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Manifestazioni in EcuadorLa temperatura sociale aumenta e con essa gli scioperi e le rivolte.

Come anticipato nell'articolo "Coprifuoco in Sri Lanka e Perù", la situazione sociale, già critica a causa del Covid che ha determinato intoppi nella catena di approvvigionamento, sta peggiorando drasticamente per effetto della guerra in Ucraina.

All'elenco dei paesi in stato di agitazione si aggiunge la Tunisia che, giovedì 16 giugno, ha visto uno sciopero generale dell'intero settore pubblico (che comprende anche porti e aeroporti), organizzato dal più grande sindacato del paese, l'UGTT (Unione Generale Tunisina del Lavoro), contro i bassi stipendi e il taglio di alcuni sussidi. La mobilitazione contro la perdita di potere d'acquisto dei salari ha coinvolto circa tre milioni di lavoratori.

In Ecuador, le proteste iniziate lo scorso 13 giugno e determinate dalla crescita della miseria, sono state promosse dalla Confederazione delle Nazionalità indigene dell'Ecuador (CONAIE) e si sono presto trasformate in una rivolta di massa contro il sistema, con il danneggiamento di edifici pubblici, blocchi della circolazione, scontri con la polizia; centinaia i feriti e gli arrestati, e almeno quattro i morti. La scintilla che ha causato l'incendio sociale è stata il caro-carburante, ma sono molte altre le questioni in ballo, tra cui la concessione di miniere nei territori indigeni e la rinegoziazione dei debiti contratti dai contadini con le banche. Nel mirino dei manifestanti il governo di Guillermo Lasso, ritenuto incapace e corrotto, che ha proclamato lo stato di emergenza in sei province, compresa la capitale. Quito è l'epicentro della rivolta a cui ormai si sono legati vari settori sociali, dai sindacati al mondo studentesco, in un #ParoNacional generalizzato e a tempo indeterminato. Venerdì 24 giugno i manifestanti hanno cercato di assaltare il Parlamento ma sono stati respinti dalla polizia, che ha sparato candelotti lacrimogeni e proiettili veri. La Chiesa, come al solito, cerca di mediare per portare le parti al dialogo.

In Europa, il 9 giugno ha avuto luogo il primo sciopero dei portuali tedeschi, organizzato dal sindacato Ver.Di, per chiedere un aumento (1,20 euro in più all'ora) dei salari erosi dall'inflazione. I lavoratori dei porti in Germania sono 12 mila, ma hanno in mano un'arma di ricatto potente in quanto, al pari degli autotrasportatori (vedi scioperi in Sud Corea), possono bloccare, o quantomeno rallentare, la catena logistica globale. Per incalzare la controparte, il sindacato tedesco dei servizi ha proclamato un altro sciopero per giovedì 23 giugno nei porti di Amburgo, Emden, Bremerhaven, Brema, Brake e Wilhelmshaven.

Nella capitale del Belgio, 70.000 lavoratori hanno marciato lunedì 20 giugno chiedendo l'intervento del governo per affrontare il forte aumento del costo della vita. L'aeroporto di Bruxelles è stato duramente colpito dallo sciopero nazionale, e sono stati centinaia i voli cancellati. Nuovi scioperi contro Ryanair e altre compagnie aeree low cost sono programmati, non solo in Belgio, per il fine settimana.

In Inghilterra è iniziato lo sciopero dei trasporti più imponente degli ultimi trent'anni. L'iniziativa coinvolge circa 40.000 lavoratori, tra macchinisti, addetti alle pulizie e alla manutenzione dei treni, e circa 10 mila addetti della metropolitana di Londra. Anche in questo caso la protesta è contro gli effetti dell'inflazione, contro i licenziamenti operati dalle compagnie ferroviarie private britanniche, nonché per rivendicare maggiore sicurezza sui posti di lavoro. I lavoratori chiedono forti aumenti salariali. Organizzata dal sindacato RMT (Rail Maritime and Transport Workers), la seconda giornata di sciopero, il 23 giugno, ha toccato un'adesione pari all'80% dei lavoratori. Il braccio di ferro tra i sindacati e la società ferroviaria Network Rail (di proprietà statale) insieme alle aziende private del settore continua con un nuovo sciopero programmato per oggi, sabato 25 giugno.

In Italia, i burocrati sindacali lanciano l'allarme. Per Maurizio Landini, leader della CGIL, la situazione sociale è esplosiva (secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Istat nel 2021 le persone in povertà assoluta sono 5,6 milioni, e sono migliaia i lavoratori in cassa integrazione o a rischio licenziamento). Per quanto si impegnino a mantenere la pace sociale, i pompieri sociali sono consapevoli che la situazione potrebbe sfuggire loro di mano, come dimostrano le rivolte in corso in varie parti del mondo. Lo conferma anche il presidente della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, che recentemente ha dichiarato alla stampa che "sarà un ottobre caldo, le crisi possono diventare pericolose."

I sinistri, dal canto loro, dicono che bisogna ricostruire un blocco sociale di riferimento, un'identità di classe, così da poter iniziare a lottare. Da buoni idealisti, con una visione capovolta della realtà poggiante sulla testa (le idee) e non sui piedi (la materia), non si rendono conto che sta arrivando uno tsunami che tutti travolgerà, al di là della coscienza che i singoli uomini hanno di sé stessi e dell'epoca in cui vivono.

La lotta di classe è così, non è educata, non chiede il permesso prima di entrare. Fa saltare il tran-tran quotidiano, i meschini calcoli politici, e fa crescere la solidarietà tra gli sfruttati. Meglio farsi trovare pronti dunque, magari cominciando fin da ora a liberarsi della zavorra politica e ideologica che ci tiene schiacciati all'esistente, ovvero il gradualismo, l'approccio sindacalista e le molteplici forme di riformismo, comprese quelle che si ammantano di antagonismo.