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malaysia1(16 agosto 2010)

Più di 5000 lavoratori immigrati hanno divelto una torre di guardia durante la sommossa presso la struttura dove erano alloggiati nella città industriale di Johor Baru, in Malesia.

Durante la lotta, immondizia e pietre sono state lanciate contro più di 200 agenti anti-sommossa; degli idranti sono stati staccati dai muri e, presumibilmente, usati contro i passanti.

La battaglia, arginata sul far della sera dopo sette ore, è scoppiata dopo che un compagno di lavoro ferito è morto a causa del ritardo con cui i datori di lavoro l'hanno mandato all'ospedale.

L'uomo, nepalese, vent’anni, domenica era stato colpito da una febbre alta che inizialmente aveva nascosto ai dirigenti. Quando il suo stato di salute ha raggiunto una fase critica, i capi si sono rifiutati di mandarlo in cura finché è divenuto troppo tardi. E' morto alle sette del mattino seguente.

I lavoratori chiedono l'istallazione di una clinica presso il reparto di elettronica, e un aumento del salario. Dopo la protesta, i dirigenti hanno accettato di incontrare una rappresentanza dei lavoratori per discutere i problemi dello stabilimento nell’area industriale di Tebrau.

I lavoratori migranti in Malesia sono tra i più precari nel mondo nonostante costituiscano più del 20% della forza lavoro del paese, con pochi diritti e spesso in condizioni di lavoro terrificanti.

Nonostante costituiscano una massa ingente, la varietà di nazionalità presenti e le situazioni transitorie remano contro l'organizzazione – ad esempio i manifestanti di Tebrau comprendevano lavoratori dal Nepal, Myanmar, Vietnam, Bangladesh e India.

Recenti reportage della ONG Amnesty International sono stati molto critici delle condizioni legali e di lavoro della forza lavoro immigrata:

I lavoratori immigrati sono fondamentali per l'economia della Malesia, ma sono sistematicamente meno protetti da un punto di vista legale rispetto agli altri lavoratori. Sono facili prede di agenti di reclutamento senza scrupoli, datori di lavoro e polizia corrotta.

I migranti, molti dei quali provenienti dal Bangladesh, Indonesia e Nepal sono obbligati a lavorare in situazioni pericolose, spesso contro il loro volere, sudando per 12 ore al giorno e più. Molti sono soggetti ad abusi verbali, fisici e sessuali.

La maggior parte paga ad agenti di reclutamento ingenti somme per assicurarsi l'impiego, il permesso di lavoro e il tirocinio. Una volta arrivati, spesso scoprono che molto di quello che gli agenti hanno assicurato riguardo il nuovo lavoro non è vero – la paga, il tipo di lavoro e addirittura l'esistenza del lavoro stesso o la loro condizione legale nel paese.

La maggior parte dei lavoratori ha contratto dei prestiti ad un tasso d'interesse esorbitante e semplicemente non possono permettersi di ritornare ai loro paesi. Alcuni sono in situazioni vicine al lavoro obbligato.

Quasi tutti i padroni hanno in mano i passaporti dei loro subordinati, facendo rischiare i lavoratori di venire arrestati e impedendo loro praticamente di abbandonare il posto di lavoro. Pratiche coercitive del genere sono indicatrici di lavoro forzato.

Le leggi sul lavoro non vengono effettivamente applicate, e il tribunale del lavoro può impiegare mesi o anni per risolvere dei casi. Inoltre, per i lavoratori domestici, che non sono tutelati dalla maggior parte delle leggi sul lavoro, il ricorso ai tribunali non è solitamente considerato un'opzione.

 

[tradotto da http://libcom.org]