Logo Chicago86

Nel giro di sei mesi, Giappone e Germania, gangli vitali del capitalismo mondiale, sono stati teatro di grandi scioperi, mirabili per compattezza e spirito di battaglia, anche se – come da prevedere – sabotati dall'organizzazione sindacale a fondo riformista. Sono due Paesi che l'onda della ricostruzione postbellica ha "risanato" fruttando alla classe capitalista utili di eccezione e costringendo la classe operaia a stringere ancor più la cinghia. Beniamini del capitalismo occidentale, non sembra che lo siano agli occhi dei rispettivi lavoratori.

Lo sciopero giapponese, durato dal 17 ottobre al 17 dicembre e interessante l'industria mineraria ed elettrica, coinvolse 400.000 operai e, sebbene la situazione fosse estremamente critica per gli scioperanti (fattori stagionali, difficoltà di approvvigionamento, ecc.), riuscì assolutamente compatto, paralizzando non soltanto le industrie direttamente colpite ma l'insieme dell'apparato produttivo.

Preso dal panico, il governo non poté attuare né la minaccia di mobilitare mano d'opera ausiliaria straniera, né quella della proclamazione dello stato di emergenza, e neppure riuscì a far accettare il principio di un arbitrato obbligatorio. Infine, proposte di conciliazione nel senso di un aumento del 7% dei salari e di una gratifica natalizia di 5000 yen furono sottoposte ai sindacati, i quali, per timore di complicazioni sociali maggiori, accettarono e imposero la ripresa del lavoro. Inutile dire che il risultato non compensa i sacrifici sopportati dagli scioperanti in due mesi di lotta eroica.

La gigantesca battaglia soffrì della titubanza della direzione sindacale. Non solo nei mesi precedenti, quando i sintomi di una ripresa delle agitazioni erano ormai chiari, non fu presa nessuna misura precauzionale, ma durante lo sciopero mancò ogni coordinamento fra categoria e categoria. La sospensione del rifornimento della corrente durante il giorno, mentre colpì le piccole industrie e le aziende artigiane, non danneggiò minimamente le grandi aziende che si misero a lavorare di notte, e dove si formò una specie di fronte unico fra maestranze e padroni; la classe operaia fu così divisa in due masse in concorrenza. Infine, la decisione precipitata di accettare le proposte governative fu chiaramente ispirata alla paura che il moto dilagasse oltre i confini della legalità.

In Germania, lo sciopero da poco finito degli operai tessili interessò invece una massa di circa 21.000 operai della Germania sud-occidentale e, per quanto conclusosi con risultati solo in parte soddisfacenti dal punto di vista salariale, è il primo grande esempio di azione operaia compatta nella Germania post-bellica. Questa compattezza è sottolineata dal fatto che, per quanto lo sciopero investisse regioni dove i sindacati cristiani hanno enorme influenza, le defezioni furono limitatissime. La classe padronale reagì sia con la corruzione sia col ricorso alla violenza poliziesca, mentre si costituiva un fondo di resistenza fra industriali: tuttavia lo sciopero è continuato per alcune settimane con grande vigoria.

Anche qui, il risultato parziale va imputato alla direzione riformista dei sindacati. Lo sciopero fu circoscritto ad alcuni "Laender", e i sindacati di altri iniziarono trattative per il rinnovo dei contratti di categoria – più sfavorevoli di quelli richiesti dagli scioperanti – mentre l'agitazione nel sud-ovest era in corso, determinando così un indebolimento della resistenza operaia. Né si ebbe un coordinamento con l'agitazione di altre categorie.

il programma comunista n° 8 del 1953