Logo Chicago86

L'agitazione dei ferrovieri è stata così intimamente confusa con il problema della "riforma di struttura" dell'azienda, che non si può parlare dell'una senza accennare all'altra, a nuova dimostrazione del ruolo controrivoluzionario che i sindacati sempre più svolgono nel quadro del moderno ordinamento borghese-democratico. È questo che si propone nel seguente articolo "Il ferroviere".

A chi serve una riforma?

Le ferrovie sono, prima che un'industria per il trasporto merci o passeggeri, un indispensabile accessorio del modo di produzione della grande industria capitalistica; e poiché tale accessorio non aggiunge nulla al valore dei prodotti, ma ha il solo fine di accelerarne la circolazione, è interesse dell'intera classe dominante avere a sua disposizione ferrovie moderne, veloci, e che offrano servizi a basso prezzo. Siccome, in una società divisa in classi, nessuna riforma può essere fatta "nell'interesse di tutta la collettività", come a bocca piena dicono i bonzi della CGIL e degli altri sindacati, essa può servire oggi ad una sola causa: la causa della conservazione. Ed è qui che si inserisce il ruolo controrivoluzionario dei bonzi. Che cosa significa infatti riforma democratica dell'azienda ferroviaria, per i sindacati? Significa rimodernare la struttura e l'organizzazione della azienda, renderla più agile, più adeguata alle moderne esigenze del capitale decentrando il potere direzionale in modo da conferire maggiori e più dirette responsabilità ai dirigenti periferici, ma tutto questo deve avvenire non solo col beneplacito bensì anche con l'inserimento diretto dei sindacati centrali (e loro istanze periferiche) nella élite dirigente della nazione, facendone un vero e proprio strato privilegiato come nella democratica repubblica delle stelle e strisce.

Proposte contraddittorie

Che ci sia una via italiana al socialismo è risaputo; ma che, in regime apertamente borghese, si debba collaborare per diminuire il disavanzo di un'azienda, forse a molti proletari era sfuggito. Ebbene i sindacati, CGIL in testa, si recano dal vice presidente del Consiglio, molto onorevole P. Nenni, per suggerire su invito di questi il modo di diminuire il disavanzo delle ferrovie. Essi propongono:

1) che l'azienda di Stato abbia una funzione prioritaria nella determinazione delle "scelte" della politica dei trasporti, in modo da evitare l'imposizione di una linea che agevoli gruppi monopolistici privati,

2) che si sgravi il bilancio da una somma pari al 20% dei salari pagata dall'azienda come contributo alle pensioni (naturalmente, senza diminuire queste ultime);

3) che si ridimensionino le linee a scarso traffico (rami secchi) e si riformino le tariffe, specie quelle del trasporto merci;

4) che si provveda all'automazione e meccanizzazione degli impianti, allo snellimento delle pratiche d'ufficio e alla riorganizzazione di alcuni servizi tendenti a un'utilizzazione più intensiva del personale, non esclusa l'installazione dell'apparecchio vigilante a bordo delle locomotive, che si è più volte tentato invano di applicare e che ora, forse, potrà entrare in funzione col consenso sindacale. Tale apparecchio, oltre ad eliminare la presenza dell'aiuto macchinista sul locomotore, procurando quindi un risparmio ingente di personale e sfruttando più intensivamente il primo macchinista, lo trasformerebbe in un puro automa, senza possibilità di pronunciare parola alcuna con un altro essere vivente e con la sola prospettiva di divenire parte integrante della macchina: la sua installazione richiederà da parte del macchinista l'effettuazione di una operazione semplice, ritmica e continuata, tale da renderlo inebetito.

I sindacati proponevano inoltre:

5) Operazione riassetto stipendi conglobati come primo passo verso la riforma di struttura aziendale;

6) Ricopertura delle piante organiche, vale a dire assunzione degli 8.000 agenti oggi mancanti, per evitare il maggior aggravio di lavoro che è intervenuto negli ultimi anni. Tale presa di posizione tenderebbe ad alleviare il super-sfruttamento a cui è ora sottoposto il personale; sennonché essa viene subito dopo rinnegata dalle affermazioni che si leggono a metà della terza colonna pag. 10 della Tribuna dei Ferrovieri (organo dello S.F.I.-CGIL), n° 8-9 del 30-9-'64:

"Riteniamo tuttavia possibile aumentare ulteriormente la produttività del personale".

Quindi se da un lato sembra che i sindacati servano la causa immediata dei lavoratori, in realtà essi lasciano libera l'azienda di perpetrare un maggior sfruttamento, suggerendo la possibilità di aumentare la produttività mantenendo invariato il numero degli agenti impiegati.

Contro il "risanamento del bilancio"

E le consultazioni tra sindacati e governo venivano definite dalla stampa sindacale come

"un metodo che dovrebbe diventare sistema per un'effettiva democrazia nei rapporti tra autorità politiche ed amministrative"!!

Ciò dimostra una volta di più che i sindacati sono diventati strumenti di conservazione del sistema al servizio della classe dominante, permettendo a quest'ultima di avere un esatto quadro della situazione nei diversi settori della produzione, al fine di introdurre le riforme indispensabili per la garanzia e la conservazione del suo dominio.

I sindacati si impegnano dunque ad aiutare l'amministrazione e il governo al risanamento del bilancio delle ferrovie; anzi, più dell'azienda e del governo se ne preoccupano, perché, dicono, a questo l'azienda e il ministero fanno appello per negare ogni aumento richiesto dal ferrovieri.

A noi marxisti, ad ogni rivoluzionario, balza agli occhi immediatamente il carattere reazionario di un siffatto modo di impostare le azioni sindacali. Agendo in tal maniera, i sindacati aiutano l'azienda ad aumentare ulteriormente lo sfruttamento delle maestranze; e queste, di contro, non possono opporsi dato che così vuole l'organizzazione sindacale stessa.

Non solo si incitano oggi e domani le maestranze ad un maggior rendimento per eliminare il deficit, ma ci si richiama ad esso per non concedere alcun aumento di salario e assicurare quindi al capitalismo dei trasporti il prezzo più basso possibile limitando l'incidenza del capitale variabile. Questo fenomeno non si verifica nei soli trasporti; se si nazionalizzano le ferrovie e le industrie-base per tenere molto ridotti i prezzi dei servizi, per avere quote minime da aggiungere ai costi di produzione in modo da offrire al capitale nazionale una maggior possibilità di concorrenza sul mercato mondiale e infine per far pagare la differenza tra costo di produzione e prezzo di vendita del servizio, cioè il deficit aziendale, all'operaio.

Finché si rimane in un ordinamento sociale borghese anche le nazionalizzazioni sono quindi misure non rivoluzionarie, ma solo utili al capitale per spremere nuovo plusvalore.

A che punto sono le lotte dei ferrovieri

Le recenti lotte sindacali nel settore ferroviario vertevano soprattutto sull'aumento di alcune competenze accessorie (premi di rendimento), di cui abbiamo dato un breve quadro nello Spartaco n° 21, e che si sono concluse in un vero e proprio aborto, in quanto la misura dell'aumento della "fuori residenza" supera di poco la metà di quello concordato fra ministro dei trasporti e sindacati il 7 agosto, mentre il soprassoldo per servizio notturno, che doveva passare dalle 85 alle 110 lire orarie, non verrà elargito al personale di macchina e viaggiante, i più sottoposti ad un tale lavoro. Inoltre, la data di decorrenza, che era stata concordata per il 1° luglio, non viene rispettata e non si sa quando il provvedimento entrerà in vigore, mentre il 5° provvedimento, dato già per approvato durante lo sciopero di agosto, prevede una spesa di soli 50/60 milioni globali, contro i 20 miliardi stabiliti fin dal 1962. Tutto questo, dopo uno sciopero cui hanno partecipato tutti i sindacati, svoltosi il 6 ottobre e della durata di 3 ore e mezzo.

Quanto al conglobamento, invece, come è stato più volte ricordato dalla nostra stampa, esso si trascina fin dal 1960. Si è fatto uno sciopero articolato dal 20 al 26 ottobre della durata di 3 ore e mezzo giornaliere, al quale sono stati chiamati a partecipare tutti i ferrovieri e i lavoratori degli appalti: lo sciopero è riuscito perfettamente, ma non è sfociato in nulla di positivo date le limitatezze imposte. Si è quindi imposta la nuova agitazione della prima settimana di novembre, anch'essa, manco a dirlo, articolata, cioè due ore per il personale di macchina, due ore per il personale viaggiante e due ore il personale di stazione, e conclusasi – malgrado la sua riuscita – con… l'accettazione dell'invito di Nenni a discutere della riforma dell'azienda!

Ma, si chiederà il profano, perché si insiste nel proclamare scioperi articolati di breve durata, se si è visto più volte che non approdano a nulla? Per un nobile sentimento, non c'è che dire! Si fa così, e nelle ore che vanno dalle 9,30 alle 13, per non ostacolare i "lavoratori pendolari", cioè coloro che vengono dalla campagna a vendere la propria forza-lavoro in città!

In una società divisa in classi avverse e in lotta fra di loro, non vi è posto per alcun "sentimento dì nobiltà": fingendo di non danneggiare i lavoratori pendolari, si evita solo di danneggiare l'industria. L'operaio moderno, come l'ha foggiato la borghesia dominante, è la merce più preziosa; quindi, solo ostacolando il trasporto di questa merce organica insieme a quella bruta si potrà approdare a qualcosa di concreto; solo fermando totalmente il traffico ferroviario per un periodo sufficientemente lungo, si costringerà il governo a prendere provvedimenti adeguati. (La vittoria delle maestranze della General Motors, dopo un mese di sciopero ininterrotto, serva di luminosa guida). Non si tratta di far perdere giornate di lavoro ad altri operai, perdita che per essi rappresenta una decurtazione del già magro salario; ma di fare in modo che il numero maggiore possibile di operai scenda in sciopero nello stesso periodo e, possibilmente, per gli stessi motivi. In altre parole, si tratta di rafforzare le lotte degli uni con le lotte degli altri; cioè di potenziare quella che Marx chiama la solidarietà fra gli sfruttati, solidarietà che le democratiche leggi della Repubblica Italiana si sono fatte premura di ostacolare e che i sindacati opportunisti e manutengoli si guardano bene dal difendere e promuovere chiamando la classe lavoratrice alla lotta almeno per impedire (dato che amano rimanere nell'ambito della legalità) l'approvazione di simili decreti.

La lotta – per i ferrovieri come per tutti i salariati – deve essere generale, per l'aumento dei salari-base e per la diminuzione indiscriminata della giornata di lavoro; non per riforme dell'azienda e meno ancora il risanamento del suo bilancio! Pur sapendo che lo sfruttato non deve battersi per meglio accomodarsi in questa lurida società, ma per abbatterla, noi gridiamo: VIVA LO SCIOPERO GENERALE SENZA LIMITI DI LUOGO E DI TEMPO, unica garanzia di pur minime conquiste.

il programma comunista n°22 del 1964