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La segreteria nazionale della Cgil ha pubblicato oggi un documento, molto ampio, di proposte rispetto al futuro modello di sviluppo: "Dall'emergenza al nuovo modello di sviluppo".

Aldilà di ogni considerazione di merito sui contenuti del documento (alcuni li condividiamo, altri molto meno, altri per niente), ci sembra incredibile che a ridosso di una scadenza come quella di martedì, la posizione che emerge pubblicamente dalla Cgil sia quella di un documento a volo d'uccello che si propone esplicitamente come strumento di confronto con Cisl, Uil e Confindustria.

Non discutiamo se sia utile interrogarsi su cosa ci aspetta da qui ai prossimi anni. Il punto è che il problema che abbiamo oggi è urgente e riguarda non cosa accadrà tra tre anni, ma martedì. Perché anche se Conte ha prorogato il decreto del 22 marzo, non è ancora chiaro cosa succede al rientro da Pasqua. Le spinte da parte della Confindustria sono fortissime e il cosiddetto lockdown (la chiusura di tutte le attività non essenziali) non c'é in realtà mai stato. Perché il DCPM del 22 marzo aveva già maglie troppo larghe, anche dopo la modifica dell'allegato con i codici Ateco. La possibilità di derogare dagli stessi con l'autocertificazione al prefetto ha fatto il resto, determinando nei fatti il proseguimento di tantissime attività, in tutto il paese, persino nelle zone più martoriate dall'emergenza. Ci sono decine di migliaia di imprese, anche non essenziali, che non hanno mai smesso di lavorare e nemmeno di chiedere straordinari o di richiamare i lavoratori dalla malattia. Tanto più nella miriade di aziende degli appalti, artigiane e non sindacalizzate.

Con queste pressioni, da martedì prossimo anche quel poco che si è fermato ripartirà comunque, anche se Conte ha confermato il decreto. Tanto ci sono le autocertificazioni.

E anche nei settori comunque essenziali, il problema è quali sono le condizioni di lavoro e di sicurezza. Su questo, il documento della Cgil richiama ancora al protocollo del 14 marzo con Confindustria, lo stesso che, con tutta evidenza, in queste settimane si è tradotto in una tragica farsa, persino nelle aziende più grandi, dove le sanificazioni sono state fatte, bene che sia andata, con una passata di vetril. Se in tutta la Lombardia non c'è uno straccio di mascherina disponibile, se mancano persino nelle RSA e negli ospedali, pensiamo davvero che sia sufficente invocare il protocollo di Confindustria per farle arrivare nei posti di lavoro? Ammesso che non valga l'interpretazione del presidente Fontana, cioè che basta una sciarpina davanti a naso e bocca.

Allora, l'unica cosa che vorremmo oggi dalla Cgil sono parole d'ordine chiare e forti di mobilitazione. Se la Confindustria non si fa scrupolo di dire "rientriamo al lavoro", la Cgil abbia il coraggio di dire "sciopero generale", contro tutte quelle imprese che, decreto o meno, continuano a lavorare e contro quelle da martedì comunque cercheranno di ripartire.

Altro che proporre elementi di "discussione"! Ora che finalmente anche i media nazionali hanno denunciato le pressioni fatte da Confindustria per non fermare l'economia del paese (denunce che avrebbe dovuto essere la stessa Cgil nazionale a denunciare, già settimane fa, visto che erano sotto gli occhi di tutti).

Non c'è proposta di discussione che tenga con chi ha fatto pressioni perché non si chiudesse la Val Seriana, con quelli che mentre il contagio iniziava a diffondersi in tutta la zona promuoveva #Bergamoisrunning e ha continuato con #YesWeWork, fino al documento vergognoso delle quattro Confindustrie del Nord di due giorni fa. Con gli stessi che rappresentano chi non si è fatto nessuno scrupolo a continuare a lavorare anche quando c'erano già casi di positività nei reparti e che tuttora forza vergognosamente il decreto del 22 marzo per andare avanti a produrre come se niente fosse.

Che poi il documento della Cgil scelga nella grafica il riferimento alla bandiera italiana e, nelle sue prime righe, al ponte, la troviamo una scelta davvero inappropriata, retorica e anche poco fortunata. Anche il riferimento alla barca ci piace poco. Mai come ora dovremmo dire che, no, non stiamo sulla stessa barca! Non quella della Confindustria, che ha vergognosamente fatto di tutto per anteporre i propri profitti alla nostra salute.

#RiconquistiamoTutto

https://sindacatounaltracosa.org