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Riceviamo e pubblichiamo:

«24 novembre 2013 - Ieri è stata organizzata dai sindacati cobas una manifestazione autorizzata nel centro di Bologna che ha coinvolto un discreto ma non esaltante numero di persone: sotto una pioggia costante e un gelo che sferzava, in un migliaio sono partiti e tornati da Piazza Maggiore. La manifestazione ha raccolto una certa solidarietà concreta e non formale da parte della gente, che si è lentamente unita al corteo strada facendo e raggiungendo in via dei Mille – via Marconi probabilmente 1500-2000 persone.  Si è partiti quasi un’ora dopo le 15, con un dispiegamento di sbirraglia basso in numero, a distanza, e decisamente nervosa. Si è tornati quasi alle 18:30 dopo un percorso di qualche chilometro con passo molto lento e numerose soste, di cui la più lunga è quella "classica" davanti alla Camera del Lavoro e quella altrettanto classica davanti alla Prefettura, con entrambi i palazzi sostanzialmente deserti. Nella piazza sede della Prefettura e della Questura (luogo che i migranti conoscono meglio di tutta Bologna… )  la polizia ha raggiunto alti livelli di nervosismo e isterismo, dispiegando 5 o 6 squadre antisommossa pronte alla carica, effettuando un parziale accerchiamento del corteo, ridottosi a 1000 persone al massimo, che però non si è lasciato impressionare più di tanto. Dopo i discorsi dal camion, si sono fatti da parte e siamo rientrati in Piazza Maggiore, disperdendoci.

Quantitativamente, nulla è cambiato dalla volta scorsa: né il numero (solo leggermente superiore), né la manifestazione (solo leggermente meno "carica"). Ma questo dato è irrilevante, come la manifestazione in se; a differenza delle lotte studentesche che si esprimono quasi esclusivamente negli appuntamenti di piazza, le lotte strettamente proletarie come questa si svolgono nei magazzini, nei picchetti, nelle strade, negli interporti, e solo secondariamente si esprimono in cortei. Dunque queste manifestazioni sono più che lotte vere e proprie, espressioni dello stato del movimento, una specie di loro termometro. Ed è questo che, io credo, ci indichi la portata del salto di qualità che è stato fatto, in così pochi mesi. Anzi, che la realtà gli ha costretto a fare. Ci sono state così tante novità che si rischia di lasciarne da parte qualcuna.

La prima cosa che è saltata agli occhi è stata la morte e la totale decomposizione di ogni gruppetto o partituncolo pseudo-rivoluzionario che ancora si ostina a voler imbrigliare il movimento. Lotta Comunista (almeno a Bologna) è ormai inesistente e, dati i rapporti stretti con la CGIL, è meglio che dai facchini si tengano alla larga. Altri gruppi presenziano ogni corteo nel tentativo di accaparrarsi seguaci, però il movimento reale galoppa e in egual modo la loro emarginazione; se prima provavano un accenno di proselitismo, adesso non possono far altro che importunare la gente per vendere il loro giornale. Tutti i "giornalai" da piazza facevano pena.

Ma quello che conta di più è che gli stessi sindacati sembrano costretti a seguire i facchini, e non il contrario. I COBAS, che inizialmente non erano nemmeno presenti, ora cercano di non lasciare al SI COBAS la logistica in esclusiva. Li hanno fatti anche parlare dal camion, ma era inequivocabile ed esplicito che chi sta alla testa è il SI COBAS, che ha organizzato tra l'altro la manifestazione.

I facchini sanno che, anche se la loro lotta ha molta visibilità, possono contare concretamente solo sulle loro forze; sono perfettamente consapevoli che l'unione e la messa in rete delle lotte operaie è ancora solo in stato ultra-embrionale. Dunque, da una parte non possono altro che lottare per migliori condizioni di lavoro (in particolare per difendersi dal licenziamento e dalle angherie varie), e in questo non si può "rimproverare" il SI COBAS di essere troppo settoriale; dall'altro è evidente che la crisi del sistema impone ai padroni di usare solo il bastone e che non c'è più nessuna carota da distribuire. Di conseguenza ormai quasi più nessuno crede davvero alla possibilità di fare "rivendicazioni", visto che nessuno crede più alle parole e agli accordi padronali (si veda lo stesso accordo in Prefettura per il reintegro dei facchini licenziati, riguardo il quale dal camion più di una volta si è urlato che non interessano le loro promesse perché "la parole dei padroni e delle loro istituzioni non vale un cazzo!"), e si lotta praticamente solo per lottare e vendere cara la pelle. Per ora, credo che questa sia la nuova aria che tira e tirerà sempre di più, rappresentando un passo avanti (con la conseguente morte del sindacato borghese non per essere stato giustiziato dal proletariato, ma semplicemente per inedia, per impossibilità a fare alcunché). L'azione del movimento e dei suoi "rappresentanti" è sempre determinata da quello che materialmente si può fare e che la società costringe gli uomini a fare.

Gli operai della logistica sono tutti immigrati e, inizialmente, la componente etnica era forse il collante principale della lotta. Nella scorsa manifestazione, pur carichissima di energia e di rabbia, era sempre presente una componente festosa, forse perché scoprivano per le prime volte la gioia di stare insieme ad altri compagni. Ieri, dopo un anno di botte, licenziamenti, picchetti, denunce, minacce, la pazienza si è sicuramente molto ridotta e la festa ha lasciato il posto a una rabbia molto seriosa. Non sono stato a Genova con i tranvieri, ma non mi stupirei se il clima fosse lo stesso identico.

La CGIL è tra i nemici dichiarati numero uno dei facchini, senza dubbio. La sua complicità con la mafia delle cooperative "rosse" o non rosse è chiara a chiunque, i suoi gonzi non possono farsi vedere tra i facchini. L'unica cosa che possono fare, e fanno, è chiudere portoni e finestre quando il corteo giunge sotto le sue sedi. E la cosa più significativa è la paura che mostrano, perché i cortei dei facchini non sono mai stati violenti; cioè, questi venduti nemmeno riescono a sopportare delle urla e degli insulti.

È avvenuta senza dubbio una certa maturità non tanto nel movimento in se, ma proprio nei facchini personalmente. La volta scorsa si urlava dai megafoni di "dignità" e di "diritti"; ieri quelle parole continuavano a trovare spazio, ma giusto perché ormai fanno parte della "tradizione" dei facchini di estrazione araba. Ieri si urlava continuamente contro lo sfruttamento e il capitalismo in quanto sistema. Va bene, in tanti lo dicono e si dicono anticapitalisti; ma quando ciò avviene in un contesto del genere, con gente che non ha tempo da perdere in "assemblee anticapitaliste" e stronzate varie, vuol dire che in qualche modo questo è condiviso, o almeno accettato apertamente dagli operai stessi. Quando parole coraggiose come "guerra contro i padroni e il loro sistema" vengono ripetute circa 50 volte in una manifestazione prettamente operaia e proletaria, mentre prima il massimo che si vedeva era un solitario nostalgico sessantottino con la foto di Marx, è segnale che qualcosa è cambiato. I facchini, anche per le difficoltà di natura linguistica, faticano a comprendere lunghi discorsi complessi che a volte uscivano da quel megafono; però mi sembra che ormai la lotta sia inquadrata in ottica classista in maniera irreversibile. Forse non comprendono appieno discorsi sul plusvalore, ecc, ma che il loro nemico è il padrone e le sue istituzioni, è fuor di dubbio. Loro e la loro lotta, a mio avviso, sono più avanti dei confini angusti entro i quali sono costretti. Non lo ammettono tutti e forse non tutti lo capiscono, ma io ho avuto l'impressione che dentro di loro sanno che la lotta non può essere che totale, cioè all'ultimo sangue: finche padroni e loro istituzioni esisteranno, gli operai saranno schiavi. Questi discorsi anticapitalistici li facevano non solo alcuni italiani, ma anche e soprattutto i facchini sindacalisti immigrati.

Di sicuro quelli che si lamentavano delle ingenue parole d'ordine dei cortei degli scorsi anni, ieri non avrebbe potuto dire niente. Purtroppo non dispongo di una registrazione per dimostrarvi il valore di quelle parole, che neanche un po' può trasparire dal mio resoconto. Ad un certo punto, in via Indipendenza, uno ha preso la parola e ha parlato come ingenuamente forse potremmo aspettare che potesse parlare uno degli schiavi di Spartaco. Parole così sincere e condivise che nel corteo è calato un certo silenzio: parlare della sofferenza della vita senza senso che i proletari condividono è spesso un semplice piagnisteo, ma in determinate occasione si trasforma in una sciabola capace di polarizzare e focalizzare quegli schiavi. Forse, pensandoci, non sono l'unico a cui è venuta un po' di commozione. Purtroppo non riesco a spiegarlo a parole, ma è stato emozionante, almeno per me. Ripeto, in un certo verso sembrava che fosse quasi uno Spartaco a parlare: nessun intellettualismo, solo pura forza di classe.

Più volte i facchini hanno ribadito che la Prefettura può mettersi le sue denuncie su per il culo, tanto senza un lavoro il permesso di soggiorno non glielo danno comunque. Tanto vale, allora, fare male al padrone. La lungimiranza della borghesia e dei suoi lacchè è in questo caso paradigmatica; solo un vero coglione può minacciare di togliere il permesso di soggiorno a chi, di fatto, sta per perderlo comunque. La borghesia crede di essere molto forte e furba, ma togliendo ai proletari ogni possibile alternativa per restare in pace, otterrà per forza di cosa la guerra totale.

Davanti alla prefettura hanno strappato i permessi di soggiorno e li hanno tirati contro il portone. La polizia mi è apparsa molto nervosa, forse avevano voglia di menar un po' le mani contro quei luridi negri che osavano rompere i coglioni. Mi immagino già i discorsi: "vengono in Italia a rubare il lavoro, che cazzo vogliono ancora?", "nei loro paesi li avrebbero già impiccati", "dovremmo mettere le mitragliatrici nelle frontiere", ecc. Non so se erano semplicemente fessi o se volevano provocare schierando così tanti uomini e accerchiando parzialmente la piazza (almeno 3 uscite su 5 sbarrate, più una squadra pronta ad attaccare nel fianco), ma è evidente che non hanno capito con chi hanno a che fare: sono operai senza niente da perdere, non studenti. Mi ha fatto piacere che non abbiano potuto muoversi: dopo essersi preparati e gasati come cavalli, gli è toccato poi svestirsi e ingoiarsi i loro succhi gastrici, anche se non sarà certo l'ulcera a fermarli.

Questo è quello che di principale io ho colto dalla giornata di ieri. E' presente nei facchini una certa stanchezza, ma la rabbia non è diminuita. Hanno però un disperato bisogno di integrarsi con altre lotte radicali, come quella dei tranvieri genovesi. In generale, riflettono perfettamente lo stato degli strati più poveri e precari del proletariato, niente più e niente meno. Solo che loro sono venuti allo scoperto.

Questo ulteriore passaggio di integrazione con le altre lotte non sarà frutto della volontà umana, ma delle condizioni reali che permettono e nello stesso tempo spingono verso questa direzione.»


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