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Se ne sente parlare spesso, in questo periodo, e un po' da tutte le organizzazioni sindacali.

Nel numero scorso abbiamo accennato che al CNEL (Consigli dell'Economia e del Lavoro) s'iniziò una discussione sull'art. 39 della Costituzione per realizzarne il contenuto e cioè per dare ai sindacati la cosiddetta "personalità giuridica". Ecco il testo dell'articolo:

"L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la registrazione presso gli uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce".

Al momento attuale sappiamo che una prima parte del dibattito riguardante "il principio dell'applicabilità" dell'articolo è terminato e con esito ad esso favorevole. Ora restano da vedere — sempre al CNEL — "le modalità di applicazione" dopo di che il disegno di legge sindacale passerà al parlamento per l'approvazione.

Come apprendiamo dall'organo della CGIL, Lavoro n. 17-18, la posizione dei sindacati maggiori è stata la seguente: la CGIL a favore dell'applicabilità dell'articolo, la CISL contraria e la UIL tra sì e il no, a seconda di quelle che saranno le norme dell'applicazione. Siccome si parla di maggioranza favorevole, certo la CISNAL, il sindacato fascista di cui — chissà perché — non si parla nel summenzionato settimanale, si sarà pronunciata a favore. E come potrebbe essere diversamente? Non si tratta di fare un glorioso ritorno al mai abbastanza disprezzato defunto regime? Ciononostante — per la CGIL —, il significato della legge è quella di una nuova conquista dei lavoratori sulla via del rafforzamento del cosiddetto potere contrattuale e della unità sindacale.

Gli atteggiamenti sopra esposti non hanno, a dire il vero, nulla di particolarmente nuovo per noi: li conoscevamo da tempo, da anni, perché da anni la CGIL batte il chiodo del riconoscimento giuridico dei sindacati, e quindi dell'attuazione dell'art. 39. Per essa e per il partitone la Costituzione è la magna carta dalla quale si deve partire e alla quale si deve giungere per realizzare la famosa "via italiana al socialismo". A tanto portano — secondo gli ammalati di costituzionite — gli indirizzi economici e politici dettati da quel capolavoro che è la costituzione della nostra repubblica.

Ed ora riportiamoci sul terreno della famosa autonomia sindacale, della libertà dai padroni, dal governo e dai partiti, e vediamo come il bonzismo sindacale — moderno — la intenda. Non c'è dubbio che l'opposizione alla legge espressa dalla CISL è demagogica e di falso classismo. Sappiamo troppo bene cosa significa, per i furbi del bianco fiore, la libertà che essi vedono compromessa con l'acquisizione della personalità giuridica. Su questo giudizio possiamo essere d'accordo con la CGIL. I servizi resi dalla CISL ai padroni sono noti a tutti i lavoratori: non a caso, negli scioperi, spesso la confederazione bianca ha fatto da freno. Delusive, poi, le trattative separate col loro contenuto fatto per prendere in giro.

Ma se ciò è vero, possiamo d'altra parte sposare la tesi della CGIL che il riconoscimento giuridico non solo non intacca l'autonomia dei sindacati ma addirittura raggiunge l'effetto contrario di assicurare loro una maggiore libertà di movimento e un potere più efficiente? Assolutamente NO. Possiamo tutt'al più concederle che certe manovrette della CISL saranno rese più difficili con indiretto vantaggio per la CGIL come organizzazione al servizio di scopi elettorali. Per il resto, siamo certissimi che la CGIL compirà un ulteriore passo sulla strada interclassista e corporativista. Altro che strumento di lotta operaia di classe, rivoluzionaria! Essa prenderà anche formalmente la fisionomia di strumento dello Stato capitalista in difesa dei supremi interessi dell'economia nazionale, ovvero — che è la stessa cosa — della classe borghese e degli odiati — a parole — monopoli.

È elementare che, se dev'essere accertata la rappresentanza unitaria dei sindacati "in proporzione ai loro iscritti", è inevitabile una intromissione dell'autorità statale (fino alla nomina di un commissario) negli affari interni dei sindacati medesimi.

Si soddisfino i cigiellini di fronte alla "soluzione idonea" trovata dal CNEL "in base alla quale le proporzioni di rappresentanza si definiscono su dichiarazioni dei singoli sindacati, e solo in caso di contestazione la soluzione della controversia si affida a una commissione formata dagli stessi sindacati e presieduta da un magistrato". Chi ha letto il testo della costituzione commentato da F. Falzone, sa che queste ed altre obbiezioni del genere sono state sollevate da tutti gli schieramenti politici della Costituente durante la stesura dell'articolo in parola. La contraddizione tra la natura reale dei partiti della ricostruzione nazionale e la loro vernice antifascista si è manifestata chiaramente in quest'articolo, in cui la libertà dei sindacati e la loro personalità giuridica sono un accostamento di realtà per eccellenza antitetiche.

Terminiamo questa penosa storia con un'ultima osservazione: il significato dell'autonomia sindacale per i marxisti non sta in questi fatti superficiali ed esteriori. Esso riceve la propria sostanza dalla azione svolta dai sindacati. Solo quando questa azione, diretta a risolvere problemi immediati e generali, è impostata su basi classiste e per fini rivoluzionari è lecito parlare di "autonomia dei sindacati". In caso contrario, cioè come è avvenuto in questo ultimo dopoguerra, la autonomia significa solo autonomia dai lavoratori e quindi dipendenza dai padroni.

Se oggi i sindacati ambiscono a diventare qualcosa come delle "persone giuridiche di diritto pubblico" in quanto dotate di autentico potere normativo (quello di stipulare contratti con efficacia obbligatoria "erga omnes") per noi ciò costituisce solo il logico sviluppo delle cose che a lungo andare si "confessano". Il formale riconoscimento giuridico è un mezzo per arrivare a questa confessione.

Il programma comunista n°9 del 1960