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Prmo Maggio 2022 TorinoPrimo Maggio globale: scontri a Parigi, arresti a Istanbul (dove il corteo non era autorizzato), grande manifestazione nelle strade di Atene, decine di migliaia di persone in marcia nella capitale dello Sri Lanka. Il filo rosso che lega le tante piazze nel mondo è l'impennata dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari sull'onda della guerra in Ucraina.

In Italia i confederali si sono dati appuntamento in piazza San Francesco ad Assisi. Ad accompagnare la giornata pacifista (nel senso di ricerca pompieristica della pace tra le classi) lo slogan "Al lavoro per la pace", che tradotto dal sindacalese vuol dire: schiavi salariati andate a lavorare e invocate lo Spirito Santo perché doni la pace all'anima. Per finire in bellezza, e cancellare così ogni memoria storica sulle origini battagliere del Primo Maggio (qualcuno si ricorda ancora dei fatti occorsi a Chicago nel maggio del 1886?), nel pomeriggio si è svolto il tradizionale concertone di piazza San Giovanni a Roma.

Il 1° maggio a Torino è stato un po' diverso che nelle altre altre piazze italiane. Il capoluogo piemontese, per la sua storia operaia, è forse l'unica città che serba ancora la memoria di quel lontano giorno di lotta, e non di festa. La giornata è cominciata con la separazione in Piazza Vittorio Veneto, luogo d'inizio della manifestazione, dello "spezzone sociale", che raccoglie centri sociali, no tav, sinistra varia e realtà studentesche, dal resto del corteo, quello ufficiale. Tale divisione si è materializzata attraverso un ingente dispositivo poliziesco. Nel corso della manifestazione la polizia ha caricato a più riprese la coda del corteo. L'obiettivo della questura era chiaro, ed era stato anticipato dai giornali locali nei giorni precedenti: bloccare la componente "antagonista" per non farla entrare in piazza San Carlo, evitare contestazioni durante il comizio di sindacati tricolore, istituzioni e Chiesa, che nella persona del mons. Nosiglia ha affermato che "il diritto al lavoro resta il punto centrale di ogni società, di ogni sviluppo ed esige dunque il massimo impegno da parte di tutti".

Storicamente la classe operaia in quanto tale non ha lottato per il "diritto al lavoro", ma per lavorare meno e avere più salario, contro il lavoro salariato, ossia la vendita forzata di sé stessi. Detto questo, tra una manganellata e l'altra, non sono mancati strada facendo i momenti di trattativa tra leaderini di movimento, politici della sinistra "radicale" e polizia politica. Lo sappiamo: è nel Dna del leader movimentista, così come in quello del bonzo sindacale, la predisposizione al dialogo con polizia, istituzioni e padronato per garantire che vengano rispettati i "diritti". In realtà sono i rapporti di forza gli unici a contare, il resto sono chiacchiere buone sole per annacquare il conflitto.

In un assetto sociale, come quello attuale, fondato sul corporativismo e cioè sul dialogo permanente tra le classi, tutte le "parti sociali" hanno un ruolo da interpretare nello spettacolo della contestazione. Tutto, o quasi, è concesso, purché si rispettino le regole del gioco. Questo senza nulla togliere alla rabbia di centinaia di giovani e meno giovani, che sono scesi in piazza perché ne hanno le tasche piene di un futuro fatto di precarietà, guerra e sfruttamento.

I rider, anche quest'anno, come durante il 1° maggio del 2019, hanno rappresentato una variabile indipendente. Pochi ma combattivi, verso metà mattina hanno cercato di entrare nel corteo ufficiale sbucando in via Roma dalla Galleria San Federico, ma sono stati immediatamente bloccati dalla polizia, presente in forze lungo tutto il perimetro del corteo, che li ha manganellati e minacciati suscitando proteste da parte di manifestanti e "spettatori". I ciclofattorini non si sono fatti intimidire e sono riusciti a spingersi, almeno per qualche decina di minuti, all'interno del corteo che transitava in via Roma, scandendo slogan contro lo sfruttamento e il collaborazionismo del sindacato. E' infatti da segnalare, ancora una volta, l'atteggiamento sbirresco del servizio d'ordine della CGIL che, in combutta con le forze dell'ordine, ha circondato i rider in lotta, strattonandoli e cercando di strappargli le biciclette. Non volevano, i bonzetti confederali, che i lavoratori del food delivery disturbassero il soporifero corteo sindacale portando alla luce le loro condizioni di lavoro. Un copione già visto: tutto quello che si muove alla sinistra del sindacato dev'essere neutralizzato. Anche lo spezzone della FIOM, giunto all'altezza della Galleria quando i rider erano ancora alle prese con la polizia, è passato oltre, facendo in modo che i lavoratori da loro inquadrati non solidarizzassero con i precari in lotta.

Ecco la vera mission del sindacato d'oggi: impedire l'unità dal basso dei lavoratori, controllare ogni loro iniziativa di lotta e, quando necessario, passare dalle calunnie alle vie di fatto. In molti hanno assistito basiti all'operato delle guardie in giubbino rosso e hanno inveito nei loro confronti.

Che lezioni trarre da questi fatti? 1) Essi sono la dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che il sindacato è del tutto inserito nel meccanismo statale; 2) che solo l'autorganizzazione dei lavoratori può fare la differenza, anche su questioni basilari come salario, orari e condizioni di vita; 3) che l'autorganizzazione per essere tale deve andare al di là dei mestieri, delle tessere d'appartenenza, della divisione tra occupati e disoccupati, tra lavoratori stabili e precari, tra autoctoni e stranieri. In questo senso, il movimento Occupy Wall Street, quello del 99% contro l'1%, ha ancora molto da insegnare, a cominciare da affermazioni del tenore "siamo una voce aliena che dal futuro chiama a raccolta contro il capitalismo".

Voltare le spalle al sistema dei partiti, rifiutare il teatrino politico, anche quello extra-parlamentare, rifuggire il riconoscimento da parte di quelli che stanno in alto, sono i prerequisiti per avviare un reale processo di autorganizzazione. Il quale è quantomai necessario oggi, in un momento in cui i venti di guerra soffiano sempre più forti e parlare di escalation bellica non è un'esagerazione. L'alternativa è semplice: o accettare di farsi intruppare nei fronti di guerra e acconsentire al drastico peggioramento delle condizioni di vita (della serie: volete burro o cannoni?), oppure scrollarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e iniziare a lottare per i propri interessi, collettivi e non localistici, riscoprendo la propria indipendenza organizzativa e politica al di fuori di qualsiasi compatibilità di sistema.

Certo, è più facile a dirsi che a farsi, tanto più che all'orizzonte non si vede un moto sociale che agisca in anticipo rispetto alla generalizzazione della guerra. Resta il fatto che, nella prospettiva di un'acutizzazione dello scontro di classe, la diffusione di indicazioni chiare sul cambiamento può essere un fattore di accelerazione dello stesso.

Di seguito il volantino distribuito dai rider il Primo Maggio in piazza a Torino.

Volantino rider Torino 1° Maggio 2022