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Sciopero alla ExxonMobilChe ci troviamo di fronte ad un autunno caldo ormai lo dicono anche i giornali borghesi, preoccupati dall'impennata dell'inflazione e dalla recessione in arrivo. Per il prossimo anno in Italia, se tutto va bene, è attesa una contrazione del Pil dello 0,2%.

A complicare una crisi economica dalle origini lontane ci hanno pensato la guerra in Ucraina e gli effetti delle sanzioni occidentali contro la Russia. L'abbiamo già detto ma forse è bene ripeterlo: la lotta per migliorare le condizioni di vita dei salariati va di pari passo con la lotta contro la guerra, l'una è inefficace senza l'altra. E non si tratta di farsi paladini di un impotente pacifismo, ma semmai di farsi megafono di un programma anticapitalista. Nel frattempo, le contraddizioni aumentano e i senza riserve cominciano ad entrare spontaneamente in agitazione.

D'altronde, la prima mossa la fanno gli operai perché subiscono sulla loro pelle il drastico peggioramento delle condizioni di vita. I capitalisti hanno cospicue riserve, non faticano a pagare le bollette, non faticano a pagare l'affitto; e hanno la facoltà di "dare", ma lo fanno solo se qualcuno "chiede", provocando problemi di ordine sociale, bloccando la produzione e la circolazione delle merci.

È quanto sta succedendo da più di due settimane in Francia, dove i lavoratori dei depositi Total Energies e Esso-ExxonMobil sono in sciopero per chiedere un aumento salariale del 10% per il 2022. Il fermo ha comportato la mancanza di carburante per il 30% delle stazioni di servizio. Esso France ha raggiunto un accordo con i sindacati Cfe-Cgc e Cfdt che prevede un incremento delle paghe intorno al 6% nel 2023; ma la Cgt non ha firmato l'intesa e i suoi iscritti continuano a bloccare le raffinerie. La prima organizzazione sindacale di Francia ha respinto anche le aperture di Total, e lo scorso 12 ottobre il sindacato Force Ouvrière (FO) si è unito allo sciopero contro la compagnia petrolifera francese. Di fronte al muro contro muro tra sindacato e padronato, il governo ha deciso di intervenire annunciando, per bocca della prima ministra Élisabeth Borne, la precettazione dei lavoratori dei depositi ExxonMobil. Per tutta risposta Philippe Martinez, leader della Cgt, ha dichiarato che la sua organizzazione lavorerà a una "generalizzazione" dello sciopero. Non bisogna farsi impressionare da queste roboanti dichiarazioni, perché sempre di bonzi sindacali si tratta, ma i salariati potrebbero prenderle sul serio e metterle in pratica. È un'eventualità da tenere in considerazione, e infatti i sindacati si muovono preventivamente per cavalcare la lotta: Cgt, FO, Solidaires e Fsu hanno indetto per martedì prossimo una giornata di sciopero e manifestazioni intercategoriali, i lavoratori sono chiamati a manifestare per "il salario e la difesa del diritto di sciopero".

Intanto, hanno incrociato le braccia anche i lavoratori delle centrali nucleari e vari gruppi e partiti di sinistra hanno annunciata per il prossimo 16 ottobre una "grande marcia contro il caro vita e l'inazione climatica" a Parigi, alla quale hanno dato la loro adesione anche settori del sindacato e del mondo studentesco. In ballo c'è la riforma delle pensioni: l'esecutivo intende innalzare progressivamente l'età pensionistica di quattro mesi all'anno, arrivando a 65 anni nel 2031 contro i 62 attuali. La proposta ha suscitato l'opposizione dei sindacati, ma non solo.

È altrettanto significativo quanto sta succedendo in Iran dove, sull'onda delle proteste studentesche per la morte della giovane Mahsa Amini, uccisa dopo l'arresto perché non indossava correttamente il velo, sono scesi in lotta anche gli operai delle raffinerie ad Asaluyeh, nel sud-ovest, ad Abadan, nell'Ovest, e a Kengan, nel Sud. L'Iran è un paese capitalistico ma ha una sovrastruttura politica semi-medievale, e questa è una contraddizione di non poco conto. La rivolta nelle piazze e nelle scuole si è presto diffusa in tutte le province del paese e la repressione non si è fatta attendere, causando decine e decine di morti e migliaia di arresti. In risposta, ci sono stati attacchi a colpi di molotov a caserme e stazioni di polizia. Da anni in Iran si susseguono ondate di sollevazione popolare a testimonianza di una situazione generalizzata di malessere sociale, ma questa volta sembra che il livello di tensione stia superando la soglia di guardia. Secondo un documento datato 23 settembre, il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran ordina di "affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari".

Il malcontento è alimentato dalla crisi economica: in Iran la disoccupazione giovanile e la miseria sono aumentate vertiginosamente, e la classe media ha ampiamente consumato la ricchezza che aveva ereditato. Le motivazioni che spingono milioni di persone a scendere in strada possono essere di vario tipo, ma alla base della lotta premono forze sociali che non lottano semplicemente per i "diritti" e che potrebbero imprimere al tutto un indirizzo anticapitalista. Serpeggiano infatti appelli per uno sciopero generale.

I segnali di un autunno caldo sono nell'aria, negli Stati Uniti come in Inghilterra, in Medio Oriente come in Sud America. Tra aumento della disoccupazione, povertà dilagante e generalizzazione della guerra, i motivi per scendere in piazza abbondano, e ben vengano dunque le manifestazioni contro il carovita purché guidate dai diretti interessanti, e purché vengano allontanati dai cortei e dalle assemblee i portatori di indirizzi sociali conservatori (difesa del CCNL, della democrazia, della Costituzione, ecc.), e soprattutto chi si camuffa da amico dei lavoratori.