Da metà gennaio milioni di persone sono scese in piazza in tutta la Francia contro il progetto di riforma delle pensioni. È lo Stato ad aver vinto questo braccio di ferro? Può essere, ma vincere una battaglia non significa vincere la guerra. All'orizzonte non ci sono nuovi boom economici e nemmeno ricette economiche salvifiche per il capitalismo. Scioperi e rivolte si moltiplicheranno, come sta dimostrando la recente sollevazione della banlieue in seguito all'ennesimo omicidio per mano della polizia.
La riforma delle pensioni, che alza l'età pensionabile da 62 a 64 anni e aumenta di un anno il periodo di versamento dei contributi, è infine diventata legge. Avversata da una mobilitazione generale durata mesi, che ha visto picchetti, manifestazioni, scioperi e il blocco di trasporti, attività educative, produzione industriale e commercio, è stata fortemente voluta dal presidente Macron per "riportare il sistema previdenziale in equilibrio". Il progetto era già stato presentato nel 2019, ma era naufragato sull'onda di potenti mobilitazioni operaie. Riproposto recentemente, ha scatenato nuovamente e con maggiore intensità la rabbia sociale.
Sin dalle prime manifestazioni la polizia ha reagito con estrema durezza causando centinaia di feriti, alcuni molto gravi. Su Twitter è diventato virale l'hashtag #ViolencesPolicieres su decine e decine di foto e video che mostravano le manganellate contro i manifestanti. Quest'ultimi non sono però rimasti con le mani in mano: solo nella giornata del Primo Maggio, che secondo la CGT ha visto la partecipazione di oltre 500.000 persone a Parigi e 2,3 milioni in tutta la Francia, 400 poliziotti hanno dovuto ricorrere a cure mediche.
Nel mese di febbraio, alcuni tecnici delle principali società francesi di distribuzione di gas ed elettricità hanno iniziato a manomettere i contatori per far risultare i consumi, e dunque i costi, dimezzati; inoltre, hanno ripristinato la fornitura di energia a chi non l'aveva più a causa del mancato pagamento delle bollette arretrate. I media hanno definito questa forma di protesta contro il carovita "azione Robin Hood". In una delle giornate di lotta più importanti, il 7 marzo, si sono tenute manifestazioni in 250 città francesi e a Parigi sono scese in piazza oltre 700.000 persone. Si è trattato della sesta grande giornata di sciopero dall'inizio dell'anno, motivo per cui il leader del sindacato CFDT ha affermato che è in corso una "mobilitazione storica". Nello stesso mese, che ha contato in tutto cinque giornate nazionali di sciopero e manifestazione, la capitale è stata sommersa per giorni dai rifiuti, con oltre 5mila tonnellate di immondizia accumulate per le strade, in seguito allo sciopero dei netturbini e dei lavoratori degli inceneritori.
La lotta contro la riforma delle pensioni, sostenuta praticamente da tutti i sindacati che hanno costituito fin dall'inizio un gruppo intersindacale nazionale (composto da CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires e FSU), è diventata rapidamente qualcos'altro rispetto alla classica mobilitazione per i "diritti" coinvolgendo le nuove generazioni che, sempre più precarie se non addirittura definitivamente fuori dal mercato del lavoro, non avranno mai a che fare con questo istituto. Sui social network scorrevano a decine foto di cartelli e striscioni con slogan contro il lavoro e per la difesa del tempo di vita. A quanto pare, il fenomeno americano "Anti-Work" è approdato nel Vecchio Continente.
Oltre al coordinamento delle centrali sindacali, fin dalle prime manifestazioni sono sorti in tutto il paese comitati spontanei d'azione facenti capo ad una "Rete per lo sciopero generale": centinaia di lavoratori di diversi comparti (raffinerie, acciaierie, scuole, ecc.) hanno sentito la necessità di coordinarsi dal basso per superare le divisioni legate al luogo di lavoro o al sindacato d'appartenenza. Il movimento è andato oltre il piano della contestazione e gli scioperi si sono presto configurati come uno scontro diretto con la classe nemica e i suoi apparati.
Negli ultimi anni la Francia è stata interessata da diverse mobilitazioni, ricordiamo le più significative. Nel 2005 c'è stata l'esplosione della banlieue, un grosso problema per le forze dell'ordine ma anche per le schiere di politici e sociologi, che faticavano a capirci qualcosa dato che i banlieusards non avevano rivendicazioni da avanzare e, soprattutto, aborrivano l'integrazione nello Stato, obiettivo a cui invece aspira ogni riformista. Nel 2006 è stata la volta delle manifestazioni contro il CPE (contratto di primo impiego), durante le quali si sono visti grandi numeri nonostante le motivazioni fossero tutto sommato secondarie (come con l'articolo 18 in Italia). Una decina di anni dopo, nel 2016, la Loi Travail di Valls e Hollande, che prevedeva di elevare il limite di lavoro a 46 ore settimanali e a 12 giornaliere, ha portato alla nascita di Nuit Début e all'occupazione delle piazze accompagnata dalla rivendicazione di democrazia partecipativa. Nel 2018, in seguito all'aumento del prezzo dei carburanti, il movimento ibrido dei Gilet Jaunes per parecchi mesi ha occupato strade, rotatorie e piazze, scontrandosi duramente con la polizia e adottando una modalità di azione che rompeva con gli schemi del passato e superava lo scenario sindacale standard: i blocchi e i cortei dei manifestanti si estendevano sul territorio e si prolungavano nel tempo.
Per quanto riguarda la lotta contro la riforma delle pensioni, il movimento è finito in un angolo ed è stato attaccato duramente dallo Stato. L'aumento dell'età pensionabile è ora legge, la richiesta di referendum è stata respinta, i tentativi legali di bloccare il controverso provvedimento sono tutti falliti.
Ma non sta andando tutto liscio per il governo francese: gli scioperi tendono a configurarsi come una piccola guerra civile e sta scomparendo del tutto quello spazio di manovra che, nei paesi a vecchio capitalismo, permetteva di convogliare il malessere sociale al tavolo delle trattive. Il riformismo socialdemocratico è in crisi ovunque, l'epoca delle rivendicazioni sta finendo, c'è sempre meno carota e più bastone. Durante le manifestazioni di protesta la polizia fa ampio uso, oltre a lacrimogeni, spray urticanti e proiettili di gomma, di granate esplosive, ordigni classificati come armi da guerra. Lo scontro, sempre più aperto (vedi manifestazioni ecologiste contro il bacino idrico di Sainte-Soline), è tra lo Stato e le forze che vi si oppongono, e nel prossimo futuro non potrà che acuirsi, tanto più che le condizioni di vita dei salariati non fanno che peggiorare.
È in corso un'escalation sociale. Ne è riprova l'ondata di rivolta scoppiata martedì 27 giugno a Nanterre, nella periferia nord-ovest di Parigi, in seguito all'uccisione per mano della polizia del giovane Nahel. Nel giro di poco tempo è scattato il coprifuoco in varie città, i blindati hanno marciato per le strade, i reparti speciali antiterrorismo e decine di migliaia di agenti sono stati schierati. In una sola notte sono stati più di 250 i poliziotti e i gendarmi feriti, centinaia di auto e di edifici pubblici dati alle fiamme, decine di commissariati assaltati, numerosi negozi saccheggiati, circa 700 gli arrestati. Secondo il Ministero dell'Interno francese, il livello di violenza è superiore alla rivolta del 2005.