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Dopo lo "sciopero del Comitato di Base" i sindacati sono in allarme e si pongono decisamente sulla strada del recupero. Il giorno stesso in cui esce il volantino del CUB, il 14 ottobre, c'è l'incontro con il padrone, il quale però non vuol sentir parlare di una revisione della normativa del cottimo e dei ritmi. L'intransigenza padronale su questi punti e la consapevolezza della situazione in fabbrica sono più che sufficienti per provocare la rottura delle trattative e quindi la costituzione dell'unità sindacale, che non esisteva sui contenuti concreti delle rivendicazioni portati alle trattative. La fase di recupero si inaugura con la proclamazione di uno sciopero di 24 ore a partire dalle 22 di lunedì 14 ottobre, nonché con la distribuzione, il giorno seguente, di un volantino che annuncia una serie di scioperi delle due ultime ore di turno, ma anche uno sciopero "a sorpresa" (e si capisce il perché: la fabbrica aveva manifestato la sua opposizione agli scioperi programmati). Il compromesso è trasparente, in quel proporre gli ormai scontati scioperi programmati delle due ultime ore, ma anche lo sciopero a sorpresa, con cui si accetta a metà il principio della lotta improvvisa. Il compromesso, per chi vuole un recupero della lotta in termini puramente sindacali, è anche inevitabile, esistendo in fabbrica ormai un potenziale di consapevolezza politica che non si può ignorare.

Il fatto nuovo, in questa ultima fase, è la massiccia adesione degli impiegati, che il CUB interpreta come l'effetto diretto della rapida politicizzazione derivante dalla qualità della lotta, dell'azione continua dei militanti del CUB, e infine anche dell'intervento della CGIL con un patetico "Appello agli impiegati", che sanciva da solo la pretestuosità della tradizionale linea sindacale, volta a distinguere obiettivi, interessi e azione per operai e impiegati. I limiti del recupero sindacale si rivelano in pieno in occasione dello sciopero "improvviso" che i sindacati proclamano il 22 ottobre e che avrebbe dovuto essere più incisivo per il corteo che era stato chiesto con insistenza dalle assemblee. Ma fin dalla settimana precedente, la data dello sciopero era nota alla direzione, che in circolari "riservate" ne informava i dirigenti, affinché questi potessero regolarsi; in fabbrica corrono le voci più diverse su quella data e i lavoratori sono in gran parte disorientati. Con alcuni giorni di anticipo il percorso del corteo viene concordato con la polizia e la manifestazione riceve regolare autorizzazione. Non si potrebbe far meglio per uno sciopero detto improvviso... Al mattino del 22 ottobre circa 3.000 sono i componenti del corteo, che vien fatto sfilare sotto il grattacielo Pirelli c poi guidato in una grande piazza della periferia, rallegrata da un gentile giardinetto, dove i rimanenti membri del corteo si vedono propinare ben sette comizi successivi, a conclusione dell'"esaltante giornata". Per un momento il disegno dei sindacalisti rischia di andare in malora, quando un gruppo di operai e studenti cerca di deviare il corteo verso il centro, contro gli accordi presi tra sindacati e polizia. L'intervento dei sindacalisti, che vedono turbata la "loro manifestazione" è violentissimo sorprendendo gli operai. È' soltanto un'anticipazione di quello che si vedrà il giorno del corteo del 3 dicembre dopo i fatti di Avola.

Ma i sindacalisti si illudono se credono d'aver la situazione in mano. L'indomani, 23 ottobre, all'imposizione di una nuova tabella di produzione al reparto 8655, i lavoratori si fermano e girano per la fabbrica dando la notizia della nuova provocazione padronale. In breve la fabbrica è ferma, lo sciopero in bianco permette di tenere assemblee all'interno, nel corso delle quali molto si discute delle torme di lotta. È generale la critica allo sciopero programmato delle due ore all'inizio o al termine del turno, perché inefficace. Si fa strada l'idea che occorre radicalizzare la lotta. Le proposte sono diverse: alcuni chiedono lo sciopero a oltranza oppure l'occupazione della fabbrica, altri le fermate improvvise e la ulteriore riduzione dei punti. I sindacati insistono nel chiedere la fiducia nell'azione programmata e organizzata. Nelle assemblee sul marciapiede e in quelle interne il CUB sottopone a critica la proposta dello sciopero a oltranza: sembra infatti un'arma dura, ma è una trappola. Il primo a cedere è l'operaio. Al padrone non mancano i mezzi per resistere. Anche l'occupazione ha dei rischi grossi, nella ,~misura in cui viene usata come strumento di pressione per le trattative; usata a questi fini, infatti, comporta lo svuotamento e l'isolamento. La sua funzione propria è di affermare che la fabbrica appartiene agli operai e non al padrone; dunque, un tatto importante e decisivo, che non può esser bruciato Per giungere al semplice rialzo delle trattative. Perciò è preferibile la riduzione dei punti, che provoca all'operaio un lieve danno economico e uno grosso al padrone, perché porta a una notevole riduzione della produzione. Anche lo sciopero di due sole ore, purché improvviso e tatto dentro la fabbrica, c uno strumento efficace, sia perché danneggia sensibilmente il padrone senza sfiancare la resistenza degli operai, sia perché mette questi in condizione di controllare continuamente l'andamento delle trattative.

Nelle assemblee interne la discussione era vivacissima. Gli attivisti sindacali premevano sulla necessità di seguire i programmi. Nel comunicato distribuito il 24 novembre, contenente la programmazione degli scioperi, i sindacati dicevano infatti: "Lavoratori, non raccogliete provocazioni, respingete i tentativi di portarvi nelle linee diverse da quelle da voi stessi approvate e indicate dai vostri sindacati". I programmi prevedevano fermate di due ore combinate in modo (al termine o all'inizio del turno) da permettere le assemblee operaie fuori della fabbrica, dove era possibile il controllo della discussione e delle decisioni da parte dei sindacati. L'esperienza aveva già mostrato che le decisioni prese nelle discussioni tra operai diventavano confuse o generiche una volta portate nelle sedi sindacali. Per questo i sindacati, all'inizio, si oppongono alle assemblee interne, che lasciano loro soltanto il ruolo di "esecutori", e non più di "gestori".

Il 25 ottobre il padrone emette un comunicato in cui denuncia gli scioperi "svoltisi anche al di fuori delle agitazioni ufficialmente proclamate dai sindacati" e definisce come "violenza di pochi (la fabbrica era ferma, n.d.r.) la decisione degli operai d'impedire qualsiasi attività degli uffici e dei dirigenti". Forse "la violenza dei pochi" allude a~un paio d'episodi: un dirigente, per sfuggire al controllo degli operai, s'era rifugiato nelle docce, da dove era stato t'atto uscire da alcune operaie, in mutande e gocciolante (perché per esser verosimile la doccia se la stava proprio facendo alle 8 di mattina); altri dirigenti, per lo stesso motivo, si erano rinchiusi nella camera oscura, e di lì stanati, per il loro bene, d'altronde, perché potevano anche asfissiarsi. Il procedimento era di far scortare i dirigenti, man mano che uscivano, da un picchetto che li consegnava al picchetto esterno. In una delle consociate, la SAPSA, di fronte all'ostinazione di tutti gli impiegati che non volevano uscire, gli operai decidevano di sbarrare le uscite: "se volete restare, ci resterete finché decideremo diversamente". Finalmente, li lasciavano uscire, per le insistenze dei sindacalisti.

In questa fase l'agitazione è di tre tipi: adesione agli scioperi programmati; fermate improvvise in risposta alle rappresaglie padronali; riduzione dei punti.

Davanti a questa situazione, Pirelli muove i grossi calibri della mediazione e così, in seguito alla " autorevole mediazione del signor prefetto" la direzione comunica che è disposta ad incontrarsi, 1'8 novembre, con i sindacati, purché cessi ogni forma di agitazione in fabbrica. Più volte le assemblee hanno espresso la decisione di non interrompere la lotta durante le trattative. I sindacalisti lo sanno e devono neutralizzare l'ostacolo, che mette in pericolo la possibilità di incontrarsi con il padrone. Allo scopo convocano le assemblee all'uscita dei turni, per discutere la cosa, e nel corso di quella del primo turno giocano tutte le loro carte, tanno parlare gli attivisti, e riescono, aiutati dalla debole presenza di militanti del CUB, a far votare per l'annullamento dello sciopero previsto per l'indomani. Agli operai del normale, a loro volta riuniti, si dà il fatto compiuto, ma le reazioni sono violente, pesantissime le accuse ai sindacati, unanime il rifiuto della tregua. Allora si decide di rimandare la decisione definitiva alle altre due assemblee (secondo turno e notte). Intanto però viene ciclostilato il comunicato in cui i sindacati dichiarano di "soprassedere allo sciopero di due ore già proclamato per venerdì 8 c.m." e danno notizia dell'incontro con la direzione. Le assemblee successive ricevono semplicemente la comunicazione che è sospeso lo sciopero del giorno successivo per dar modo ai sindacati d'incontrarsi ecc. ecc.

L'incontro ha luogo , sulla normatività del cottimo, ma il padrone è rigido e i sindacati rompono le trattative. La fabbrica si ferma immediatamente, nessuno lavora, si riformano i picchetti esterni e il giorno dopo gli operai, invece di fermarsi le due ultime ore, fanno la fermata al mattino, così il ciclo produttivo, aderendo alla proposta già avanzata da operai nelle assemblee. Dopo il fallimento della mediazione del prefetto, all'azienda, per salvare la taccia, non resta che il ricorso alla mediazione del ministro del lavoro, il quale "riesce" a combinare un incontro tra le due parti per lunedì 18 novembre. Ma durante gli incontri con il signor ministro, i sindacati di nuovo ignorano la precisa volontà degli operai, che non si interrompano le agitazioni per le trattative. Questa volta, non volendo di nuovo arrischiare l'assemblea, combineranno un programma di agitazioni che non prevede niente in coincidenza con gli incontri suddetti. La sera stessa del 18 si aprono le trattative. La direzione chiede ai sindacati la piattaforma rivendicativa. Questi si dicono "colti di sorpresa" (...); non hanno piattaforma rivendicativa e l'incontro è rinviato all'indomani. Intanto si fermano prima due reparti, poi, tra le ore 18 e 22, tutto il secondo turno, mentre i sindacati sono spariti. Alla sera i militanti del CUB, che hanno seguito le trattative, si recano alle portinerie per dar notizia del loro andamento. Vivissimo è il malcontento tra gli operai che entrano.

L'indomani la fabbrica è in fermento e impaziente di sapere come vanno le cose; le lungaggini irritano. Nel pomeriggio per decisione autonoma, gli operai si fermano; alle 18 la fabbrica è bloccata. Il turno della notte esce il 20 mattina alle ore 4. Il primo turno e il normale bloccano internamente la fabbrica dalle 7.30 alle 10, occupano la portineria degli impiegati e formano picchetti interni ed esterni. Lo stesso giorno, 20 novembre, la direzione comunica che non intende condurre le trattative con un clima simile e non si presenta all'incontro fissato con i sindacati per le ore 11. La notizia arriva agli operai, che senza esitare fermano tutta la fabbrica tra le 12 e le 13. I sindacati, nell'impossibilità di esercitare il loro controllo, t'anno riunioni su riunioni. Intanto, in vari punti della fabbrica si radunano assemblee, si discutono i termini e i modi della lotta; è ormai impossibile distinguere tra i militanti del CUB e gli altri, che hanno fatto propria la sua linea. È questo il momento di più intenso rapporto politico tra il CUB e la fabbrica.

La frattura tra sindacati e operai è nettissima. Militanti e iscritti della CISL e UIL si rivoltano contro i sindacalisti, che scompaiono dalla circolazione,} vita dura hanno anche certi attivisti della CGIL e del PCI. Nelle assemblee viene duramente denunciata la debolezza dei sindacati, ancora divisi tra loro e ancora intenti nei loro giochi politici di vertice, davanti a quella prova d'unità della classe operaia. Nel tardo pomeriggio, per la forte pressione degli attivisti della CGIL, le acque sembrano calmarsi. Ma ancora il giorno 21 il normale e il primo turno scioperano per due ore, al 100Sc; alcuni reparti del secondo si fermano autonomamente alle ore 16, nel mezzo dell'orario di lavoro. Nella stessa giornata non mancano aspetti comici: gli impiegati di Segnanino, incerti sull'atteggiamento da prendere riguardo agli scioperi, si riuniscono in mensa, dove li trova, inorridito, il direttore: "che fate! non sapete che gli operai sono in lotta anche per l'assemblea in fabbrica, e voi la mettete in atto!". Oppure: il Gazzettino Padano della RAI annuncia quel giorno che la direzione della Pirelli non ha potuto proseguire le trattative perché "il Comitato di Base ha iniziato gli scioperi in fabbrica". Un'altra: mentre già tutta la fabbrica sta uscendo in sciopero non programmato, al reparto 8655 i tre membri del "Comitato di reparto", lanciato in fabbrica da PCI e PSIUP, erano fermi in panchina per discutere se far uscire o no il "proprio" reparto. Riguardo i "comitati di reparto", che si vorrebbero come il punto più avanzato e democratico dell'organizzazione operaia, il giudizio del CUB, sostenuto anche dai fatti, è negativo. Essi sono un fatto organizzativo, che non si forma nella volontà di lotta e stenta ad assimilarne i contenuti. Per la loro stessa struttura, che precede l'unità della base, non arrivano ad esprimerla, al punto, come nel caso visto sopra, da porsi come alternativa alla decisione realmente unitaria, del reparto. Sono, quindi, una forma di burocrazia interna alla fabbrica, che sarebbe solo di freno o ritardo, ricostituendo all'interno una forma di autoritarismo e di controllo. In breve, a giudizio del CUB, i comitati sono una trasposizione in fabbrica delle burocrazie verticistiche. In Pirelli, nonostante gli sforzi dispiegati dal PCI e dal PSIUP, non hanno praticamente seguito.

Dopo un'ennesima rottura tra sindacati e Pirelli (26 novembre), un'altra fase della lotta, che avrà il suo punto focale nello sciopero generale e nel corteo del 3 dicembre, si apre con la programmazione sindacale di una serie di scioperi di due ore (per 27 ore complessive), da realizzarsi dal 27 novembre al 7 dicembre. In questo programma c'è da notare il recupero sindacale delle fermate di due ore durante l'orario di lavoro, per il 1 turno, in coincidenza con lo sciopero delle prime due ore del turno normale. Tentativo di recupero immediatamente ridimensionato dai lavoratori del 1° turno, che decidono di tenere un'assemblea generale dentro la fabbrica, e a questo scopo occupano la mensa impiegati. Arrivata la notizia all'esterno, i lavoratori del normale che si trovano fuori dei cancelli in attesa di terminare le loro due ore di sciopero, decidono di entrare per partecipare all'assemblea, e a nulla valgono i tentativi dei funzionari dei tre sindacati e del PCI, che strombazzano che lo sciopero dei lavoratori del turno normale deve tenersi fuori della fabbrica, cercando così d'impedire l'assemblea generale comune, e in fabbrica, dei lavoratori di due turni diversi. I lavoratori che stanno scioperando fuori della fabbrica entrano e si uniscono in assemblea ai compagni. Gli interventi della C.I. al completo sono massicci, e praticamente impediscono agli operai d'intervenire. Un solo militante del CUB riesce a prendere la parola, e sottolinea soprattutto che l'assemblea, per essere veramente tale, deve dare la possibilità a tutti d'intervenire.

In un volantino distribuito il 2 dicembre dal CUB, i punti più importanti proposti, sono: un rifiuto degli scioperi programmati, e l'attuazione generale della riduzione della produzione, vale a dire il rifiuto dei ritmi imposti dalla direzione. Ancora, si sottolinea il legame tra le lotte della Pirelli e le lotte degli operai in tutta Italia. Dopo questo volantino, ed un solo intervento in assemblea generale, la fabbrica adotta come linea la proposta del CUB, costituendo, al termine dell'assemblea generale, assemblee in quasi tutti i reparti per decidere di quanti punti ridurre la produzione. Con ciò si porta un attacco diretto allo sfruttamento, si ha la decisione autonoma delle forme di lotta e la loro gestione, col rifiuto, o il metterla in secondo piano, della lotta programmata; e contemporaneamente, la lotta rivendicativa assume un carattere superiore ed un taglio più prettamente politico.

Tanto è efficace la decisione presa dagli operai, che immediata ed intimidatoria è la reazione padronale: alle 15,30 viene affisso un manifesto che minaccia tre ore di multa a tutti coloro che riducono la produzione. Gli operai si fermano immediatamente. Mentre i sindacati compiono dei "passi" presso il prefetto per far togliere il manifesto, in fabbrica si tiene l'assemblea generale, in cui si decide di far entrare in fabbrica i sindacalisti per metterli di fronte alle decisioni operaie e farle loro accettare. Ma i dirigenti sindacali rifiutano l'invito. I lavoratori, tenuto fermo che nessuna minaccia di Pirelli li avrebbe fatti desistere dalla decisione di produrre al ritmo da loro stessi deciso, escono dalla fabbrica e bloccano viale Sarca. Si arriva così alla sera, all'ora di entrata del turno di notte. I sindacalisti sono tutti sul marciapiede, ed ai lavoratori che entrano chiedono di attenersi ai programmi sindacali, lavorare cioè fino alle quattro del mattino, scioperare le ultime due ore, e restare per i picchetti, dato che l'indomani era stato programmato da tempo come giorno di sciopero generale e di un corteo. I militanti del CUB sono anche numerosi sul marciapiede, e informano dei fatti avvenuti in giornata, della decisione presa in assemblea di ridurre la produzione in tutta la fabbrica. I sindacalisti non vogliono dare notizia con l'altoparlante dei morti di Avola, gli operai e gli studenti che ne sono a conoscenza lo comunicano agli altri, tanto che infine anche l'altoparlante è costretto a darne notizia (a malincuore, poiché i fatti "non interessano direttamente gli operai Pirelli").

Il turno di notte entra, e la sua decisione è immediata: ridurre la produzione a 100 punti (in luogo dei 450 previsti dal padrone). Ma la rabbia e la tensione sono troppo t'orti i reparti decidono di fermarsi del tutto, e alle 24 nessuno lavora. Si ripetono i cortei, si canta "bandiera rossa", si erigono barr)cate interne alle portinerie, trasportando materiale raccolto nei viali della fabbrica. Dopo tante fatiche, gli operai decidono che hanno bisogno di nutrirsi, e senza chiedere autorizzazioni (d'altronde, a chi avrebbero dovuto rivolgersi, visto che superiori e guardie erano scomparsi dalla circolazione?) vanno in dispensa e si servono senza complimenti. Arriva il momento di uscire per i picchetti, vengono fermati pullman dove degli operai erano saliti per tornarsene a casa, e i compagni li convincono che devono tutti restare per partecipare al corteo. Alle sei del mattino, metà turno della notte si reca al grattacielo e lo circonda per impedire l'ingresso a quanti vi lavorano. Alla luce di due grandi fuochi fronteggiano la polizia, immobile e infreddolita sul marciapiede opposto.

Intanto alla Bicocca c'è grande fermento: in risposta alla lotta dei lavoratori, Pirelli ha operato la serrata. La notizia giunge immediatamente al grattacielo, la rabbia e la durezza dei picchetti aumenta, e inutilmente, verso le otto la polizia tenta di occupare i marciapiedi del grattacielo per liberare gli ingressi, viene respinta coi tizzoni accesi da un numero di operai inferiore della metà ai poliziotti. Verso le nove arriva il corteo dalla Bicocca, numerosissimo, e la coscienza della propria forza e l'entusiasmo sono altissimi tra i lavoratori, che con questa dimostrazione non vogliono assolutamente ripetere la processione del corteo precedente, ma farne un momento culmine della lotta. Non appena il corteo della Bicocca si unisce ai picchetti del grattacielo, al grido unanime di "Assassini!", gli operai entrano in contatto con due plotoni di poliziotti che sono costretti ad abbandonare precipitosamente il marciapiede e a ritirarsi. A questo punto si scatenano i sindacalisti, che trovano il più genuino momento di unità: a braccetto, fanno cordone per difendere i poliziotti, si scagliano contro gli operai e gli studenti che avevano più rabbia in corpo e quindi più decisi a far allontanare la polizia; arrivano a colpire, volano botte tra sindacalisti e operai. Nella realizzazione di questa unità sindacale, si mettono in luce, per buona volontà, soprattutto funzionari CGIL e PCI. Un esponente molto conosciuto del PCI strappa l'Unità con la notizia dell'eccidio, dalle mani di un operaio che l'alzava sulla testa, e come se non bastasse, gli urla come un forsennato: " Provocatore ! " .

Numerosissimi sono gli episodi di questo tipo, e di fronte a simili fatti inevitabilmente si crea disorientamento nella massa degli operai, i funzionari e gli attivisti delle organizzazioni hanno buon gioco e riescono nell'intento di creare fratture tra gli operai, parte dei quali si allontanano dal luogo di scontro tra sindacalisti — polizia — squadra politica, da una parte, e operai e qualche studente dall'altra. Magra soddisfazione dà la cattura di qualche berretto dei P.S., che viene ridotto a brandelli, tranne uno che, salvato da un solerte galoppino sindacale, viene restituito ai poliziotti. Il corteo riprende, con continui appelli dei funzionari dei vari sindacati, che, alternandosi al microfono installato sul furgoncino della UIL, chiedono agli operai di evitare le provocazioni, ed isolare i provocatori (!). Salve di urla e fischi accolgono questi inviti, ma nulla più; i sindacati riescono ad imbrigliare la manifestazione, che tuttavia è imponente, anche per il continuo inserirsi nel corteo di gruppi e cortei studenteschi. A Piazza Duomo, si tengono i comizi e il corteo dovrebbe concludersi, ma si ha un ultimo sussulto di volontà operaia: si decide di recarsi a protestare sotto la RAI, contro la parzialità e la scarsità delle notizie sullo sciopero.I sindacati si guardano bene dall'opporsi, si mettono, anzi, alla testa del corteo, e così davanti alla RAI dopo qualche fischio la manifestazione si scioglie.

Il giorno successivo (4 dicembre) nell'assemblea generale in mensa, contro l'esaltazione t'atta dai membri di commissione interna dell'ordine e della legalità in cui si è svolto il corteo, sono forti le proteste operaie contro i sindacati e il loro comportamento, e, come atto positivo di affermazione della volontà operaia, all'unanimità si decide una ulteriore riduzione della produzione: da 300 a 200 punti. I sindacalisti impazziscono, la direzione fa nuovamente affiggere i manifesti con l'annuncio delle multe.La fabbrica di nuovo si ferma immediatamente, operai ed impiegati si riversano in mensa per l'assemblea. Nella confusione generale metà dei lavoratori decidono di riprendere il lavoro, l'altra metà resta ferma.

Unanime però è il rifiuto del ricatto padronale: "producete a ritmo normale e io toglierò le multe".

La determinazione nel rifiuto di ripristinare la "normalità produttiva" e la "leale collaborazione", caratterizza quest'ultima fase della lotta, in cui i sindacati t'anno la voce grossa col padrone, mantengono gli scioperi programmati di 2 ore e minacciano uno sciopero generale della provincia di Milano in solidarietà con la Pirelli, al solo scopo di giungere ad un rialzo delle trattative. In fabbrica gli operai attendono i risultati degli incontri sindacati-padrone, con la consapevolezza che se anche i termini degli accordi non ci sono, tuttavia, ormai in linea di massima l'accordo c'è. L'attesa per conoscere i contenuti dell'accordo è molto viva, viene registrato un ulteriore punto a favore dei sindacati nel momento in cui questi accettano senza esitare la proposta del padrone di condurre le trattative a delegazioni ristrette. Fino a quel momento, infatti, la presenza e la partecipazione alle trattative di un notevole numero di lavoratori della Pirelli (che quindi controllavano il comportamento delle delegazioni padronali e sindacali) avevano dato molto fastidio sia al padrone che ai sindacati, che si sentivano oggetto di "pressioni".Infine le basi per l'intesa tra sindacati e padroni si precisano e in assemblee tenute in fabbrica — con il permesso del padrone — nei giorni 10 e 11 dicembre, i lavoratori danno mandato ai sindacati di concludere l'accordo sulle basi prospettate.

Ci si rende conto che molte aspettative sono eluse, che le possibilità reali di contestare i ritmi imposti dalla direzione, saranno minime con gli strumenti normativi che l'accordo mette a disposizione dei sindacati. Se la massa degli operai, nelle affrettate assemblee, non ha la possibilità di accorgersi che anche le conquiste salariali sono relative, ciò è ben presente in un buon numero di operai che hanno formato l'avanguardia della lotta. Tuttavia non sembra opportuno spingere alla lotta per il rifiuto dell'accordo, si sente bisogno di una pausa di riflessione, la necessità di un periodo per rinsaldare, nella fabbrica, I'unità reale e la coscienza che la classe operaia della Pirelli ha ritrovate.

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