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"GLI OPERAI NELLA FABBRICA NON VANNO PER FARE LE INCHIESTE, MA PERCHE' CI SONO COSTRETTI. IL LAVORO NON E' UN MODO DI VIVERE, MA L'OBBLIGO DI VENDERSI PER VIVERE. ED E' LOTTANDO CONTRO IL LAVORO, CONTRO QUESTA VENDITA FORZATA DI SE STESSI CHE SI SCONTRANO CONTRO LE REGOLE DELLA SOCIETA'. ED E' LOTTANDO PER LAVORARE MENO, PER NON VENIRE PIU' AVVELENATI DAL LAVORO CHE LOTTANO ANCHE CONTRO LA NOCIVITA'. PERCHE' NOCIVO E' ALZARSI TUTTE LE MATTINE PER ANDARE A LAVORARE, NOCIVO E' SEGUIRE I RITMI, I MODI DELLA PRODUZIONE, NOCIVO E' FARE I TURNI, NOCIVO E' ANDARSENE A CASA CON UN SALARIO CHE TI COSTRINGE IL GIORNO DOPO A TORNARE IN FABBRICA . .
(ASSEMBLEA AUTONOMA DI P.MARGHERA. 1974)

Siamo ormai sommersi da una marea di discorsi che santificano le lotte di questi ultimi anni, che celebrano riti appartenuti al passato. La giusta esaltazione, a volte settaria, che in alcuni punti del percorso fatto ha distinto il comportamento operaio non deve farci unire al coro di chi oggi, magari senza averne completa coscienza, tenta di trasformare il passato in presente.

Adesso che i proletari sono usciti da quella trincea piena di fango e di sangue quale è stato il periodo precedente la riconquista del terreno di lotta sugli interessi materiali di classe, ci sono ancora delle scimmie parlanti che vorrebbero far entrare a forza nel ghetto della coscienza piccolo-riformista e nelle banalità delle scadenze imposte dai padroni le prospettive del movimento. Già questi novelli condottieri hanno dimenticato ciò che l'intera classe ha loro insegnato quando si è riappropriata, non dello scenario di cartapesta offerto, ma della quantità di reddito capace di farla uscire dal ricatto del lavoro a qualsiasi condizione.

Economicismo, operaismo erano termini abituali fino a qualche anno fa; termini che venivano rivolti contro chi negava allora distinzione tra lotta economica e lotta politica, contro chi faceva del salario l'elemento dirompente dentro la nascente pianificazione del sistema, contro chi organizzava lotte a partire dalla fabbrica anziché dalla sagrestia. Oggi il terreno degli obiettivi, delle piattaforme, dell'autoriduzione è il pane "rivoluzionario" di questa schiera di antichi credenti, di questi cantori delle lotte, sempre pronti a raccogliere fondi per le grandi rivoluzioni lontane e a catalogare come provocazione i nuovi livelli di lotta che si muovono sotto i loro occhi.

Il movimento odia le celebrazioni, rifiuta il presente perchè è consapevole della propria forza; la ricerca di nuovi strumenti d'organizzazione e di lotta non può essere una squallida ripetizione di una pratica che, se ieri era vincente, oggi rischia di diventare una tragica farsa. La classe operaia è cambiata soprattutto nei confronti del lavoro; è cambiata perchè ha modificato nel suo complesso il rapporto con il lavoro andandolo a definire, certo con le lotte, in termini nuovi.

Si apre davanti a noi un terreno diverso, senza segni di riconoscimento noti; spetta ad ogni comunista tradurre in organizzazione vincente la divaricazione, oggi data, tra vita proletaria e lavoro, tra reddito e sfruttamento. Il prezzo per arrivare a questo livello è stato molto alto, sarebbe stupido negarlo, come è suicida ingrandire il valore del disagio di ciascuno quando ci ritroviamo in questo momento critico dell'organizzazione proletaria. La differenza profonda tra il passato e la situazione presente è la possibilità di aggredire il lavoro ovunque, di renderlo esplicito lì dove prima era nascosto o più semplicemente subito.

La rivolta operaia contro il lavoro di fabbrica se da un lato ha allargato il comportamento proletario alla ricerca di reddito, dall'altro ha provocato la più dura risposta capitalistica. L'enorme potenza repressiva delle imprese multinazionali è stata usata fino in fondo per cercare di bloccare, anticipandole, le richieste operaie. Ad un proletario industriale avviato all'odio contro il lavoro si è risposto con i licenziamenti, con la cassa integrazione con la riduzione forzata del lavoro, in modo da interrompere l'equazione operaia (circle) meno lavoro = più salario (circle). Si è tentato, da parte padronale, di ridistribuire il lavoro in modo da decentrare la struttura produttiva e differenziare così i bisogni dei singoli strati di classe. Non ci interessa qui stabilire quanto sia, di tutto questo, risultato diretto o indiretto di ondate di lotta e quanto frutto della capacità di comando padronale; quello che è certo è che ormai il lavoro non sta solo dentro la fabbrica o meglio che il tempo-lavoro non è solo quello trascorso nel luogo di produzione o quello per cui viene dato un salario. E' proprio del movimento, di questo movimento del proletariato industriale, indebolire via via i punti della rete di potere che lo attraversa, che lo circonda. Dalla fabbrica alla società, dalla società alla fabbrica, gli obiettivi dello scontro si modificano perchè cresce il bisogno di potere contro un sistema che vive della rapina di ogni ricchezza prodotta dal proletariato. Così, accanto ad una ferma decisione operaia di stare sempre meno dentro la fabbrica, di diminuire sempre più gli effetti stessi della fabbrica sulla vita di tutti, si estende il rifiuto di accettare quello che viene chiamato "tempo libero" così come ce lo fornisce il sistema. Ci si muove per spezzare il disegno delle cosiddette riforme che risolvono solo dal punto di vista della funzionalità produttiva problemi non dei proletari ma dell'apparato di controllo capitalistico. Diventa attuale parlare di tempo di trasporto e tempo per la salute da sottrarre al tempo di fabbrica, di orario e salario del lavoro domestico, di tempo di non consumo come garanzia al divertimento.

Dobbiamo comprendere perciò che il bisogno della classe di ricomporsi su di un fronte molto più ampio del tradizionale momento produttivo provoca squilibri, sfasamenti fra settori diversi, errori delle avanguardie, frustrazioni per singoli compagni. Su questo poi si esercita interamente l'apparato repressivo dello stato come garante dei tentativi di nuova scomposizione rappresentati dalla diversificazione crescente della struttura produttiva. La mobilità e la rotazione nel lavoro, la nuova professionalità, il lavoro precario e il lavoro come consumo, sono altrettanti momenti che tendono a dividere, ad offrire un falsa strada di ricomposizione che porta solo e nuovamente allo scontro con se stessi. E' la strada della partecipazione, della gestione delle cose nell'ambito di ruoli che mantengono in vita il meccanismo dello sfruttamento. Il proletariato ha sempre legato il proprio sviluppo alla forza complessiva espressa con segno contrario a quella padronale e, se uso del lavoro in tale senso c'è stato, questo oggi non ha più ragione di esistere. Il rifiuto da parte proletaria degli attuali ruoli non è richiesta di "una giusta" collocazione nella scacchiera del lavoro ma l'esigenza di avere a disposizione dimensioni nuove dove poter esprimere tutta la capacità, l'attività creativa di cui il proletariato ha dato solo qualche anticipo.

Lavoro Zero, numero unico in attesa di autorizzazione luglio 1975

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numero unico in attesa di autorizzazione luglio 75
LAVORO ZERO - GIORNALE DAL VENETO