Lavoratori stressati e frustrati da ritmi frenetici e bassi salari incrociano le braccia a tempo indeterminato, tra reti, social e hashtag
Dai primi mille lavoratori in sessantacinque negozi di quaranta città, il blocco delle macchine del caffè ha coinvolto decine di altri punti vendita di Starbucks, dall'Atlantico alla California, diventando lo sciopero più lungo nella storia dell'azienda, a quattro anni dalla sindacalizzazione dei primi baristi a New York.
Una settimana dopo il tradizionale Red Cup Day del 13 novembre scorso - il giorno più redditizio per l'azienda e proprio per questo scelto dai baristi come data per iniziare le proteste - lo sciopero si è esteso a sessantacinque città, novantacinque punti vendita e duemila lavoratori. Inoltre centinaia di persone hanno bloccato il più grande centro di distribuzione Starbucks del paese, impedendo le consegne ai negozi in tutto il nord-est degli Stati Uniti.
I baristi di Starbucks minacciano lo sciopero a tempo indeterminato, ma come sempre dietro la rivendicazione si nasconde un disagio più profondo
Il prossimo 13 novembre, in coincidenza con il tradizionale "Red Cup Day", migliaia di baristi di Starbucks si preparano alla mobilitazione. Il sindacato Starbucks Workers United (SBWU) ha reso noto che il 92% dei suoi iscritti ha votato a favore dello sciopero, chiedendo il primo contratto collettivo nazionale che garantisca salari più alti, orari stabili e migliori condizioni di lavoro.
Non è la prima volta che il "Red Cup Day" diventa un simbolo di protesta: già tre anni fa, circa duemila dipendenti di oltre cento negozi, distribuiti in venticinque Stati americani, avevano scelto proprio questa giornata – una delle più intense e redditizie per l'azienda – per far sentire la propria voce. Starbucks ha circa diecimila negozi in Nord America, di cui circa cinquecento sono sotto accordo sindacale con SBWU, che rappresenta oltre novemila baristi su duecentomila dell'azienda e ha presentato più di mille denunce per presunte "pratiche lavorative sleali" da parte di Starbucks al National Labor Relations Board. Lo Starbucks Workers United, come già accaduto ai sindacati Unite nello sciopero dei dipendenti di McDonald's e Teamsters per quelli di Amazon, rafforza la presenza in un contesto di crescente agitazione operaia, ma oltre la richiesta di un "contratto giusto" i lavoratori incrociano le braccia perché non ne possono più di ritmi che gli rovinano la vita.
Manifestazione di massa negli Stati Uniti sull'onda di una polarizzazione economica, sociale e politica crescente.
Il 14 Giugno i numeri erano già rilevanti: in oltre duemila città statunitensi, in migliaia sono scesi in strada con lo slogan "No Kings". Le piazze più calde sono state Chicago e Seattle con oltre settantamila manifestanti, ma anche San Francisco, New York, Washington D.C., Phoenix e Portland hanno registrato decine di migliaia di partecipanti.
Il 18 Ottobre i numeri sono cresciuti: manifestazioni in oltre 2700 località, con picchi di 350.000 presenze a New York, 250.000 a Chicago, 200.000 a Washington D.C. e 100.000 a San Francisco, per un totale di circa sette milioni di persone, ossia la protesta più partecipata nella storia degli Stati Uniti.
Le cause profonde delle manifestazioni contro le misure "autoritarie" attuate dal governo Trump sono la miseria e il disagio crescenti. Milioni di americani sono messi con le spalle al muro, costretti a scegliere se acquistare cibo o pagare l'affitto, ma immersi in un network sociale che favorisce la rapida diffusione di informazioni e la formazione di hub coordinati.
di FELICE MOMETTI
Il centro logistico di Amazon a Staten Island comprende quattro magazzini che occupano più di diecimila lavoratrici e lavoratori, in grande maggioranza afroamericani e latini. A Staten Island si trova il centro nevralgico dal quale dipendono una cinquantina di magazzini di smistamento che consegnano nel più breve tempo possibile i 2.400.000 pacchi giornalieri nell'area metropolitana di New York. Ed è al JFK8 di Staten Island, magazzino con 8.300 dipendenti, che dal 25 al 30 marzo lavoratrici e lavoratori hanno votato, in una grande tenda nel parcheggio del centro logistico, per farsi rappresentare dall'Amazon Labor Union (ALU). Un sindacato nato nell'aprile dello scorso anno – non affiliato alle grandi confermazioni nazionali ‒ su iniziativa di alcuni lavoratori e lavoratrici che nel marzo 2020, durante la prima ondata della pandemia, avevano organizzato delle proteste per una maggiore sicurezza e la salvaguardia della salute. Dopo 27 anni, cioè da quando Amazon esiste, per la prima volta la creatura di Jeff Bezos viene sconfitta in un'elezione sindacale. La portata politica e simbolica della vittoria sindacale è accresciuta dalle dimensioni che ha avuto: 2.654 voti a favore del sindacato e 2.231 contrari.
Sebbene l'attuale numero degli scioperi sia limitato in confronto a quello degli anni '40, quando negli Stati Uniti incrociava le braccia in media un lavoratore su dieci in un anno, il numero di lavoratori in sciopero nel paese è il più alto dagli anni '80.
I salariati americani stanno mostrando i muscoli per la prima volta da molti decenni e si potrebbe dire che, anche se non lo hanno dichiarato apertamente, nei fatti hanno dato vita a uno sciopero generale nazionale per ottenere salari e condizioni di lavoro migliori. Durante la pandemia milioni di lavoratori sono stati chiamati a fare enormi sacrifici, ora cominciano a chiedere il conto.
"An injury to one is an injury to all" (un torto fatto a uno è un torto fatto a tutti).
Comincia con il classico e sempre valido slogan degli Industrial Workers of the World (IWW) la storia dei lavoratori del nuovo centro di distribuzione Amazon di Bessemer, un sobborgo del comune di Birmingham nello Stato dell'Alabama, dove da mesi alcuni dipendenti stanno provando ad organizzarsi per costituire un sindacato in azienda. Se ce la faranno, sarà la prima volta per Amazon negli Stati Uniti.
Prove di coordinamento internazionale tra lavoratori al tempo del capitalismo delle piattaforme
Il nuovo anno si è aperto con l'annuncio della fondazione di un sindacato un po' particolare da parte di circa duecento lavoratori del settore informatico statunitense. Ne dà notizia il New York Times in un articolo del 4 gennaio intitolato "Hundreds of Google Employees Unionize, Culminating Years of Activism".
Alphabet Workers Union (AWU) è l'organizzazione sorta nel cuore del gigante dei servizi online Google ad opera di un gruppo di dipendenti che ha compreso l'importanza dell'unione dei lavoratori per migliorare le condizioni di lavoro in azienda. La nascita di questo sindacato atipico ha fatto discutere in tutto il mondo, sia perché la sindacalizzazione nel settore registra quote esigue, sia perché Google è sempre riuscita a boicottarne l'espansione attraverso i licenziamenti mirati e una scrupolosa attività di sorveglianza dei dipendenti.
Le condizioni di vita e di lavoro dei salariati americani sono in continuo peggioramento, anche a causa della pandemia. A ciò si assomma la violenza di un sistema che risponde esclusivamente agli interessi dell'1%.
I conducenti di autobus di New York e Minneapolis si sono schierati dalla parte della propria classe rifiutandosi di trasportare i manifestanti arrestati dalla polizia durante i cortei in risposta all'assassinio di George Floyd lo scorso 25 maggio, morto per soffocamento durante un fermo della polizia a Minneapolis. Il TWU Local 100, che rappresenta gli impiegati del trasporto pubblico nella Metropolitan Transportation Authority di New York City, ha affermato che i suoi membri non lavorano per il dipartimento della polizia di NY e che perciò non vogliono farsi strumento della repressione statale. I video degli autisti che suonano il clacson in supporto ai manifestanti in strada hanno fatto il giro dei social network.
In un contesto di miseria assoluta crescente, dovuto anche alla pandemia, sono sempre meno accettabili le paghe da fame, e le violenze verbali e fisiche attuate rispettivamente da datori di lavoro e polizia. I senza riserve scendono in piazza contro il sistema dell'1%.
Lo sciopero al McDonald's di Oakland tra la 45ema strada e la Telegraph Avenue, cominciato martedì 26 maggio e proseguito anche il giorno seguente, arriva giusto una settimana dopo la protesta dei lavoratori della multinazionale del panino (#ProtectAllWorkers) in 20 città degli Stati Uniti contro quella che hanno definito la risposta fallimentare dell'azienda per la tutela dei dipendenti dalla pandemia.
Lunedì 30 marzo decine di lavoratori di Instacart, società che si occupa del servizio di consegna di generi alimentari presente in oltre 5.500 città degli Stati Uniti, hanno scioperato chiedendo aumenti salariali e misure di sicurezza per evitare il contagio da Coronavirus. A partire dalla stessa giornata, anche i dipendenti di Amazon sono entrati in agitazione, scioperando in diversi hub logistici del paese.
Una cinquantina di lavoratori hanno bloccato il magazzino di Staten Island, a New York, dove un dipendente è risultato positivo al Covid-19. Durante la protesta uno degli organizzatori, Chris Smalls, è stato licenziato; la notizia ha fatto il giro del paese ed è stata ripresa anche da alcuni media mainstream. In sciopero anche i lavoratori Amazon di Chicago, che hanno chiesto che le strutture produttive vengano chiuse e sanificate, e che gli addetti lasciati a casa siano pagati.