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Volantino distribuito a Torino durante il corteo del Primo Maggio.

Il mondo del food delivery obbliga i lavoratori e le lavoratrici a condizioni di lavoro indegne: la maggior parte delle aziende funzionano a cottimo, alcune garantendo un minimo orario, altre no, altre ancora pagano all'ora ma solo a partire dal momento in cui arriva il primo ordine. La flessibilità di cui le aziende tanto si vantano, insieme ai punteggi di valutazione e alle forme contrattuali, significano in realtà una totale incertezza su quanto guadagneremo ogni mese, l'obbligo di lavorare nelle ore di punta e l'ansia di poter essere licenziati da un giorno all'altro solo con un click. Nel mondo del lavoro di oggi la flessibilità è sinonimo di precarietà.

I contratti, sia di collaborazione continuativa che di collaborazione occasionale, non rispecchiano il reale funzionamento del nostro lavoro: siamo trattati da collaboratori e collaboratrici, quando in realtà i vari meccanismi e algoritmi che regolano le nostre prestazioni ci rendono automaticamente subordinati. Siamo sempre noi ad avere obblighi nei confronti delle aziende, che invece nei nostri confronti non ne hanno mai. Oltretutto per molti e molte colleghe questo inquadramento contrattuale è ulteriormente problematico perché non permette di rinnovare il permesso di soggiorno.

Le coperture assicurative sono pressoché inesistenti: molti dei nostri contratti non sono neanche coperti dall'INAIL e le aziende pur di risparmiare si rivolgono ad assicurazioni private fasulle. Le scarse tutele, l'inesistenza di spese aziendali (i nostri mezzi di produzione, cioè bicicletta o scooter, telefono e connessione internet, sono tutti a spese nostre) e la modalità stessa in cui i contratti sono formulati fanno sì che i rischi ricadano tutti sulle nostre spalle, come ci è stato confermato dalla stessa manager di Glovo quando ha dichiarato che durante i turni vengono messi in strada un surplus di fattorini, così da avere la certezza che ogni ordine verrà concluso.

Mentre le aziende pensano solo a massimizzare il loro guadagno, politici e sindacati confederali stanno dalla loro parte pur di mantenere la loro poltrona, un chiaro esempio è quello di Di Maio che, quando Foodora aveva minacciato di andarsene dall'Italia se fosse stata inserita una clausola rider nel decreto dignità, ha immediatamente ritrattato, mettendo su un tavolo di contrattazione fasullo.

La parabola di Di Maio iniziata con le promesse elettorali, continuata con il tavolo di contrattazione, di cui condivide la responsabilità con aziende, sindacati ed "associazioni", è proseguita negli ultimi mesi: a inizio marzo infatti aveva nuovamente dichiarato che le tutele per la nostra categoria sarebbero state inserite nel decretone, ma nulla di fatto; proprio in questi giorni, a seguito dello sciopero torinese e in vista delle elezioni, ritorna la promessa di normalizzare le tutele per i ciclo fattorini. Ma in che modo? Legittimando con tutele MINIME i contratti di collaborazione che lasciano alle multinazionali del settore un amplissimo potere di controllo, disciplinare e anche la possibilità di fare profitto sulla gestione dei dati.

In questi giorni di campagna elettorale il PD, così come tanti altri partiti, si sono narrati come difensori dei nostri diritti, quando in realtà la miseria del mondo del lavoro è anche responsabilità delle riforme come il Jobs Act. Così come i sindacati che pur di rappresentarsi come vincitori, si siedono a qualunque tavolo, per quanto disgustoso sia, accettando qualsiasi proposta al ribasso, senza neanche rendersi conto che nella nostra categoria lavorativa non rappresentano nessuno, tanto da permettersi di chiamare uno "sciopero" (9 febbraio), rivendicando una contrattazione che non ha nessuna legittimità. Le grandi promesse e dichiarazioni che sono state fatte da politici e sindacati non hanno fatto altro che depotenziare le nostre lotte perché hanno permesso alle aziende di scaricare le loro responsabilità!

Questo 1° Maggio saremo in piazza a fare sentire la nostra voce, siamo stufi di essere da un lato usati per propagande elettorali e dall'altra sfruttati dalle aziende per cui lavoriamo, tanto da non essere neanche riconosciuti come veri e propri lavoratori.

Rider in Lotta Torino


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