Terza settimana di emergenza per il COVD19
L'intera regione Lombardia e altre 14 province del centro-nord sono chiuse, come le scuole e le università di tutto il paese.
Gli ospedali delle zone più colpite, in particolare al Nord, stanno esplodendo per il sovraccarico di emergenze. Dopo anni di tagli alle risorse e al personale, nemmeno nel 'ricco e efficiente' Nord si riesce a fronteggiare la situazione di caos, nonostante l'impegno eccezionale del personale sanitario, che, a ogni livello, sta da giorni, letteralmente, in trincea. Emergono in queste ore anche le tante contraddizioni di un modello da anni basato su dosi massicce di privatizzazione e convenzioni con le strutture private, che, come è prevedibile, hanno investito sui servizi più remunerativi e meno su quelli di emergenza, come le terapie intensive.
Se questa è la situazione in Lombardia, figuriamoci cosa avverrebbe o avverrà se lo stesso impatto si avesse in altre regioni, che già normalmente non hanno risorse per fronteggiare la quotidiana gestione degli ospedali.
In questa situazione, evitare il contagio è la priorità. È tuttavia impensabile farlo se le stesse drastiche misure che vengono imposte ai cittadini/e e in alcuni settori (eventi pubblici e sportivi, musei, teatri e spettacolo, scuole e università) non vengono estesi alla totalità dei posti di lavoro, in particolare quelli produttivi, nelle zone del Nord, la cui attività non è immediatamente necessaria.
Due cose sono assolutamente necessarie ora. Da un lato, un investimento urgente e straordinario sulla sanità pubblica, compreso l'utilizzo di strutture private per la gestione dell'emergenza, senza alcun costo per lo Stato, pena la loro requisizione.
Dall'altro, la chiusura, dove possibile, di tutti i posti di lavoro non essenziali, stanziando risorse straordinarie (anche attraverso una tassazione patrimoniale) per la garanzia del posto di lavoro, anche ai precari e negli appalti, e la copertura totale del salario dei lavoratori e delle lavoratrici sospesi dall'attività. E, d'altro canto, garantendo misure adeguate di sicurezza per chi lavora nei settori e nei servizi essenziali che non possono fermarsi e, ovunque, procedure chiare per le imprese con lavoratori positivi o a rischio (chiusura obbligatoria, verifica, sanificazione prima della ripresa).
In mancanza di un provvedimento in questo senso, si rischia di procedere in modo incongruente, con aziende che vanno avanti a produrre continuando a essere veicolo di contagio e altre che, pur giustamente, chiudono o riducono l'attività ma scaricano il prezzo perlopiù sui lavoratori e le lavoratrici, in una situazione di totale incertezza, con licenziamenti, consumo delle ore di malattia e dei congedi parentali (con copertura peraltro solo del 30%) e utilizzo arbitrario delle ferie (con il rischio di snaturare l'istituto e non avere più la disponibilità di fermarsi in estate).
Il governo dia finalmente indicazioni chiare e garanzie certe a chi lavora. Non è comprensibile né accettabile che si impedisca la libertà di movimento a tutti ma poi non si abbia il coraggio di imporre le stesse drastiche misure alle imprese e ai servizi non essenziali e non direttamente coinvolti nella gestione della crisi.
Siamo davvero stanchi di ascoltare il lamento di imprenditori e Confindustria, scorsa settimana incredibilmente condiviso anche dalla Cgil, che perdono profitti e pretendono investimenti per le infrastrutture e la produzione perché l'economia del paese non si può fermare.
Davvero, basta! La produzione e i profitti possono attendere. La salute e la sicurezza, evidentemente, no!
#RiconquistiamoTutto!
[tratto da https://sindacatounaltracosa.org]