Novembre 2010
In Gran Bretagna il recente Bilancio di Emergenza del governo, che prevede notevoli tagli nell'assistenza, nei servizi sociali e di altre spese statali, è appoggiato da una martellante campagna dei media borghesi, il cui solo argomento, ripetuto all'ossessione, si riduce al mantra: "i tagli sono necessari... i tagli sono necessari..."
Ancora una volta ci viene detto che bisogna ingoiare la pillola amara dell'austerità e dei sacrifici per "risanare" le "finanze nazionali". Non tutti però divideranno il carico dei sacrifici, e suscita riprovazione che l'olimpo bancario, già recentemente rifinanziato con miliardi di sterline provenienti dalle casse dello Stato, si assicurerà anche in questa occasione molti milioni di bonus.
Data questa situazione e il palpabile senso di ingiustizia che ha provocato, forse il proletariato non sarà del tutto ben disposto a pagare nuovamente per la crisi. All'attacco diretto ai salari dei lavoratori occupati, che già hanno avuto decurtazioni rilevanti ed intensificazione dei carichi, si aggiunge ora l'attacco alla forza lavoro di riserva, i disoccupati e gli invalidi, già condannati ad una vita di miseria ai margini della società.
Un esempio degli attacchi che il governo sta preparando ai disoccupati è il taglio agli attuale sussidi per l'abitazione, fino alla misura del 90%, a chi per un anno non è riuscito a trovare un lavoro. Questo è un duro colpo che viene a ricattare il disoccupato costringendolo ad accettare qualsiasi lavoro, anche a condizioni e paghe terribili, pur di non restare senza casa e finire per la strada.
Inoltre, gli iscritti alle liste di disoccupazione saranno sottoposti a pressioni crescenti per accettare qualsiasi lavoro.
Un'altra imposizione che i disoccupati subiscono è il rischio di essere sanzionati, cioè vedere ridotti i contributi, qualora risulti che non è stato fatto ogni sforzo per ricercare lavoro, tentativi che il disoccupato deve documentare, oppure per non essersi presentato, seppure per motivi di forza maggiore, per il ritiro dei contributi al momento previsto, o per non dichiararsi in ogni momento "disponibile al lavoro". La sanzione consiste anche in un taglio dei contributi per la casa e nell'esenzione alle tasse locali.
Inoltre anche molti degli enti di assistenza e carità, sovvenzionati ampiamente dallo Stato, che oggi aiutano i disoccupati a tirare avanti, che assistono i lavoratori semianalfabeti nella compilazione dei moduli delle domande di assistenza e ne seguono le pratiche, dichiarano che la loro sopravvivenza è minacciata dai nuovi tagli.
La campagna di Stato per i tagli all'assistenza si rivolge anche gli invalidi estendendo la definizione di "abile al lavoro" ad una gran parte degli affetti di varie patologie: il governo si pone l'obbiettivo di mandare a lavorare mezzo milione di invalidi. Il metodo è quello di incorporare l'Ente preposto per i contributi di malattia e l'Ente per l'invalidità in uno nuovo, al quale è obbligatorio tornare a chiedere l'iscrizione. Occorrerà ripresentare la domanda, produrre nuovamente le prove dell'inabilità ed essere sottoposti ad interrogatori ed esami sulla base di nuove procedure predisposte proprio in modo da escluderli dall'assistenza.
Questi lavoratori, definiti "ex-ammalati", saranno d'ora in poi considerati e quindi trattati come comuni disoccupati.
Quindi i disoccupati, già in competizione fra di loro, si troveranno anche a rubarsi il posto con ammalati ed invalidi. E coloro che riusciranno a trovare un lavoro scopriranno molte volte che stanno lavorando per la stessa somma di denaro che prima ricevevano come assistenza! A questi lavoratori, dopo aver fatto salti mortali e teso ogni nervo per trovare un posto, non sarà certo di sollievo scoprire che sono rimasti poveri come prima.
Il disinteresse delle Trade Unions
Il malcontento affiora in superficie. Tuttavia le recenti agitazioni dei lavoratori della metropolitana contro le riduzioni di personale e il crescente malcontento nel pubblico impiego non hanno trovato adeguata risposta al recente Congresso delle Trade Unions, che se la sono cavata con poche misure soporifere per cercare di contenere la situazione: il solito vecchio rimedio di fare affidamento sulla sua lobby parlamentare ed l'indizione della solita rituale manifestazione, stavolta rimandata di sei mesi, a marzo 2011 !. Nessuno potrà accusare il Tuc di voler battere il ferro quando è caldo.
Quali tentativi sono stati fatti dalle Trade Unions per organizzare i disoccupati? Una risposta rivelatrice viene dall'articolo, apparso su internet, intitolato: "Perché mi sono dimesso dal comitato di consulenza delle Trade Unions all'interno dei Centri per i Disoccupati".
I Centri per i Disoccupati nacquero nel 1980, uno dei primi anni di forte disoccupazione, e raggiunsero in quel periodo il numero di 150 in tutto il paese, mentre nel 2009 si sono ridotti a sole 50 unità.
Questi centri furono utili per rompere l'isolamento e per la solidarietà, oltre che, nel migliore dei casi, a fornire utili consigli legali e assistenza per l'ottenimento di contributi. Ma non possono essere considerati una panacea. La nostra posizione è che il principale fattore di forza è quello che consente ai disoccupati di essere organizzati a fianco dei lavoratori alla produzione, il che dovrebbe essere un principio base e un impegno da parte di un sindacato che pretenda di avere una impostazione di classe.
La gestione dei Centri di Disoccupati è stata diversa nelle varie parti del Paese. Quello di Liverpool è stato condotto praticamente come una impresa commerciale e non certo a difesa dei disoccupati. Il brutale comportamento dei dirigenti ha perfino provocato uno sciopero del personale lì impiegato per le pulizie. Chi organizzava quei lavoratori fu cacciato dal Centro – e chiamarono la polizia per accompagnarlo fuori.
L'autore dell'articolo sopra citato riferisce di come i Centri per i Disoccupati furono costretti a rivolgersi alle agenzie governative con il cappello in mano alla ricerca di fondi e come questi fondi fossero concessi a condizione che essi rinunciassero a divenire delle "Camere del Lavoro disoccupato". Lo Stato era cosciente del potenziale di questi Centri che potevano diventare luoghi di agitazione, di organizzazione e di lotta.
L'autore dell'articolo, che si dichiara segretario di un Centro per Disoccupati delle Trade Union, descrive come la loro attività fra i disoccupati fosse rappresentata da iniziative di poco conto, senza alcuna incisività e senza risposte critiche ai provvedimenti che via via il governo varava a riguardo dei disoccupati. E ciò aveva condotto alle sue dimissioni.
«Si potrebbe pensare che, con la disoccupazione che ora raggiunge i tre milioni di unità, il Comitato avrebbe colto l'urgenza dell'azione. Invece agisce secondo la coscienza dei capi del TUC che, più che altro, temono ogni movimento di auto-organizzazione dei disoccupati (...) Penso sia necessario mettere in evidenza che, mentre la disoccupazione incrementa rapidamente, i Comitati promossi dalle Trade Unions sono paralizzati dall'inerzia (...) È stata adottata una linea di silenzio nei confronti delle riforme proposte dal New Labour».
Questo il genere di appoggio che i disoccupati si possono aspettare dal TUC. Al Congresso del settembre 2010 il tema dell'organizzazione dei disoccupati è stato relegato ad un convegno a margine alla domenica pomeriggio.
Far soldi con i disoccupati !
Così, mentre il TUC offre dei palliativi, a malincuore, ai disoccupati, mentre allo stesso tempo si disfa dei suoi precedenti Centri, altri vedono i disoccupati come una opportunità di guadagno!
Sebbene ci sia una generale unanimità all'interno della classe dominante circa la necessità dei tagli alla spesa dello Stato, è in discussione solo quanto tagliare e come affidare la "gestione" della cosa: le divisioni nascono quando si tratta di definire chi più si avvantaggerà dell'intera manovra.
La nuova strategia nei confronti dell'esercito dei disoccupati, ora enormemente aumentato, è far gestire da investitori privati l'intero progetto "Dall'assistenza al lavoro". Un accordo fra i Ministeri del Lavoro e della Riforma assistenziale e le istituzioni finanziarie della City di Londra s'ingegna su come far funzionare la cosa, utilizzando i tagli all'assistenza per produrre un profitto per il settore privato, che trarrebbe un utile proveniente da una quota su quanto risparmiato in contributi alla disoccupazione.
I Centri per l'impiego del resto già oggi appaltano parte del loro lavoro ad un buon numero di compagnie private.
Il Direttore esecutivo del "progetto" all'interno della società G4S, "Gruppo per Servizi di Sicurezza e Assistenza", che fornisce già prestazioni allo Stato, tipo il trasferimento dei carcerati dalle prigioni ai tribunali, ritiene che «la scommessa di questo modello è che agli investitori, che hanno anticipato i pagamenti in scadenza, rientri il flusso di denaro risparmiato col riavvio al lavoro della gente. Noi crediamo che possa funzionare». Il settore privato, di fronte alla crisi dei mercati, è sempre in ricerca di nuovi imbrogli per far soldi, ed ha odorato l'opportunità qui di farlo perfino sulla parte più sfortunata del proletariato.
L'obbiettivo di arrivare ad un taglio del 25% sul bilancio dei principali settori dello Stato crea molte preoccupazioni nel Paese. I corpi di polizia, per i quali si prospettano tagli per 40.000 posti, rispondono prospettando terribili scenari per spaventare la borghesia e far sì che receda dal proposito. Recentemente una Associazione di poliziotti ha ricordato che un corpo di polizia "forte e affidabile" sarà necessario per fronteggiare le tensioni sindacali e sociali che si prospettano a causa dei tagli; tensioni che potrebbero ulteriormente complicarsi con 40.000 sbirri licenziati!
Vengono a questo proposito richiamati alla memoria i recenti movimenti di protesta dei ranghi più bassi delle forze di polizia; e degli scioperi che si ebbero nel dopoguerra quando fu vietato ai poliziotti di organizzarsi in sindacato. Ricordiamo che durante questi scioperi fu chiamato l'esercito a mantenere l'ordine nelle strade. Oggi sembra che anche lo stesso esercito, già ridotto enormemente di effettivi, subirà ulteriori pesanti tagli... Difficile prevedere cosa porterà il futuro!
Di fronte a tutto questo il TUC è stato costretto ad assumere un atteggiamento apparentemente più combattivo e a dichiarare la necessità di un indefinito piano di "azione comune" fra i vari sindacati. Questo piano, quando e se si realizzerà, sarà effettivo solo se sfuggirà al controllo delle gerarchie sindacali, la prospettiva delle quali, se l'esperienza del passato significa qualcosa, è strettamente connessa alla promessa di una poltrona in parlamento, in lauti stipendi premio di una mentalità strettamente "unionjackista", fedele alla bandiera, in tutto disposta ad appoggiare qualsiasi misura nell'interesse dell'economia nazionale e il cui motto rimane "Prima il Paese, poi la classe operaia".
I lavoratori, assieme ai disoccupati, per scendere in lotta dovranno superare gli steccati di categorie e luogo di lavoro, e costruire organizzazioni sindacali sempre più ampie. Questa alleanza fra occupati e disoccupati, dovrà alla fine uscire dalle strutture sindacali ufficiali con azioni fuori della legalità sindacale e non regolamentate. Solo per questa via il proletariato potrà dispiegare una forza sufficiente ad agire come classe e costringere la borghesia ad allentare i suoi attacchi sfrenati, misurando e predisponendo in tal modo il potenziale di forza che sarà necessario per la finale ed inevitabile battaglia contro il capitalismo.
Militanti sindacali! La difesa di tutti i membri della classe consiste nell'appoggio concreto e duraturo ai disoccupati e ai disabili al lavoro, e non con innocue risoluzioni o trovate pubblicitarie. I padroni auspicano disporre di una massa di lavoratori "flessibili", il che significa che si vendano quasi per niente, pronti ad ogni cenno del padrone. Organizzare i non organizzati è il modo più diretto per proteggere chi è ancora al lavoro. Difendere tutti i lavoratori, non solo quelli iscritti alle Unions! Procedere così è particolarmente importante nel settore pubblico, minacciato da tagli generalizzati, con migliaia di lavoratori che rischiano di finire nelle file dei disoccupati.
[tratto da www.international-communist-party.org]