Logo Chicago86

Proteste a LimaLa guerra d'oggi non è solo quella che si combatte tra stati, ma anche quella che gli stati combattono contro la propria popolazione quando essa si ribella.

In Sri Lanka movimenti di piazza, culminati in un assedio al palazzo del potere a Colombo, si sono scagliati contro l'aumento vertiginoso dei prezzi dei beni di prima necessità, causato principalmente dalle sanzioni contro la Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina. Il presidente Gotabaya Rajapaksa ha risposto alle mobilitazioni con il coprifuoco e la censura (blocco dei social network). Nel paese, ormai prossimo al fallimento, tutto scarseggia, dal cibo al gasolio ai farmaci. Anche preti e suore sono scesi in piazza, ma per fare opera di pompieraggio sociale.

Quello dello stato srilankese non è un caso isolato. Da più di dieci giorni in Perù si susseguono manifestazioni, blocchi stradali, saccheggi nei supermercati e scontri con la polizia. La situazione sociale, già critica da tempo anche a causa del Covid (che ha determinato intoppi nella catena di approvvigionamento), è peggiorata drasticamente nelle ultime settimane per effetto della guerra in Ucraina. Ad aumentare sono i costi di cibo, fertilizzanti e carburante. I sindacati degli agricoltori e dei trasportatori, le categorie più colpite dai rincari, sono sul piede di guerra ma oramai quasi tutti i settori sociali sono in agitazione. Cinque i morti tra i manifestanti, tra cui un minorenne, decine i feriti. Il presidente peruviano, Pedro Castillo, da una parte usa la carota, promettendo di calmierare i prezzi e aumentare i salari, dall'altra brandisce il bastone, tanto che lunedì scorso ha annunciato un coprifuoco di almeno due giorni nella capitale: "Il Consiglio dei ministri, in conformità con la Costituzione, ha decretato lo stato di emergenza. Il quale, sospende i diritti costituzionali relativi alla libertà e alla sicurezza personale, all'inviolabilità del domicilio e alla libertà di riunione e di transito nella provincia di Lima e Callao".

Il martedì seguente, incuranti del coprifuoco, centinaia di manifestanti hanno sfidato il governo e la polizia, e sono scesi in piazza a Lima chiedendo le dimissioni del presidente. La misura restrittiva ha destato le proteste dell'opposizione, dei sindacati e anche dell'episcopato peruviano, ed è stata sospesa dal capo dello Stato intorno alle 17.00 dello stesso giorno, in anticipo sui tempi.

Tra le classi dominanti c'è forte preoccupazione per quello che sta succedendo nelle piazze globali. Qualche giorno fa l'ONU ha lanciato l'allarme: l'aumento dei prezzi di grano e fertilizzanti rischia di causare una crisi alimentare mondiale. Gli stati in bilico sono Libano, Pakistan, Libia, Tunisia, Yemen e Marocco, i quali dipendono dalle importazioni ucraine per nutrire le popolazioni. Ma un po' tutti i paesi risentono dei contraccolpi dovuti alla guerra e alla situazione di incertezza che si è determinata a livello internazionale. La FAO ha stimato che fino a 13 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero essere spinte alla fame dal conflitto in corso.

Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra operai, tra proletari dello stesso paese e tra proletari di paesi diversi. La lotta della classe lavoratrice per migliorare le proprie condizioni di esistenza si svolge ogni giorno, senza sosta, ai quattro angoli del mondo, cercando di contrappore l'associazione alla concorrenza. Ma c'è un'altra sciagura per i proletari, che è addirittura peggiore della schiavitù salariata, ed una diretta conseguenza del modo di produzione capitalistico: la guerra.

Sia essa di conquista oppure di difesa, non apporta al proletariato di qualunque nazione nessun miglioramento di sorta. Lo avevano chiaro i giovani socialisti di inizio secolo (come dimostra il volantino che abbiamo pubblicato), che indicavano il nemico non nel proletariato di un'altra nazione, ma nella propria borghesia. La guerra è il frutto di interessi capitalistici contrapposti, serve per giustificare l'enorme sperpero di risorse per la produzione e l'acquisto di armi ma, soprattutto, serve per tenere avvinta tutta la classe proletaria al presente ordine sociale.

La storia ci insegna che essa dev'essere bloccata al suo scatto: se invece passa, per un lungo periodo di tempo qualsiasi ipotesi di rivolgimento sociale viene meno.