 del 1953