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granarolo portaEntro il movimento generale che in Italia sta coinvolgendo molti nodi della rete logistica, è piuttosto significativo l'accordo della Granarolo, firmato da uno dei sindacati minori. Il coordinatore nazionale di questo sindacato l'ha presentato così:

"Abbiamo firmato perché costretti, non avremmo potuto sostenere altri picchetti con 51 lavoratori senza stipendio. La nostra cassa di resistenza non può affrontare una lotta del genere […] Per questo abbiamo firmato questo accordo che non ci soddisfa. I picchetti e gli scioperi riprenderanno se a settembre non sarà trovata collocazione a tutti i lavoratori licenziati".

Queste, a parte l'ammissione di debolezza, sono parole che siamo abituati a sentire anche da parte dei confederali: adesso firmiamo condizioni "al ribasso", ma vi faremo vedere i sorci verdi se domani… ecc. ecc. In realtà niente può obbligare un sindacato o chiunque a firmare un accordo se non lo soddisfa e soprattutto non soddisfa i lavoratori, per di più giustificando il proprio atteggiamento con la debolezza di questi ultimi.

I 51 licenziati sono 41 della Granarolo e 10 della Cooperativa Adriatica. Al culmine di una lotta per certi versi esemplare (blocchi senza preavviso e a oltranza) la Commissione di Garanzia aveva minacciato la precettazione dei lavoratori (bastone), avviando un "tentativo di conciliazione" (carota) consistente nel "convocare le parti" presso la Prefettura di Bologna.

Ovviamente la "conciliazione" avviene in luoghi e tempi separati: da una parte la trattativa tra gli imprenditori (cooperative e loro clienti) e i sindacati confederali, dall'altra quella con i rappresentanti del sindacatino in questione, che ha seguito la lotta sul campo. Manco a dirlo, tra i primi scaturisce velocemente un accordo che fa da battistrada alla trattativa con i secondi. Il 18 luglio il coordinatore citato spiega:

"Al tavolo di trattativa aperto dal Prefetto, che ci aveva visto la prima volta presenti come SI Cobas a rappresentare tutti i lavoratori colpiti dai licenziamenti (e per altre tre volte invece esclusi), era uscita una prima proposta da noi non sottoscritta".

Il 27 luglio, alla quarta convocazione presso il prefetto, la proposta è ancora ritenuta inaccettabile: patto "tombale" sui punti pregressi della vertenza in cambio di 1.000 euro, 12 rientri in diversi magazzini e un ricatto sulla cassa integrazione cui non si potrà accedere in tempo se non si firma. Racconta il coordinatore:

"Nelle ore successive, grazie ad un confronto telefonico tra il sottoscritto ed il Prefetto, è stata avanzata una proposta che prevedeva l'inserimento di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato: senza periodo di prova, con inquadramento almeno analogo a quello in essere, con l'impegno di incontrarsi entro il 30 settembre per verificare un percorso per il ricollocamento degli altri operai ancora in Cigs in deroga, col pagamento della retribuzione dalla data del licenziamento al reintegro, con l'accesso alla Cigs in deroga alla data del 1° luglio e, cosa estremamente importante, senza nessun accordo tombale sul pregresso (per somme che superano i 20mila euro ad individuo)".

In cambio, il sindacato doveva impegnarsi a "revocare lo stato di agitazione". Convocata un'assemblea dei lavoratori, la proposta passava e l'accordo veniva siglato. Il recupero delle somme dovute ai 51 lavoratori licenziati (circa un milione di euro), prima reclamato con la lotta, ora veniva affidato ai legali dell'organizzazione. Con paragone militare più volte ripetuto, la firma dell'accordo era considerata come

"Una battaglia di posizione che permette di occupare uno spazio più favorevole per vincere la guerra che la Granarolo ha scatenato due mesi e mezzo fa, e che ha visto i lavoratori battersi con determinazione, con l'aiuto di altri cobas e militanti solidali, dimostrando sul campo che si può vincere un avversario come la Lega Coop, arrogante e forte sul territorio (non solo di Bologna), che aveva calpestato i loro diritti".

È arduo immaginare come la firma di un accordo simile possa rappresentare la conquista di condizioni più favorevoli per il futuro. Secondo il principio ricordato da alcuni partecipanti ai picchetti, in questi casi è vero che "cedere un po' è capitolare molto". A parte le evocazioni sessantottine, di fatto, sul campo, comportamento e linguaggio di questi sindacatini non si discostano da quelli del sindacalismo confederale classico. L'unica differenza è nell'ansia di essere riconosciuti, nel non ancora raggiunto grado di integrazione con l'apparato borghese. Tra l'altro i 23 rientrati saranno sparsi in diversi magazzini, situazione incontrollabile in partenza. Che cosa sarebbe successo se si fosse detto chiaramente ai lavoratori che non si poteva firmare per il rientro dei 23 alla faccia dei 28 sacrificati? Chiunque abbia un minimo di esperienza di lotte sindacali sa bene che, in mancanza di sciopero, se si firma si finisce per farlo in calce a ciò che la "controparte", compresi i confederali, avrebbe comunque "concesso", a dispetto dei giri di parole sulle "posizioni" occupate. Il fatto è che queste "posizioni" non riguardano i lavoratori ma il sindacato in quanto tale e da questo punto di vista il SI Cobas vanta giustamente di essere stato "riconosciuto" come interlocutore. Citiamo dalla home page del suo sito internet:

"Milani ha avuto anche parole sugli scioperi e i picchetti che questo inverno hanno colpito il magazzino di Coop Centrale Adriatica ad Anzola. 'Abbiamo gestito male la situazione. Se avessimo perso la vertenza anche alla Granarolo avremmo arrestato la nostra espansione come sindacato' ".

Quindi la vertenza è stata "vinta"? e a favore di chi? Dell'espansione di un clone sindacale fra i tanti che ci sono? Per i lavoratori lo scopo di uno sciopero non è la trattativa ma il risultato che vogliono ottenere. Per un sindacato d'oggi lo scopo è invece proprio la trattativa, dato che solo attraverso di essa ottiene il "riconoscimento della controparte", quindi la possibilità di aprire sedi e uffici, erogare servizi a pagamento come CAF, Patronati e studi legali, ecc. Non c'è nulla di strano, entro i rapporti consociativi del sindacalismo attuale, nel fatto che un responsabile centrale dichiari candidamente di utilizzare le lotte per espandere il proprio potere contrattuale in quanto ente riconosciuto dallo Stato (nel caso specifico in presa diretta con il prefetto).

Qualunque lotta di tipo immediato (a carattere sindacale e non) obbliga a determinati percorsi solo per quanto riguarda l'utilizzo di normative esistenti, e solo quando non trascende a scontro di livello più alto. Per esempio, può non esserci nemmeno bisogno di lotta per stabilire un percorso di cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga ecc. fino alla mobilità e al ticket di disoccupazione in caso di fallimento o comunque chiusura d'azienda (lasciando perdere la difesa del posto di lavoro "perché la fabbrica era ancora produttiva ma i padroni erano parassiti" e amenità del genere).

Può esserci invece lotta durissima per gli stessi motivi quando il percorso venga ostacolato, disatteso, ecc. e questo vale per tutto, dall'aumento di salario alla durezza delle condizioni di lavoro, dalla mensa che fa schifo alla solidarietà con i compagni di lavoro. Il risultato è aperto, sfumato, può essere tutto o di meno, a volte anche di più, se la lotta lo permette. In questi casi le forze avverse si misurano sul campo e vince chi è più resistente; oppure si arriva a un compromesso, cioè a un armistizio, come in guerra.

Ma vi sono casi in cui il compromesso non è possibile; e se c'è, prefigura un vero e proprio salto nel terreno dell'avversario. In tali casi non sono i rapporti di forza a decidere, ma la discrezionalità di chi in quel momento sta conducendo una trattativa. E tale discrezionalità ha sempre origine ideologica. Se ad esempio un'azienda licenzia per rappresaglia degli operai che hanno fatto sciopero, la posta in gioco non è "chi rientra e chi no, discutiamo", ma "rientrano tutti" e basta. Se si perde è "nessuno" o comunque ciò che decide l'avversario, ma non c'è forza al mondo che possa intaccare la discrezionalità del rappresentante sindacale.

Quando si tratta di licenziamenti del tipo di quelli che oggi imperversano, cioè per riassetti proprietari, riduzione delle attività, ristrutturazioni o fallimenti, la logica di classe vorrebbe che si agisse sul piano del salario ai disoccupati e della riduzione del tempo di lavoro, ma ovviamente si agisce sul terreno che c'è e non su quello che si vorrebbe. Ad ogni modo non sarebbero da firmare compromessi in questo ambito nemmeno se lo decidesse all'unanimità una assemblea operaia, perché il gioco sporco sulla disperazione di chi rimane senza salario può far votare qualsiasi cosa a chiunque.

Nel caso specifico della Granarolo, e per estensione di tutto il settore della logistica, c'è un evidente "disinteresse" delle confederazioni originato in parte non piccola dai co-interessi nelle cooperative e nel sottobosco politico dei servizi. Questo vuoto lasciato dai grossi sindacati fa gola ai sindacatini-fotocopia, i quali, appunto, si agitano per riempirlo. Non solo non c'è contrasto di classe fra grossi e piccoli, ma nemmeno semplice concorrenza, bensì funzioni complementari. La Granarolo lo dimostra: la trattativa prefettizia sul primo tavolo, quello ufficiale, porta a un accordo sui licenziamenti che l'assemblea rifiuta. Chi è che lo fa trangugiare e lo firma dichiarando di averlo migliorato "occupando spazi" utilizzabili solo in un indefinito futuro? Quelli che siedono al secondo tavolo.

Ch86