di Sergio Bellavita – Lo sciopero proclamato dalla Fiom contro il ricorso al lavoro straordinario di sabato mentre metà dello stabilimento è in cassa integrazione era più che giusto. Siamo davanti, non solo alla Fca di Pomigliano peraltro, ad un'ingiustizia clamorosa. Metà dello stabilimento è in cassa integrazione e l'altra metà è costretta a turni aggiuntivi, straordinari. Tanto basterebbe a fare insorgere un qualunque sindacato che si ponesse davvero il problema della difesa dei lavoratori. Non è cosi, in buona evidenza, per il sindacalismo complice che in Fca è ormai strutturalmente d'accordo con Marchionne a prescindere. Quella che è oggettivamente una clamorosa ingiustizia, che tra le altre cose disvela cosa intendano realmente le imprese per "produttività", diventa persino una conquista, un'opportunità che in tempi di crisi non ci si deve far scappare.
Peccato che il riposo forzoso dell'altra metà dello stabilimento sia pagato con soldi pubblici, anzi dei lavoratori per essere precisi e che l'insieme dello stabilimento non sembra avere grandi prospettive senza una nuova produzione che affianchi la Panda. Come era largamente previsto lo sciopero Fiom raccoglie pochissime adesioni a Pomigliano. La Canea reazionaria che si è scatenata contro la Fiom, accusata di un clamoroso flop, ha l'evidente scopo strumentale di dimostrare lo scarso seguito della stessa tra i lavoratori. La Fiom non riuscirebbe più a comprendere i lavoratori, avrebbe in sostanza la testa tra le nuvole, agitata da un'ideologia ormai superata… La verità, come tutti sanno, è profondamente diversa. Il ricatto che si esercita sui lavoratori Fca ex Fiat è sostanzioso. Non solo perché Fca è ormai un luogo simbolo dell'arbitrio padronale dopo la rottura del 2010 ma anche perché lavorare o essere in cassa integrazione con ben poche possibilità di essere richiamato fa una grande differenza. Non bisogna mai dimenticare come sono stati costruiti gli elenchi dei lavoratori di serie A e B, i salvati e gli esuberi.
Ciò che accade in Fiat ha sempre avuto una valenza generale. Non è un caso che il modello Marchionne ha fatto da apripista alla destrutturazione del sistema contrattuale e sociale del paese. Oggi quel modello si è imposto anche grazie agli accordi sindacali Cgil Cisl Uil, dal 28 giungo 2011 al testo unico del 10 gennaio, che ne hanno assunto i principi di fondo. La strada per la ricostruzione di un insediamento sindacale e di nuovi rapporti di forza per queste ragioni sarà inevitabilmente lunga e laboriosa. Tuttavia, proprio perché pensiamo che quello era uno sciopero sacrosanto e che su quella strada bisogna proseguire, una riflessione sulle forme di lotta e sulla vertenza Fiat più in generale andrebbe aperta. Sarebbe un errore non valutare attentamente quanto accaduto. Sono diversi gli stabilimenti in piena ripresa produttiva, laddove cioè la lotta può avere un peso importante, mentre per altri sembra avviata la strada della lenta dismissione. Il tema di come in questo quadro agisci il conflitto in rapporto stretto con chi è escluso dal lavoro è decisivo. Organizzare i cassintegrati per rivendicare la piena occupazione nel gruppo, sebbene non privo di tensioni nel rapporto tra chi lavora e chi è in cassa, è un elemento decisivo per costruire iniziative di lotta efficaci. Coniugare cioè lotta contro la fatica di fabbrica, e le dure condizioni imposte in Fca, con quella per la piena occupazione. Strada complicata e difficile ma senza alternative. O si riapre la battaglia generale, dentro e fuori le fabbriche, contro il modello Fca di esclusione e super sfruttamento o inevitabilmente le iniziative sindacali avranno sempre meno peso.
[tratto da http://sindacatounaltracosa.org]