È in corso a Trieste una vertenza che interessa un largo strato di operai: quella dei C. R. D. A. (Cantieri Riuniti dell'Adriatico). Quali le sue prospettive?
Non occorre, purtroppo, essere dei profeti per rispondere. Che cosa possono ottenere infatti gli operai finché la difesa dei loro interessi e la guida delle loro agitazioni sono in mano agli attuali organismi sindacali (C. d. L. - S. U.)? Sono gli stessi organismi che, nel più lungo e compatto sciopero svoltosi a Trieste in questo dopoguerra (febbraio 1950), tradirono l'esplicito mandato ricevuto dagli operai (in un comizio tenuto dopo 20 giorni di lotta) — estendere lo sciopero a tutta la città e provincia — comunicando per radio le decisioni di compromesso (le solite vittorie: "la vertenza rimane aperta") che ancor oggi paghiamo a rate. E citiamo solo quest'esempio perché è stato l'unico, dal 1945 a tale data, che tutta la classe operaia veramente sentisse e fosse disposta a condurre a fondo: ma, a conferma di quanto diciamo, basterebbe consultare il libro aperto di tutte le agitazioni condotte su scala nazionale (e non soltanto nazionale) dai sindacati di marca staliniana o riformista.
Anche questa volta, non ci possono essere dubbi: l'agitazione, giustamente sentita da tutti gli operai, si risolverà in nulla, perché l'impostazione data ad essa dai sindacati imperanti fa a pugni con lo spirito di battaglia dei proletari. Basti ricordare quanto è stato detto al comizio: dopo aver definito dimostrazione di forza e di compattezza un primo sciopero, ci si è limitati a biasimare il padrone (i C. D. R. A.) per aver scavalcato l'organizzazione sindacale nell'emanare disposizione di carattere disciplinare. A questo la roboante retorica si è ridotta: rispettate la legalità della procedura (pompieristica), e tutto filerà nel migliore accordo.
Gli operai, che vedono come il padrone se ne strafotta dei loro "rappresentanti", accettino la sfida, reagiscano al colpo con altrettanta strafottenza, e non attendano che i loro "dirigenti" insabbino l'agitazione nella palude del quieto vivere in una legalità che non protegge ma frena e sconfigge la loro classe. Il rispetto della legalità contrattuale è l'unico obiettivo cui mirino gli esponenti sindacali: gli operai, invece, lottano contro misure disciplinari che giudicano inaccettabili, procedura o no. Sì, cari compagni, qui siamo le vittime di una speculazione, e, nonostante le parole forti, la realtà si risolverà in un tradimento.
L'esperienza delle lotte operaie insegna che, postasi sul terreno del rispetto dell'ordine costituito, la classe proletaria è sempre battuta. Gli operai hanno mille ragioni di reagire agli arbitrii dei padroni; ma come possono sperare di vincere se affidano a sindacati opportunisti (come nel febbraio 1950) il compito di condurre fino in fondo una lotta ch'essi sono chiamati, invece, a "comporre" nel solito patteggiamento con l'avversario?
È questa la tragica situazione di oggi come di ieri. L'agitazione finirà, purtroppo, come la classe dominante e i suoi servi vogliono che finisca. Serva almeno di esperienza; comprendano gli operai che, se così finisce, una ragione storica c'è: il peso schiacciante dell'opportunismo e del tradimento controrivoluzionario, e l'incapacità di scrollarcelo di dosso.
Un compagno
Da Il programma comunista n°3 del 1953