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crollo_fabbriche_bangladeshE' salito a 290 il bilancio delle vittime del crollo del Rana Plaza a Savar, un edificio di otto piani alla periferia di Dhaka, in Bangladesh. Nella notte i soccorritori sono riusciti ad estrarre dalle macerie altri 45 sopravvissuti, ma diminusce la speranza di ritrovare in vita le tante persone ancora rimaste intrappolate sotto la struttura che ospitava diverse fabbriche di vestiti, una banca e un centro commerciale e dove lavoravano circa 3.000 persone.

La Campagna Abiti Puliti (sezione italiana della Clean Clothes Campaign), insieme con i sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori attivi in Bangladesh e in tutto il mondo, chiede un intervento immediato da parte dei marchi internazionali a seguito del crollo del Rana Plaza. Il palazzo fabbrica, secondo Abiti Puliti, ospitava la relizzazione di prodotti per grandi marchi europei, anche italiani.

Gli attivisti dei diritti umani sono riusciti ad accedere alle macerie del Rana Plaza, dove hanno trovato etichette e documentazione che collega alcuni grandi marchi europei a questa ennesima tragedia: la spagnola Mango, l'inglese Primark e l'italiana Benetton, oltre ad altri marchi italiani.

Sul loro sito web, le aziende elencano tra i loro clienti altrettanti noti brand, tra cui C&A, KIK e Wal-Mart, già noti alle cronache per l'incendio nella fabbrica bengalese Tazreen, dove 112 lavoratori sono morti esattamente cinque mesi fa, e, per quanto riguarda la tedesca KIK, per l'incendio della pakistana Ali Enterprises, dove quasi 300 lavoratori sono morti lo scorso settembre.

I lavoratori morti e feriti stavano producendo capi di abbigliamento quando lo stabile che ospitava più fabbriche tessili - con piani costruiti presumibilmente in maniera illegale - improvvisamente ha ceduto generando un enorme frastuono e lasciando intatto solo il piano terra. Questo crollo fornisce ulteriori prove a conferma dell'inefficacia del ruolo delle società di auditing nella protezione della vita dei lavoratori. Gli attivisti impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori sono convinti che tali decessi continueranno fino a quando le imprese e i funzionari di governo non sottoscriveranno un programma per la sicurezza degli edifici indipendente e vincolante.

"Tragedie come questa mostrano la totale inadeguatezza dei sistemi di controllo e delle ispezioni condotte dalle imprese senza il coinvolgimento dei sindacati e dei lavoratori» spiega Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, «non possiamo continuare ad assistere ad un tale sacrificio di vite umane dovuto alla totale irresponsabilità di un sistema produttivo basato sulla competizione al ribasso. Le famiglie delle vittime e i feriti rimaste senza reddito e supporto ora hanno diritto a cure adeguate e risarcimento appropriato da parte delle imprese coinvolte per gli irreparabili danni subiti, oltre a giustizia immediata e assunzione di responsabilità da parte di tutti colore che dovevano prevenire questa carneficina."

Per mettere fine a questi incidenti, la Campagna Abiti Puliti esorta i marchi che si riforniscono in Bangladesh a firmare immediatamente il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement. La CCC, insieme con i sindacati locali e globali e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori, ha messo a punto un programma specifico di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza. È un'operazione di fondamentale trasparenza che deve essere sostenuta da tutti gli attori principali bengalesi e internazionali. L'accordo è già stato sottoscritto lo scorso anno dalla società statunitense PVH Corp (proprietaria di Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e dal distributore tedesco Tchibo. È il momento che tutti i principali brand del settore si impegnino per garantirne una rapida attuazione. Il programma può salvare la vita di centinaia di migliaia di lavoratori attualmente a rischio in fabbriche insicure e costruite illegalmente.

La polizia del Bangladesh è dovuta ricorrere a gas lacrimogeni e proiettili in gomma per disperdere una violenta protesta di operai del settore tessile a Gazipur, città-satellite a nord di Dacca. Centinaia di lavoratori erano scesi in piazza per reclamare l'arresto e addirittura la messa a morte dei proprietari dei laboratori ospitati nell'edificio di otto piani, crollato mercoledì nel vicino sobborgo di Savar per l'inosservanza delle misure di sicurezza: la sciagura ha provocato la morte di almeno 272 loro colleghi e il ferimento di più di altri mille.

I dimostranti, molti dei quali armati di spranghe e bastoni, hanno preso d'assalto le fabbriche, imponendone la chiusura, hanno devastato i veicoli in sosta, occupato le strade lungo le quali hanno dato alle fiamme pneumatici e hanno cercato d'incendiare negozi e bancarelle. Rivolte sono state segnalate anche in altre località intorno alla capitale. Sui muri del palazzo accartocciatosi su se stesso martedì sera erano comparse profonde crepe: dapprima i circa 3.000 dipendenti erano stati fatti allontanare, ma poco dopo era giunto loro l'ordine di tornare ai propri posti, ponendo così le premesse per la successiva strage.

[tratto da www.unita.it]